Lo scontro sull’obbligatorietà delle quote mostra i limiti del progetto europeo

Lo scontro sull’obbligatorietà delle quote mostra i limiti del progetto europeo

Il vertice del Consiglio europeo diventa una battaglia verbale, a tratti aspra, fra il premier italiano Matteo Renzi e alcuni rappresentanti dei paesi dell’Europa orientale. L’Italia è spalleggiata, oltre che dal Presidente della Commissione Juncker, da Francia e Germania.

«Non siete degni di chiamarvi Europa » sarebbe stata l’accusa del Primo ministro italiano, a quei Paesi che più di tutti hanno beneficiato dei fondi europei e che . adesso, non vogliono accettare un accordo  vincolante in materia di accoglienza dei migranti.  Renzi ancora una volta ha ricordato che, stando così le cose,  l’Italia sarebbe pronta a fare da sola. «Se questa è la vostra idea di Europa tenetevela» avrebbe tuonato l’ultimatum di Renzi.

L’argomentazione del premier fiorentino è stata in seguito ribadita dall’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, per la quale l’Europa deve dimostrare di essere un attore internazionale credibile.

 Eppure, pochi giorni fa si era ottimisti sull’accettazione della proposta della Commissione Juncker sulla redistribuzione ai Paesi membri tramite un sistema di quote obbligatorie di quei 40.000 richiedenti asilo al momento a carico delle sole Italia e Grecia.

Oltretutto, si parla di cifre irrisorie se si considera che, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’anno scorso il numero di richiedenti asilo nel mondo ha superato la soglia dei 50 milioni:  un vero e proprio record dalla Seconda Guerra Mondiale.

 

La questione dell’immigrazione apre un’altra crepa nell’edificio comunitario. La progressione dell’unità politica e finanziaria, già bloccata dalla crisi del debito prima e dell’aggravamento della condizione greca poi, potrebbe incontrare un altro forte ostacolo.

L’Unione europea è un’istituzione imitata in tutti i progetti d’integrazione regionale del mondo, ma la crisi d’identità che la percorre ormai è palese. L’unica decisione che è riuscita a prendere è stata dare il via alla missione europea per distruggere i barconi degli scafisti denominata Eunavfor Med, che accompagnerà a Triton un blocco navale nei confronti della Libia. Una decisione questa, però, che deve tener conto della profonda e continuamente ribadita contrarietà da parte dell’unico Governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale e, pertanto, dell’assoluta necessità che giunga il sostegno da parte delle Nazioni Unite.

Ma anche in questo caso, non mancano i quesiti sulla reale priorità delle autorità di Bruxelles: aiutare persone che fuggono la guerra e le persecuzioni o impedire loro di venirci a “disturbare”?

Certo, possiamo distruggere le barche, arrestare qualche poveraccio che per fare il viaggio gratis ha accettato di guidare la nave ( non sono gli organizzatori della tratta umana a farlo), e poi cosa avremo risolto se è vero che circa mezzo milione di persone resterà bloccato in Libia. Un po’ come nascondere la polvere sotto al tappeto.

La miopia dilagante viene confermata anche da come tutta la crisi dell’immigrazione è solitamente ridotta al solo caso libico ed alle coste del Nord Africa. In realtà, i problemi vengono da più lontano delle coste magrebine.

Se si esaminano i dati del Ministero dell’Interno italiano si vede che le richieste d’asilo più numerose sono quelle di immigrati dal  Golfo di Guinea con Gambia (1639 richiedenti asilo), Senegal (1194), Nigeria (1310), Mali (876), Ghana (279), Guinea (199), Guinea-Bissau (115)e Burkina Faso (46). Questa, infatti, è una zona di passaggio fra il Sahara e il Sahel, e soggetta, quindi, a cicli di carestie e crisi idriche. Non mancano poi guerre civili, epidemie, regimi repressivi, disoccupazione dilagante e più recentemente la violenza degli islamisti di Boko Haram.

A completare il quadro africano della disperazione c’è il Corno d’Africa con Somalia (105), Eritrea (81). La Somalia è ormai indicata nei manuali di politologia come archetipo dello Stato fallito: in seguito alla guerra civile, non esiste più alcuna autorità centrale e il potere è gestito da signori della guerra che si spartiscono le risorse.

A questi Paesi si unisce l’Egitto (109) per via delle repressioni portate a danno dei Fratelli Mussulmani  dopo il colpo di Stato del 2013. Poi vengono naturalmente Iraq (93), Palestina (28), Iran (48) e Siria (64), a cui bisogna aggiungere i turchi (49) che si lamentano della svolta autoritaria del Presidente Erdogan.

Anche dall’Asia continua la tratta umana dei migranti, avviate a volte anche a distanze spaventose dall’Europa, come per chi parte dal Bangladesh (720), il Pakistan (1023), l’Afghanistan (811).

Non mancano i richiedenti asilo europei provenienti principalmente da Ucraina (807), Albania (77) e Kosovo (50).

Su un totale di 11.247 domande presentate nei soli mesi di gennaio e febbraio si registra una percentuale di diniego prossima al 50%, mentre nel decennio precedente la tendenza era leggermente più bassa con il 40%.

La stragrande maggioranza dei migranti giunge sulle nostre coste proveniente dalla Libia. Viene spontaneo riflettere su quella che appare una scomoda verità: Gheddafi era il “tappo” del vaso di Pandora, un “gradito” scudo per quelle crisi africane, Mediorientali o asiatiche per le quali anche l’Europa aveva in molti casi una pesante responsabilità storica, anche se  molti europei  preferivano e preferiscono ignorare questo aspetto.

Ora che la diga però si è rotta la situazione è cambiata completamente e viene da chiedersi come si possa procedere ad un’integrazione politica dell’Unione sulla base di una visione  limitata dei fenomeni, con una realtà fatta anche di governi ostaggi dei sondaggi di opinione e che litigano per ospitare poche migliaia di persone.

Luca Bertuzzi