La Spagna supera il bipolarismo e chiede che trionfi la politica più che la legge elettorale

La Spagna supera il bipolarismo e chiede che trionfi la politica più che la legge elettorale

Perdono tutti nelle elezioni spagnole e il Primo Ministro del Partito popolare, Rajoy, potrebbe non farcela a formare un governo visto che ha trovato nelle urne solamente i voti per ottenere 123 seggi rispetto ai 176 che servirebbero per dare via libera alla nascita di un nuovo esecutivo.

La Spagna, dunque,  deve ora fare i conti con una crisi politica del tutto nuova ed inedita per il quarantennio che la separa dalla fine del regime franchista.

Si concludono, con la fine evidente del sistema bipolare, quattro decenni caratterizzati da un meccanismo elettorale finalizzato a semplificare la vita politica, a dare chiarezza subito dopo la chiusura delle urne su chi avrebbe il diritto di governare, a favorire l’alternanza tra il centro destra dei Popolari e il centro sinistra dei socialisti.

Per adesso, tutto ciò è superato. Con i due partiti tradizionali ne sono apparsi altri due, senza per questo far scomparire i più piccoli che rappresentano i separatisti catalani e baschi. Tra questi, oltre al Podemos che esprime la difficoltà della sinistra tradizionali, compare quella che potrebbe essere definita una contestazione di centro e non reazionaria.

E pensare che a lungo, anche nel corso del dibattito sulla legge elettorale Italiana, vi è stato chi in Europa si è innamorato dell’ipotesi di farlo ”alla spagnola” per richiamarsi ad un tipo di voto in grado di assicurare la cosiddetta governabilità.

Il risultato delle elezioni iberiche sta, invece, a confermare la certezza che politici, politologi e giornalisti si sbagliano quando puntano a risolvere i problemi della gestione di un paese costringendolo nella camicia di forza di un sistema elettorale imposto dall’alto, percorrendo una oggettiva “scorciatoia”e saltando tutte le mediazioni e le intermediazioni più che mai necessarie in società complesse ed articolate come sono oramai quasi tutte  quelle più evolute e a noi contemporanee.

L’ex premier socialista spagnolo Gonzales aveva previsto che il voto avrebbe portato a casa sua il formarsi di una situazione da lui definita all’italiana, ma senza gli italiani.

Frase con la quale intendeva riferirsi alla necessità di dotarsi di una nuova dimensione politica dettata dal doversi confrontare con una situazione di ingovernabilità provocata dalla mancanza dei “numeri”.

Quel  “ma senza gli italiani” sta a segnare il riconoscimento della carenza da parte della realtà spagnola di una strutturale capacità di iniziativa politica necessaria in momenti particolarmente critici destinati ad affacciarsi nella storia di ogni paese.

Specialmente quando, nonostante tutti i sistemi elettorali escogitati per evitarlo, si inceppa il meccanismo spesso escogitato solo per ottenere la famosa “semplificazione della vita politica”. Cosa che molto spesso finisce solo per trasformarsi in una pericolosa compressione delle naturali dinamiche sociali e civili.

Il premier spagnolo Rajoy, ma anche il suo avversario socialista, Pedro Sanchez, paga tutto assieme lo scotto di una politica giocata meramente sulla contrapposizione bipolare portata alle estreme conseguenze nella convinzione che, in fondo, la mancanza dell’alternativa porterà gli elettori a fermarsi di fronte al rischio del salto “ nel buio”.

Non sempre, però, il gioco riesce e dagli indecisi e da chi è tentato di non andare a votare può sempre venire qualche brutto scherzo. Così, in Spagna è aumentata l’affluenza al voto così come accaduto al secondo turno in Francia dove però è stata costretta a risorgere l’anima antifascista della Repubblica per eccellenza, capace di tollerare la protesta dei Le Pen ma difficilmente disposta ad affidarsi loro completamente.

Rajoy non ha forse calcolato, ma tra i conservatori popolari europei non è l’unico, che la grave crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha finito per modificare nel profondo i paradigma di riferimento cui hanno guardato fino alla caduta del Muro di Berlino i settori moderati e centristi.

Anzi, al di là del fatto che non abbiano ritrovato nelle urne i voti loro accreditati, i contestatori moderati di  Ciudadanos di Albert Rivera, confermano che il Partito popolare europeo finito in una deriva di destra e di conservazione, capace solo di raccordarsi con gli interessi del vecchio sistema produttivo e l’arrambante nuovo sistema finanziario, porta alla nascita di nuove autonome posizioni centriste destinate a complicare il panorama politico, non a semplificarlo.

I popolari europei sembrano restare sordi ad ogni invito alla riscoperta di quei valori di solidarietà e di impegno sociale che hanno fatto grande nel dopo Guerra il movimento democratico cristiano europeo. Sottovalutano, inoltre, che il messaggio di Papa Francesco rende sempre più evidente lo scollamento dei vertici del popolarismo europeo con il popolo vero dei cristiani il quale dovrebbe seguirli quasi per antonomasia nel loro percorso politico. Ma non è più così.

La situazione si sta complicando dappertutto perché aumentano e si dilatano vecchie e nuove recriminazioni. Anche da parte di settori più ampi di società civile costrette progressivamente a perdere le certezze di una volta senza recuperare nuovi punti di riferimento stabili e duraturi.

E’ per questo che sono destinate ad aumentare le dichiarazioni alla Bersani da parte dei leader di molti paesi: quel siamo primi, ma non abbiamo vinto che oggi deve amaramente pronunciare anche il leader dei popolari spagnoli.

Dopo anni di contrapposizione estrema, Rajoy è costretto oggi a dichiarare di voler formare un governo capace di essere tale per tutti gli spagnoli. Ci riuscirà? Vedremo se la ragionevolezza consentirà di risolvere la grave crisi aperta con un voto che interessa uno dei paesi più importanti d’Europa e se, come sembra, popolari e socialisti avvieranno una qualche forma di collaborazione.

L’ingovernabilità provocata da un eccesso di contrapposizione può costituire un rischio, forse, anche per Matteo Renzi  il quale ha voluto a tutti i costi quell’Italicum destinato, come ha ricordato il professor Passigli sul Corriere della Sera, proprio ad ottenere il risultato opposto a quello cui si punta e cioè  la governabilità.

I politici europei invece di fare dell’ingegneria elettorale farebbero bene ad affrontare i problemi reali posti dalla sommatoria dalle tante questioni messe sul tavolo da ciascuno dei 28 paesi che formano l’Unione, cambiando radicalmente gli indirizzi di governo e della gestione dell’economia.

Il  modo migliore di farlo è quello di mettersi a fare politica. Il che vuol dire, come insegna l’unico politologo meritevole di essere ascoltato, un certo Maurice Duverger, scomparso nel silenzio generale esattamente un anno fa, accettare umilmente il fatto che la struttura politica è creata dalla storia di un paese, dalla evoluzione della sua articolazione sociale e culturale, dalle dinamiche profonde che animano una determinata società.

Il risultato di Madrid conferma quanto sia illusorio pensare il contrario e perseguire il puerile tentativo di cambiare le regole senza rispondere alle esigenze ed alle necessità reali di decine di milioni di persone. Nel caso dell’Europa, di circa 600 milioni di persone.

Oppure pensiamo che fenomeni come quelli dei 5 Stelle in Italia, delle Le Pen in Francia ed oggi dei Podemos e di Ciudadanos in Spagna siano frutto dei capricci di elettori improvvisamente impazziti?

Giancarlo Infante