Renzi, il viaggio in Afghanistan e De Gaulle nel ’68. Il momento delle decisioni. Ci riserva qualche sorpresa?

Renzi, il viaggio in Afghanistan e De Gaulle nel ’68. Il momento delle decisioni. Ci riserva qualche sorpresa?

All’improvviso, nel pieno dello spoglio delle schede per le elezioni regionali, quando tutti lo attendevano di fronte ai microfoni di radio, televisioni e giornalisti di carta stampata perché ci dicesse la sua sui risultati che davano al Centro sinistra 5 regioni contro 2, ma con un calo nettissimo di voti per il Pd, Matteo Renzi si defilò e volò in Afghanistan. E’ ricomparso con una divisa militare mentre arringava le nostre truppe schierate sugli attenti.

A sentire i colleghi giornalisti che si occupano di Palazzo Chigi, il volo verso l’Afghanistan non era affatto previsto in agenda e costituisce una delle poche occasioni in cui il Presidente del Consiglio non abbia fatto un viaggio senza portarsi dietro i giornalisti.

Immediatamente, si è pensato ad una sua forma di imbarazzo, difficoltà, nell’affrontare un vero e proprio momento di crisi attorno cui sorge un non facile quesito: come uscirne? Come il pugile trionfante che prende un gancio inatteso, ha bisogno di riprendere fiato, alle corde?

I risultati elettorali, infatti, hanno confermato alcune cose che per primo Renzi non poteva aspettarsi. Soprattutto che la sinistra interna e quella esterna continuano ad avere il famoso “zoccolo duro” che se colpisce può fare ancora male.

Renzi non sfonda al Centro e non cattura affatto i voti moderati, al punto tale da poter rendere del tutto superfluo il peso dei Bersani, Cuperlo, Fassina e tutti gli altri che arricchiscono ancora di “scettici” il Pd. Anzi, i voti li perde, sia in termini relativi, sia assoluti.

Il suo Governo, e con esso il Pd, paga alcuni errori micidiali che hanno oscurato le lodevoli cose fatte di cui, però, altra cosa su cui riflettere, nessuno parla. Tre soprattutto questi errori.

Il primo è sicuramente costituito da tutta la pantomima messa in scena con il ministro Padoan sul famoso “tesoretto”. Quei circa 1.500 milioni apparsi e scomparsi, come l’oasi al disperso nel deserto. Si sono volatilizzati a causa della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni. Non gli hanno consentito un secondo “coup de théâtre” simile a quello degli 800 euro prodigalmente concessi prima delle appena passate elezioni europee.

Poi, l’infelice idea di andare a perdere i voti nel mondo della scuola con l’annuncio di una controversa riforma presentata in modo tale che neppure risalta il risultato positivo di avviare la sistemazione di migliaia e migliaia di precari.

Infine, se vogliamo limitarci a tre soli punti, l’impressione offerta a livello internazionale di essere completamente isolato in materia di immigrazione. Questione su cui l’Italia continua a pagare il massimo del prezzo senza incassare alcunché. Intanto, monta la contrarietà popolare alla più che lodevole linea di salvare più gente possibile ed evitare che il “nostro” Mediterraneo diventi un’immensa bara. Elemento questo che potrebbe spiegare almeno in parte i voti della Lega e, persino, del Movimento 5 Stelle.

E’ inutile girarci attorno, la questione migranti è stata gestita male ed è evidente a tutti lo stato d’isolamento in cui si trova l’Italia nel contesto europeo.

Comprensibile, allora, che Matteo Renzi se ne voli in Afghanistan ad affrontare i talebani invece che le insidiose domande dei giornalisti anche se, in fondo, potrebbe sempre sostenere il mantra: abbiamo finito 5 a due.

Perché, allora, il viaggio? Ai più anziani in voglia di ironizzare, è subito venuto in mente un precedente di un grande militare e politico di razza: il generale Charles De Gaulle.

Era anche allora di maggio. Erano i famosi, ed irraggiungibili, giorni del maggio per antonomasia: quello del ‘68 francese.

Le strade di Parigi sono in mano ai contestatori. Il generale scompare per tre giorni. Va a Baden- Baden ad incontrare il generale Massu. Ai più giovani deve essere ricordato che a Baden-Baden si trovavano le truppe corazzate francesi che facevano parte delle forze di occupazioni alleate della Germania, allora ancora divisa in due dalla cosiddetta “cortina di ferro”. Il generale si assicura l’appoggio delle truppe e torna a Parigi dove sbaraglia contestatori esterni ed interni.

Renzi avrà avuto in mente questo precedente quando ha deciso di sottrarsi per alcune ore alla pressione romana? Forse sì, forse no. Di certo, c’è il fatto che deve decidere carico di domande com’è.

Torna e va alle elezioni? O meglio, prova ad andarci? Perché questa è questione di competenza del Presidente Mattarella. In ogni caso, osservando le indurite facce dei nostri valorosi soldati che rischiano la vita, non un posto in parlamento, in una cruda realtà come quella afghana, avrà riflettuto sul fatto che governare non è la stessa cosa che fare il Sindaco di Firenze? Giungendo a quale conclusione? Avrà preso atto che il suo partito appare nei fatti dissolto?

Le strade dinanzi a lui appaiono tre: andare avanti come se niente fosse, sulla stessa linea dei comportamenti seguiti nel corso degli ultimi pochi mesi, da quando Berlusconi, cioè, gli ha tolto la sponda di appoggio assemblata con il patto del Nazareno. Quanto durerebbe? in molti si chiederanno. Anche perché su questa linea la minoranza del Pd, con il resto dei partiti di opposizione, sarà in grado di fargli vedere i sorci verdi su ogni provvedimento che attenderà il vaglio parlamentare.

Oppure, introdurre nel proprio lessico un termine che Renzi sembra non trovare più nel Devoto Oli: “compromesso”. Un sostantivo maschile che sta a significare, sì, “messo in pericolo, a repentaglio, intaccato, danneggiato, ecc “, ma anche altre varie cose tra cui spicca: “soluzione incompleta e spesso discutibile, cui si è portati da motivi o interessi contingenti”.

In poche parole, Matteo Renzi potrebbe fare di necessità virtù e ritornare a dialogare con tutti i suoi, in vista di un radioso futuro da costruire insieme.

La terza soluzione possibile è quella che Matteo Renzi torni da questa sua esperienza “degolliana” con le dimissioni in tasca per appellarsi al Paese, per provare a costringere il suo partito a cedergli completamente, per far vedere a tutti la drammaticità di una situazione che merita scelte radicali e definitive perché la Prima repubblica, anche grazie all’introduzione della recente legge elettorale, è finita definitivamente. Poi si vedrà.

Forse, però, ci potrebbe essere una “quarta ipotesi”, quella che l’alleato Lorenzo Dellai di Democrazia Solidale, Presidente del Gruppo parlamentare “Per l’Italia- Centro democratico” gli ha appena prospettato su Il Domani d’Italia. L’ipotesi cioè di dare vita ad un vero e proprio “cantiere democratico” per riannodare la trama di un quadro politico frammentato.

Questo significherebbe proseguire sulla linea delle trasformazioni che Renzi vuole introdurre, ma coinvolgendo piuttosto che “urticando” non solo quelli del suo Pd, ma anche i sinceri democratici animati dalla voglia di fra crescere il Paese e prendere nelle vele il vento della ripresa economica.

Giancarlo Infante