Migranti: l’Europa ritorna ad Aprile. Vaghezza sulle quote e voglia di bombardare gli scafisti

Migranti: l’Europa ritorna ad Aprile. Vaghezza sulle quote e voglia di bombardare gli scafisti

Se non ci fosse da parlare di un autentico dramma ci sarebbe proprio da dire che l’Europa ritorna a bomba. Cioè a quando lo scorso aprile, a seguito degli affondamenti di alcuni barconi, con oltre un migliaio di migranti  finiti affogati, il Vecchio continente e il mondo intero dovettero prendere atto che quello dei migranti, profughi, immigrati, rifugiati, clandestini, ognuno li chiami come crede, era e resta un problema da tutti chiamato epocale e che, pertanto, richiede l’intervento e una responsabilità condivisi.

L’Europa deve riunirsi nuovamente per accogliere quelli che hanno diritto a vedersi riconoscere lo status di rifugiato e di bombardare gli scafisti che hanno messo in piedi un business che vale milioni e milioni di euro sulla pelle di centinaia di migliaia di persone che provano a raggiungere le sponde europee o tramite il canale di Sicilia o il Mare Egeo, tra Turchia e Grecia.

Le difficoltà restano le stesse di aprile anche se adesso la differenza è che Italia e Grecia non sono più lasciate sole nel senso che l’ondata degli immigrati ha preso di mira proprio l’Europa centrale e  quella del Nord. Nei giorni scorsi i giornali sono stati pieni di titoli che riguardavano le decine  e decine di migliaia di rifugiati, in gran parte siriani, che dalla Grecia e Turchia hanno raggiunto il cuore dell’Europa attraversando Balcani ed Ungheria.

In questi mesi è andato lievitando, così, il numero di coloro che dovranno essere accolti, Dai 20 mila iniziali si è giunti a 160 mila anche se voci di corridoio di queste ore parlano della riduzione e a 120 mila per ridurre l’opposizione di chi è contrario ad ogni ipotesi di accoglienza basata su una distribuzione che coinvolga tutti i paesi europei.

Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia sono del tutto contrari ad una suddivisione calata da Bruxelles e vogliono che la decisione sia lasciata su base volontaria a ciascun paese, cosa che sanno loro per primi significherebbe in realtà non accogliere nessuno e limitarsi ad innalzare muti e filo spinato.

Ogni volta che queste difficoltà si ripresentano ritorna anche il mantra di correre a bombardare i barconi degli scafisti, quasi come si volesse addolcire alle destre xenofobe la pillola dell’accoglienza. E anche questa volta che l’Europa è invasa lungo le rotte di terra si ripresenta la questione scafisti.

Il fenomeno degli scafisti riguarda in particolare il traffico di esseri umani originato nel Nord Africa, dove la Libia svolge il ruolo fondamentale di piattaforma di lancio, con qualche appendice in Tunisia e in Egitto.

Da subito, assieme alla decisione di accogliere in due anni, prima 20 mila e poi 40 rifugiati, politici e giornalisti si innamorarono delle’idea di andare a distruggere barconi e gommoni  in terra libica. Furono, in verità, subito dissuasi dai vari governi oggi esistenti in Libia e dalla complessità della situazione internazionale determinata dalla presenza anche nell’ex colonia italiana degli uomini dell’Isis, dalle proteste preventive dei libici timorosi di veder colpite anche imbarcazioni d’innocenti pescatori che dal Mediterraneo traggono un guadagno onesto. Il Governo di Tobruck, l’unico riconosciuto dal consesso internazionale, per essere ben compreso non esitò a mandare a picco una nave che si diceva portasse armi in un porto controllato da un altro Governo libico. Il messaggio era chiaro, qualunque imbarcazione, si azzardi ad avvicinarsi alle coste nord africane subirà la stessa sorte.

In queste ore, però, sembra che una specie d’accordo tra l’esecutivo di Tobruck e quello di Tripoli dovrebbe essere raggiunto dopo un intenso lavorio diplomatico svolto dalle Nazioni Unite. Se questa intesa fosse confermata, potrebbe essere messa in piedi un’operazione internazionale sotto l’egida dell’Onu che possa servire a distruggere, o almeno a contrastare, tutta la rete, terrestre e marittima, organizzata nel nord Africa utilizzata per il traffico umano lungo le onde del Mediterraneo.