RICORDI DEL 25 APRILE 1945 – di Giuseppe Spataro

RICORDI DEL 25 APRILE 1945 – di Giuseppe Spataro

Il Domani d’Italia pubblica il seguente articolo di Giuseppe Spataro, che volentieri riprendiamo per ricordare il giorno del ritorno dell’Italia alla Democrazia

 

Giuseppe Spataro, giovane segretario di Luigi Sturzo nel primo dopoguerra, fu accanto a De Gasperi nell’attività che portò a cavallo della caduta di Mussolini alla fondazione della Dc. Nel “salotto giallo” del suo studio, a via Cola di Rienzo, erano soliti riunirsi i partiti del Cln.

Il 25 aprile 1945 si concluse per l’Italia la più dolorosa e tormentata vicenda della sua storia dall’unità nazionale ai giorni nostri. Il celebrare questa data non è gesto retorico, bensì affermazione solenne del rispetto che si vuole e si deve infondere alle nuove generazioni per gli avvenimenti e gli uomini che scrissero le luminose pagine della Resistenza. Il 25 aprile, dunque, è una data che va ricordata, illustrata, spiegata, vorrei dire, all’opinione pubblica, per sua natura immemore.

Il giorno in cui i patrioti liberarono Milano e le guarnigioni nemiche si arresero ai CLN della Liguria e di altre regioni, quel giorno volle dire per il popolo italiano il compimento del suo risorgimento, con il pieno diritto di rientrare nell’area delle nazioni libere e democratiche.

I tedeschi erano stati battuti e costretti alla ritirata non solo dalle forze militari alleate, ma anche dai combattenti dell’esercito e delle formazioni partigiane, appoggiati dai cittadini di ogni categoria sociale per lo spirito di coesione suscitato dai CLN.

La Resistenza non va, però, intesa soltanto come operazione militare, non va ricordata soltanto come l’insurrezione gloriosa del nord, anche se questi fatti costituiscono due aspetti importantissimi della conclusione della guerra. Restringere la Resistenza in tali limiti significherebbe sminuire il significato di rinnovamento nazionale che ebbe e che deve avere anche di fronte alle nuove generazioni.

Ansia di rinnovamento nazionale per l’anelito di giustizia e di libertà di tutti gli italiani, i quali, divenuti ormai intolleranti del lungo ventennio di dittatura, reclamavano un più giusto ordinamento sociale. Va ricordato anche che la lotta unitaria contro il fascismo ebbe inizio già nel lontano 1924, dopo il delitto Matteotti, ad opera di un gruppo ristretto di uomini di ogni ideologia politica. Nacque allora l’<<Aventino>> come forza unitaria dell’antifascismo italiano, e durante il periodo della guerra l’antica alleanza dell’<<Aventino>> spontaneamente si ricompose e agli anziani si unirono i rappresentanti delle nuove generazioni per costituire il Comitato delle correnti antifasciste che il 9 settembre 1943 si trasformò in Comitato Centrale di Liberazione Nazionale.

Badoglio non aveva potuto o saputo evitare le pesanti clausole dell’armistizio, di cui volle assumersi da solo tutte le responsabilità, sottovalutando l’apporto che avrebbe potuto avere dal Comitato Centrale delle correnti antifasciste che, anche per la frequente presenza degli esponenti delle opposizioni di Milano, era un organo altamente qualificato e rappresentava veramente tutte le forze vive del Paese.

Non è questa la sede per illustrare il periodo 1942-’45; certo però Roma ebbe ininterrottamente un ruolo importante e alcuni uomini seppero assumere grandi responsabilità in un’azione difficile, non scevra di contrasti, ma sostanzialmente coerente ed efficace, al fine di accelerare il ritorno della libertà e l’inizio del regime democratico.

Il 4 giugno a Roma non ci fu l’insurrezione popolare come al nord. Un gesto di sanguinosa ribellione sarebbe stato pagato a caro prezzo – l’eccidio delle Fosse Ardeatine insegnava – dalle popolazioni di tutte le regioni al nord di Roma, dove i tedeschi avrebbero centuplicato le vendette sui cittadini inermi. Ecco il perché Roma non poté assumersi la responsabilità di un gesto che, al contrario dell’effetto splendido sortito al nord, avrebbe portato sofferenze, dolori, lutti.

Avere evitato l’insurrezione a Roma fu merito soprattutto di De Gasperi, il quale si trovò spesso a dover spegnere l’entusiasmo insurrezionale dei suoi colleghi del CLN, riuscendo con il suo ascendente a persuaderli che quella iniziativa non sarebbe stata producente.

Con l’arrivo degli alleati a Roma il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale divenne il governo della nuova Italia. Questo governo era ben consapevole della grave situazione in cui si trovavano nelle regioni del Centro-Settentrione milioni di italiani esposti alle offese belliche e alle persecuzioni dei nazisti, affiancati nelle loro azioni violente ed incivili da alcuni nuclei di fascisti i più squalificati.

Nel dicembre del 1944 fu costituito perciò il Ministero dell’Italia occupata; fu quello uno dei modi, consentito dagli alleati al governo, per venire incontro ad alcune pressanti istanze del Nord per le necessità della guerra e della lotta ai nazi-fascisti, lotta che si svolse con una intesa – purtroppo mai raggiunta negli anni successivi – tra tutti i partiti, tra industriali e lavoratori, tra agricoltori e operai, in un clima di reciproca fiducia, animati tutti da una stessa volontà, con l’unica meta avanti agli occhi: la libertà, premessa e garanzia di democrazia e di giustizia.

Finalmente dopo tanto sangue sparso da migliaia di giovani, caduti, feriti e mutilati, dopo infiniti sacrifici di tutti i combattenti, dopo incredibili sofferenze delle popolazioni, venne il giorno della liberazione dal nemico e del ritorno della libertà.

Appena a Roma giunse la tanto attesa notizia, lo stesso giorno del 25 aprile, il presidente del Consiglio on. Ivanoe Bonomi convocò il Consiglio dei Ministri ed il governo inviò a mezzo delle stazioni radio il saluto della Patria alle popolazioni liberate, esaltando il valore dei combattenti dell’esercito e delle formazioni partigiane.

(Il Popolo, 25 aprile 1965)