Televisione, stampa e web – di Giuseppe Careri

Televisione, stampa e web – di Giuseppe Careri

In un articolo pubblicato sull’Espresso numero 35 di agosto sul recente terremoto che ha colpito Amatrice ed altri paesi del Lazio, il giornalista Riccardo Bocca scrive:

“Povera televisione. Così antica e paradossalmente inutile nel suo divorare dopo il terremoto volti, parole, pietre e tetti di case fino a un secondo prima affollate di vita e normalità. (…) Non i grado, da un lato, di investigare in tempo reale il dramma, e dall’altro avvinto dalla necessità di rappresentare gli eventi. Nulla che possa reggere, nell’immediatezza dei fatti, con il dinamismo imperfetto del Web e delle piazze del social Network. (…) Così: incastrato tra la velocità imbattibile della rete e la profondità imponente della parola scritta”.

Ognuno la vede come vuole. Noi riteniamo che la televisione, soprattutto la Tv pubblica, abbia svolto un ruolo particolarmente importante nel descrivere il dramma della popolazione travolta dal terremoto con decine di servizi, speciali, collegamenti e dirette che hanno permesso a milioni di radio e televisione di essere informati in tempo reale di una tragedia che ha colpito il centro Italia con centinaia di morti e feriti.

Certo anche il Web ha fatto la sua parte, anche se, a  volte, in maniera un po’ “sgrammaticata”. Del resto l’Istat scrive che tra i 20 e i 24 anni oltre il 50% dei ragazzi si connette con  internet tutti i giorni, il 90% della popolazione guarda la televisione, il 50% legge giornali almeno una volta la settimana. Risulta, dunque, che gran parte della popolazione, giovani e non, seguono  comunque, oltre il web, la televisione pubblica e privata.

Un nostro collaboratore, un tempo Capo Struttura della Produzione News della Rai, ha scritto una tesi sul servizio pubblico e sulla nascita della rete. Ne anticipiamo il terzo capitolo relativo al Web.

 

La Televisione, Internet  e la conoscenza

“Internet è una minaccia alla democrazia. Internet è una risorsa della democrazia”.[1]

 

Negli anni 90 un meteorite investe il “villaggio globale” che provoca nel campo delle telecomunicazioni un autentico terremoto. Internet cambia tutte le regole del gioco del giornalismo e della comunicazione; tutti i media, radio, televisioni e giornali, devono ripensare a un loro riposizionamento nel campo dell’informazione e dell’intrattenimento. In questa piattaforma circola di tutto, vi scrivono tutti; “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano soltanto al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività” scrive il sociologo Umberto Eco.

Contro il Web si scaglia anche l’apocalittico filosofo coreano Byung-Chul Han nel suo libro dal titolo Nello Sciame:

“Con l’illusione di maggiore libertà di movimento, connessione, parola, (internet) sta rendendo prigionieri gli uomini e trasformando la comunicazione in un’esibizione pornografica dell’intimità e della sfera privata.(…) Il Web  è uno sciame composto da individui isolati, in cui la moltitudine diventa solitudine, generale disgregazione del comune e del collettivo”.[2]

Una notizia dura pochi istanti sostituita da altre notizie realizzate anche da ignoti cittadini non più con solo telecamere e registratori professionali, ma con i telefonini del “ citizen journalism”. E’ un onda in piena che tutto travolge. Una ricerca di base realizzata da Audiweb Trends, in collaborazione con la Doxa, certifica che: “risultano 40 milioni gli utenti nella fascia di età 11-74 anni che possono accedere a Internet da location fisse (casa, ufficio, luoghi di studio), o mobile”.[3] Nella prefazione del libro Neogiornalismo, il giornalista radiotelevisivo Sergio Zavoli commenta così l’avvento della rete:

“E’ in atto un cambiamento storico, sia del modo di diffondere le notizie, sia dei canali attraverso i quali sono fruite e lette. Oggi la via più immediata per apprendere notizie sembra sia diventata la rete, almeno per i più giovani. Il Web consente oggi di interagire con le news , integrarle, rilanciarle, o semplicemente commentarle. Star dietro a valanghe di notizie dovendo scremare il numero e il senso è già diventata una delle principali attività delle redazioni. Il giornalismo non può rinunciare al ruolo di controllore sistematico e severo di qualunque realtà palese e occulta. Così non può vedere impoverito il suo ruolo di moderatore dell’incontinenza dei partiti”.[4]

L’indottrinamento e il condizionamento della popolazione avviene in grande parte attraverso l’esplosione dei blog, facebook, Twitter, You tube, Whatsapp, con la tv pubblica confinata in una posizione sempre più marginale. Il diritto del cittadino di essere informato, connesso agli art. 21 e 3 della Costituzione Italiana, paradossalmente è sempre più a rischio, malgrado l’enorme onda in piena che genera una cascata di informazioni che non consentono più di individuare una notizia vera da una falsa e senza che ci sia un capillare controllo giuridico sul Web. Gli imprenditori privati, Google, Apple, Microsoft, i nuovi padroni dell’informazione, diventano spesso un reale pericolo per la democrazia, per la loro pervasività e il loro potere di privilegiare soprattutto l’aspetto economico, che si sostituisce alle ragioni politico sociali di una corretta informazione al servizio dei cittadini:

“Il potere è la capacità relazionale che permette a un attore sociale di influenzare asimmetricamente le decisioni di altri attori sociali in modo tale da garantire la volontà, gli interessi e i valori dell’attore che esercita il potere”.[5]

Scrive Stefano Rodotà, professore emerito di Diritto civile all’università la Sapienza: “La diffidenza per il carattere sconfinato dello spazio di Internet può favorire i tentativi di chiudere la conoscenza lì disponibile in nuovi recinti. (…) chiuderla variamente nell’inaccessibilità, o in accesso mediato da una pura logica economicistica, costituisce uno dei più grossi rischi di divisione e frammentazione delle nostre contemporanee società internazionali. Questo giardino murato o recinzione dei contenuti digitali costituisce una minaccia sempre più grande per il principio democratico dell’informazione dei cittadini e per quello scientifico della cumulabilità della conoscenza”.[6]

David Weinberger del Berkman Center di Harward, uno dei tanti guru appassionati di Internet, sostiene la tesi che la rete “ha cambiato dalle fondamenta il modo in cui il sapere è prodotto. La conoscenza sta prendendo la forma della rete”, annuncia con entusiasmo. In un suo recente libro, Too Big To Know, scrive:

“Oggi il sapere non risiede solo nelle biblioteche, nei musei e nelle riviste accademiche; non risiede solo nel cranio degli individui: le teste e le istituzioni non sono abbastanza grandi per contenere il sapere. La conoscenza è oggi una proprietà della rete, e la rete abbraccia le imprese, i governi, i media, i musei, le collezioni private e le menti che comunicano tra loro”.[7]

E’ la convinzione assurda e strampalata di tanti visionari che considerano la tecnologia innovativa di Internet una “biblioteca della conoscenza”, un laboratorio del sapere, che si auto alimenta senza nessun contributo culturale esterno. La realtà fortunatamente non è così. Le vere reti generatrici del sapere e della conoscenza, di cui si serve appunto internet, sono invece “gli studiosi, le università, i libri, le norme giuridiche, e tutti i fenomeni che sono studiati da uomini di cultura” che elaborano concetti e proposte poi divulgati da varie forme di tecnologie, tra cui Internet. Piuttosto il problema di navigare in questa piattaforma globale riguarda anche tutti quelli che non hanno acquisito nessuna conoscenza nel modo di accedere e usare i contenuti della rete, generati e pubblicati dagli uomini e non dai marziani, che consenta a tutti, in particolare ai più deboli, di migliorare la propria conoscenza e i propri diritti. Nasce, infatti, dal confronto delle idee, dal dialogo e dalla conoscenza, l’idea di una democrazia partecipativa. Per questo c’è uno sforzo mondiale dei governi di formulare regole e leggi che consentano soprattutto ai più deboli di informarsi autonomamente senza nessuna autorizzazione e censura. Il tutto per evitare che i pochi che siedono al vertice utilizzino le reti e le interconnessioni non solo per comunicare, ma per guadagnare posizioni sociali, politiche ed economiche. Di fronte alla potenzialità sempre più dirompente della rete e alla possibilità di ognuno di noi di interagire con altri, di inviare mail, ricercare amici, postare foto e pubblicare filmati, la “vecchia” Tv generalista rischia di diventare obsoleta soprattutto rispetto ai giovani che interagiscono con la rete diverse ore al giorno. Anche se, a fine giornata, è molto probabile che, esausti dall’uso continuo e a volte ossessivo dall’uso dello “ smartphone”, delle e-mail inviate e dell’invio di sms amorosi, ci si rifugi ancora una volta nel piccolo teleschermo televisivo per programmi che in definitiva sono il più delle volte realizzati da professionisti dell’immagine e del racconto, senza dimenticare i telegiornali pubblici che nel corso della giornata e della sera trasmettono continuamente notizie certificate da fonti certe. Del resto la televisione, in particolare la televisione pubblica, è un luogo della memoria, di ricordi ormai dimenticati, in cui è possibile ritrovare la propria identità collettiva persa ormai nel tempo. L’ancora della Rai pubblica è necessaria anche per mettere in guardia soprattutto i giovani e i più sprovveduti dal rischio di accedere a siti non affidabili, a volte pericolosi e privi di riscontri attendibili. Si sa, nel Web circola di tutto: notizie vere e notizie false; si sponsorizza un libro, un film, un personaggio politico non sempre per le sue qualità, ma spesso per i suoi interessi e i suoi intrallazzi politici e imprenditoriali. Non a caso scrittori e sociologi famosi come Umberto Eco, Morozov, Castells, Sustein, criticano, a volte con simpatica ironia, su quanto è quotidianamente scritto e mostrato su questo campo illuminato dai riflettori di libertà virtuale, con argomenti che spesso sono privi di qualsiasi interesse politico culturale che isola tra l’altro, dai contatti giornalieri della realtà in cui ognuno di noi vive. Non a caso lo scrittore coreano Byung – Chul Han nel suo libro di visioni del digitale scrive dell’illusione di stare con la massa, mentre in realtà si agisce in solitudine, anche se si respira apparentemente un atmosfera di felicità quando si è connessi: “quando comunico per via telematica col mio amico a San Paolo, non solo si piega lo spazio, ed egli si avvicina a me e io a lui, ma si piega anche il tempo, il passato diviene futuro, il futuro diviene passato ed entrambi divengono presenti”.[8]

In definitiva gli sviluppi della tecnologia, Internet in testa, rappresentano una vera opportunità per coloro che per tanti anni della loro vita hanno vissuto ai margini della società e che oggi, grazie alle nuove opportunità tecnologiche, consentono loro di far parte di un mondo a loro del tutto sconosciuto. Ciò vale maggiormente per i paesi in via di sviluppo, nei paesi dove esiste ancora la censura, dove i diritti sono inesistenti e dove le autorità governative, specie nei paesi totalitari, hanno spesso il potere di vita e di morte dei propri sudditi. Non fosse che per questo motivo, sia pure così importante per milioni di persone, Internet è il benvenuto nelle case di tutti i cittadini del mondo, pur con limiti giuridici ancora non raggiunti, con diseguaglianza digitale e con abusi e utilizzo della rete per convenienza politica o economica da parte di gruppi imprenditoriali privati. Secondo il professore di diritto dell’Universtà di Chicago, Cass Sunstein, il problema di internet non deriva dal digital divide, o da conoscenze tecnologiche insufficienti. E’ invece un problema più ampio e complesso che riguarda la circolazione e l’acquisizione di informazioni politiche pubblicate con la relativa trasparenza. A tanti anni di distanza dalla sua comparsa, perciò’, è necessario che le forze politiche di tutti i paesi europei ed extra europei collaborino per garantire la trasparenza, l’obbiettività, il pluralismo e, soprattutto, i diritti per tutti i cittadini che accedono nell’arena del cyberspazio. Le leggi approvate a livello nazionale, specie in Italia, sono già esistenti, occorre però renderle omogenee, attraverso l’ordinamento della rete, ad altre regole e leggi di altri paesi in maniera da essere inserite di diritto alla rete globale. Anche se, come scrive Franco Pizzetti: “Accade frequentemente che una figura giuridica, nata in un certo ordinamento e in un determinato contesto culturale e valoriale, trasmigri in altri, con caratteristiche spesso non coincidenti”.[9]

Molto si è fatto, molto c’è ancora da fare. Si tratti di garanzie, di censure, di privacy, di difesa dalle diffamazioni o del diritto all’oblio.

Giuseppe Careri

[1] Cass Sunstein, Repubblic.Com – cittadini informati o consumatori di informazioni? Il Mulino, Bologna 2003

[2] Byun-Chul Han – Nello sciame, visioni del digitale – Nottetempo 205 – Corriere della sera del 15 maggio 2015

[3] Audiweb Trends – Doxa – Dicembre 2014

[4] Mario Morcellini (a cura di) Neogiornalismo – Tra crisi e rete – Come cambia il sistema d’informazione – Carocci 2011

[5] Manuel Castells – Comunicazione e potere – Università Bocconi Editore – 2009

[6] Stefano Rodotà – Il diritto di avere diritti – Editori Laterza, Roma Bari – 2012

[7] Opc; Evgeny Morozov – Internet non salverà il mondo – Strade Blu, Mondadori – Milano – 2014

[8] Byung-Chul Han – Nello sciame – visioni del digitale – figure nottetempo – Roma, 2015

[9] Franco Pizzetti (collana diretta) – Il caso del diritto all’oblio – G. Giappichelli editore – Torino, 2013