Il Jobs Act tra due referendum

Il Jobs Act tra due referendum

L’esito del referendum sulla riforma costituzionale ha sancito la fine del Governo Renzi. Per molti osservatori si è trattato di un risultato chiaro, da interpretare come una bocciatura dell’operato dell’esecutivo guidato dal segretario dem e di alcune sue importanti riforme. Tra queste una delle più discusse è stata senza dubbio il Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro,  fortemente voluta da Renzi.

E proprio il Jobs Act potrebbe in qualche modo essere la causa indiretta della fine del Governo Gentiloni, quello che in molti hanno definito “governo fotocopia”.

A partire dall’11 gennaio del prossimo anno la Consulta avvierà l’esame sull’ammissibilità dei quesiti referendari proposti dalla Cgil, che riguardano proprio il Jobs Act: i quesiti, infatti, puntano ad abrogare la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, le disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore ed i cosiddetti voucher.

Sul referendum voluto dalla Cgil giorni fa è intervenuto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha dichiarato: “mi sembra che l’atteggiamento prevalente sia quello di andare a votare presto, quindi prima del referendum sul Jobs act”. Le parole di Poletti hanno suscitato numerose reazioni, al punto che il ministro ha poi precisato: “le mie affermazioni non sono altro che l’ovvia constatazione che, qualora si andasse a elezioni politiche anticipate, la legge prevede il rinvio del referendum. È un’ipotesi che non ho invocato io”.

L’articolo 34 della legge 352 del 1970 prevede infatti che, in caso di scioglimento delle Camere,  la consultazione referendaria verrebbe sospesa e rinviata di un anno dopo le elezioni politiche, al fine di evitare una sovrapposizione delle campagne elettorali.

Qualcuno non esclude, quindi, che si possa andare ad elezioni anticipate prima della data eventualmente stabilita dalla Consulta per il referendum proprio per posticipare il voto sul Jobs Act.

Torna quindi al centro del dibattito politico la riforma del lavoro del precedente Governo, una riforma che ha sempre fatto parlare di sé ogni qualvolta venivano pubblicati dati sull’occupazione. I numeri, spesso altalenanti, hanno sempre messo a confronto chi sostiene che il Jobs Act abbia fatto bene al mercato del lavoro e chi,  invece, sottolinea gli effetti negativi dei provvedimenti.

I dati pubblicati dall’Istat il 7 dicembre, relativi al terzo trimestre dell’anno in corso, parlano di un calo dello 0,1% dell’occupazione complessiva rispetto al trimestre precedente, dopo cinque trimestri consecutivi in cui si era registrata una crescita.

Le recenti tendenze riguardanti il tasso di occupazione (misurate dai dati relativi ad ottobre 2016) indicano, al netto della stagionalità, un calo degli occupati tra i dipendenti a tempo indeterminato ed una crescita dei dipendenti a tempo determinato; si registra, inoltre, una stabilità degli indipendenti.

Le dinamiche tendenziali tra il terzo trimestre dell’anno in corso e lo stesso periodo del 2015 fanno rilevare una crescita complessiva di 239mila occupati. Il tasso di disoccupazione, invece, rimane stabile rispetto al trimestre precedente per il quarto trimestre consecutivo, mentre aumenta dello 0,4% in confronto allo stesso trimestre dello scorso anno. Per il terzo trimestre consecutivo, inoltre, diminuiscono in modo più consistente gli inattivi tra i 15 e i 64 anni ed il corrispondente tasso di inattività.

Per quanto riguarda le imprese, sono confermati i segnali di crescita congiunturale della domanda di lavoro: le posizioni lavorative dipendenti sono aumentate dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Si registra inoltre una riduzione delle ore lavorate per dipendente dello 0,3% ed una diminuzione del ricorso alla Cassa integrazione.

Andrea Pranovi