San Basilio: la guerra tra poveri

San Basilio: la guerra tra poveri

Una famiglia marocchina, padre, madre e tre figli regolarmente residenti in Italia, sono i vincitori di un alloggio, una casa popolare in un casermone a San Basilio.

Di fronte a loro, con fare minaccioso, un gruppo di abitanti del quartiere della periferia di Roma che impediscono alla famigliola di entrare nella nuova casa loro assegnata.

In mezzo, le forze dell’ordine costrette ad intervenire per proteggere i malcapitati in procinto di entrare in possesso dell’abitazione tanto agognata.

Purtroppo, a niente sono valse le assicurazioni dei carabinieri e degli uomini della Polizia che li proteggevano dagli insulti razzisti degli altri condomini per convincere la povera famiglia marocchina a entrare nella nuova casa.

Alla fine, infatti, di fronte agli schiamazzi e, soprattutto, agli insulti, hanno ceduto alla paura e hanno rinunciato al loro sogno di vivere in una casa vera, in un condominio abitato anche da italiani cosa che avrebbe dovuto favorire, tra l’altro, anche l’integrazione.

Ha vinto, quindi, ancora una volta la violenza verbale degli abitanti di un quartiere romana di periferia il quale, come tanti altri, è stato per la verità abbandonato da sempre a se stesso.

C’è da tenere presente che da anni, tanti anni ormai, anche i cittadini italiani aspettano, spesso inutilmente, un alloggio in una casa popolare, nonostante si trovi da sempre in un quartiere privo di tutti i servizi necessari ed essenziali.

Basta fare un giro per le parti più decentrate di Roma per rendersi conto come per chilometri e chilometri non ci sia un albero, un cespuglio, un giardino, un fiore. Intere aree cittadine dove non ci sono asili nido, spazi comuni, ambulatori. Solo degrado urbano, delinquenza, spaccio di droga, scontri tra bande.

“La miseria dei baraccati, l’odore della sporcizia e dei panni vecchi, le periferie squallide, le estati roventi che ridestano appetiti pressoché bestiali” scriveva Pasolini nel famoso libro “Ragazzi di Vita”. E aggiungeva: “Qualche tram arrivava (…) al Borghetto Prenestino, con tante case piccole come dadi o come pollai, bianche come quelle degli arabi, e nere come capanne, piene di cafoni pugliesi, o calabresi; giovanottelli e vecchi che a quell’ora se ne tornavano ubbriachi e coperti di stracci”.

Sicuramente, nelle violente affermazioni verbali degli abitanti della zona di San Basilio, nelle grida esasperate e nelle minacce degli residenti del condominio, in cui sarebbe dovuta entrare la famiglia marocchina, usurpatrice di un alloggio popolare, secondo alcuni c’è stato , sia pure  inconsapevolmente, anche del razzismo.

Il problema, però, non sta nella guerra tra poveri, ma piuttosto è da ricercare nella mancanza di regole e di attenzione sociale che consente ai più violenti di avere ragione sulla legge e mettendoli in condizione di occupare alloggi senza avere maturato, molto spesso, alcun diritto.

Sono anni, ormai, possiamo dire fin dall’ultimo piano Ina Casa del 1960, promosso dai maggiorenti della Democrazia Cristiana, in particolare da Fanfani, che non si costruiscono più case popolari per la povera gente, per i diseredati, per gli ultimi.

Il risultato raggiunto dalla mancanza di una qualsiasi politica sociale, è quello di vedere proliferare come funghi, baraccopoli, degrado, sporcizia sotto i ponti, accanto alle rotaie dei treni, lungo i fiumi e i torrenti in compagnia dei topi e degli scarafaggi.

Quindi, a mio parere, il razzismo c’entra poco in questa battaglia condotta da altri poveri contro i poveri marocchini.

Racconta una cittadina che abita nei pressi di San Basilio: “E’ assurdo vedere un povero disoccupato che ha fatto domanda per una casa popolare, costretto a vivere in una roulotte di fortuna da anni, cui viene “scippato” l’alloggio da un migrante, sia pure regolare”.

E un’altra donna: “i miei genitori sono disoccupati da anni. Hanno fatto domanda per una casa popolare che non sono mai riusciti ad ottenere. Nel frattempo, i più intraprendenti e molti migranti riescono invece a occupare abitazioni senza che ne abbiano magari diritto”.

In questa situazione drammatica di lotta tra i poveri, forse non bisognerebbe dimenticare le sofferenze dei nostri antenati che, agli inizi del ‘900, e poi, per quasi un intero secolo, cercarono fortuna in America, in Argentina, in Belgio, superando sofferenze ed umiliazioni, costretti a sottoporsi alle quarantene e a lavori veramente usuranti nelle miniere destinate a fiaccarne il fisico oltre che il morale.

Ecco, l’appello perché si definisca una nuova politica degli alloggi e sui profughi va rivolto alla politica che, purtroppo, da decenni, fa finta di non vedere l’abbandono di interi quartieri, di degradate periferie, di cittadini costretti a ricercare da soli uno spazio, una casa da contendere a chi, forse, sta peggio di loro. I migranti, appunto.

Giuseppe Careri