Muore a 96 anni Licio Gelli, il capo della P2. Un pericoloso cialtrone. Anche lui frutto di una certa Italia

Muore a 96 anni Licio Gelli, il capo della P2. Un pericoloso cialtrone. Anche lui frutto di una certa Italia

E’ morto Licio Gelli. 96 anni. Quasi tutti vissuti da lui  alla grande. Prendendo in giro un po’ tutti. Un tipico frutto del peggio dei vizi italici che si potrebbero sintetizzare nella formula del cialtrone pericoloso.

Un venditore di fumo in grado, però, di incantare, ricattare e condizionare uomini inseriti in alcuni gangli vitali del Paese costituendo  un autentico potenziale pericolo per la democrazia italiana. E non solo, visto che veniva ricevuto ed ascoltata da Peron e da tanti golpisti argentini, uruguaiani e di altri paesi sud americani.

La P2, da lui fondata mettendo in piedi una loggia segreta, ostacolata in tutti modi però per primi dai massoni democratici di tutto il mondo, era diventata una vera e propria cloaca in cui confluiva il peggio dello stivale.

Mafiosi, fascisti, golpisti, imprenditori rampanti, giornalisti, militari, dirigenti dello Stato ambizioso i cui aspetti più patetici sono stati rappresentati con la sua solita eccezionale maestria da Alberto Sordi nel “Borghese piccolo, piccolo”.

L’aricchimento, la carriera, il potere guadagnato a buon mercato costituivano il vero propellente della Loggia Propaganda 2 che Gelli ideò per perseguire disegni oscuri, anche se confusi che però in alcuni settori, vedi il controllo dell’Eni ed altri enti di stato, gli portavano capacità di manovra e di condizionamento. In ogni caso diretti a scardinare i principi fondanti della nostra democrazia, la libertà d’informazione, le regole del mercato.

Secondo quanto scoprì e rese pubblico alla guida de La Nazione di Firenze, dopo essere stato un grande giornalista de Il Corriere della sera, Gianfranco Piazzesi, Licio Gelli aveva iniziato a mettere in mostra le sue doti facendo il collaborazionista dei nazisti occupanti la sua Arezzo e la Toscana dopo l’8 settembre del 1943.

Poi, pensò bene di riciclarsi divenendo informatore dei gruppi più stalinisti del Partito Comunista toscano che sembrava avere il vento in poppa dopo il ’45. Probabilmente, Gelli collaborò con i comunisti solo per salvare la pelle tornò a frequentare i vecchi ambienti di destra non appena cambiò la situazione italiana.

Come Piazzesi ebbe modo di raccontarmi e, poi, se non ricordo male, lo scrisse successivamente in maniera esplicita, una mattina trovò una serie di documenti che qualcuno gli aveva infilato nella cassetta della posta. Gettavano una luce sinistra sul Gelli degli anni ’43- ’48.

Piazzesi raccontò le cose principali sul giornale fiorentino, dimostrando un grande coraggio nel mettere in piazza i fatti e i fattacci di un massone come Gelli proprio in quella terra che è considerata la culla della Massoneria italiana. Poi, mise tutto in ordine con un libro edito per la Garzanti del titolo emblematico: “Gelli. La carriera di un eroe di questa italia”.

Per discrezione non insistetti con Gianfranco quando rispose solo con un sorriso sornione al mio quesito sulla possibilità che quei documenti glieli avesse fatto trovare qualche massone per bene ancora impegnato nella battaglia scoppiata dentro la Massoneria italiana proprio con la nascita della P2 la cui forza era proprio costituita dalla sua segretezza.

La segretezza, infatti, consentì a Gelli di reclutare noti altissimi funzionari dello Stato e collaboratori di importanti ministri e Presidenti del Consiglio, militari di alto rango, appartenenti a tutte le armi, giornalisti di peso che provavano a diffondere il verbo gelliano contrario ai partiti popolari, alla Rai del servizio pubblico, allo sviluppo di un autentico libero mercato industriale e finanziario, non guidato da gruppi parassitari e usi solamente a vivere di aiuti e protezioni pubbliche. In una parola, contrario a tutto ciò che aveva segnato lo sviluppo democratico dell’Italia post fascista.

Di Gelli si è giunti a creare l’immagine di un grande burattinaio. Anche se c’è stato chi lo pensava uno strumento utilizzato da altri, certamente dalle capacità più raffinate delle sue. Fu il caso di  Craxi che pensava fosse quella di Giulio Andreotti.

In ogni caso, la letteratura sull’uomo è vasta ed aneddotica e molti resoconti fanno veramente interrogare sulla consistenza del personaggio e sui suoi veri obiettivi. Fanno emergere anche l’assoluto disprezzo di Gelli nei confronti degli uomini che manipolava a piacere una volta che  associati alla sua Loggia. Emblematico il resoconto che lo voleva sghignazzante dopo ogni iniziazione importante una volta che il nuovo adepto se ne era andato raggiante: “ne abbiamo fregato un altro”.

Giancarlo Infante