La strada in salita dell’Europa per risolvere la questione migranti nel Mediterraneo

La strada in salita dell’Europa per risolvere la questione migranti nel Mediterraneo

Che grave errore caricare di attese i vertici internazionali, soprattutto quelli dell’Unione Europea. A volte paga lì per lì, ma molto spesso finisce solo per mostrare limiti di compagini governative e personali. E’ risaputo che i vertici portano sempre a poco, come risultati concreti. Mentre, invece, soprattutto prima del loro svolgimento, servono a tenere in piedi il circo Barnum della comunicazione, dell’emotività e dell’ipocrisia di molti governanti e di altrettanti editorialisti e comunicatori.

Lo sanno tutti che le questioni delle grandi migrazioni sono complesse. Troppo complesse per essere lasciate a frettolosi vertici attorno ai quali si crea un’attesa spasmodica perché da loro si aspetta la decisione salvifica capace di colpo, e da sola, di superare problemi immani e, forse, anche se duole dirlo, di difficilissima soluzione.

Dopo l’incontro dei ministri della Difesa e degli Esteri dei 28 sui migranti siamo, così, di nuovo punto a capo. L’Europa, dopo le lacrimucce e le lacrime vere delle prime ore (erano appena colati a picco, in due occasioni successive, circa 400 migranti la prima volta e in più di 800, la seconda) già si ritrova divisa e pronta a rimangiarsi gli impegni assunti al vertice straordinario dei Capi di stato e di governo dello scorso aprile.

Però, come ogni vertice che si rispetti, qualcosa si deve pur decidere. Magari confluendo attorno ad un minimo comune in grado di unire tutti i 28. E’ così che giunge l’annuncio che metteremo in piedi il comando di una flotta per contrastare il fenomeno delle migrazioni clandestine.

In fondo, l’idea va bene alla destra muscolosa e guerrafondaia e va bene anche a chi, invece, crede necessario avere in mare un po’ di navi in più per tentare di soccorrere i tanti disperati che, dopo essere stati costretti a fuggire dalla casa lontana migliaia di chilometri, dopo aver sofferto ogni genere di vessazioni, rischiano pure di lasciare la pelle in mare.

Il comando della flotta lo faremo a Roma. Lo affideremo all’ammiraglio italiano, Enrico Credendino. Intanto, per un anno. Poi si vedrà.

Allestiremo anche un servizio di intelligence. Servirà a sapere il necessario su trafficanti e scafisti, sulla rete di strutture e sfruttamento cui partecipano e che hanno alle spalle.

Seguiremo le navi, i barconi, i gommoni dei moderni schiavisti e li sequestreremo. Se necessario, li distruggeremo. I britannici hanno già detto che loro forniranno dei droni che oramai vanno alla grande un po’ dappertutto.

Sembrerebbe tutto fatto, insomma. L’Europa s’è desta. E invece…

Non era cominciato il vertice e già gli italiani, in particolare il Ministro degli Esteri Gentiloni, hanno cominciato ad annusare l’aria che tirava e sono stati costretti a mettere subito le mani avanti: “sulla suddivisione delle quote non si torna indietro”.

L’Italia incassa, in effetti, il “tradimento” della Francia. Se non lo vogliamo proprio definire così, parliamo di voltafaccia sulla proposta di suddividere in ogni paese i migranti che saranno accolti.

Il primo ministro francese Valls ha insistito nel dichiarare, come già fatto alla vigilia, che Parigi aveva già dato. Non intendeva più partecipare alla distribuzione delle quote.

Una mazzata terribile per le strategie e le speranze italiane e della Federica Mogherini, Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione.

Diciamo le cose come stanno: la Francia non è più disponibile come invece si era detta nei primi giorni dell’ultima strage degli 800 colati a picco nel Canale di Sicilia. Chi dimentica la frase di Francoise Hollande, stentorea e commossa: “Mediterraneo, mare comune. Dobbiamo agire”?

Forse, oggi, a mente fredda, dovremmo chiedere se non abbiamo equivocato sulla portata di quell’agire.

Eppure, forse, quel sostegno francese, che sembrava sincero, spinse ancora di più Matteo Renzi a correre a richiedere un vertice europeo che, oggi, potrebbe persino apparire convocato senza un’adeguata preparazione diplomatica, alla luce della complessità della situazione.

La posizione di Hollande, del resto, in quei giorni si aggiungeva agli inattesi tentennamenti della signora Merkel che appariva molto colpita dalla strage. La cosa finì per fare illudere che fosse possibile isolare la posizione britannica interessata solamente ad un intervento militare in Libia e nettamente contraria ad ogni ipotesi di allargare le maglie dei permessi d’immigrazione.

In poche ore il fronte della generosità è stato travolto da quello dell’egoismo particolaristico? Può darsi. Certo è che Ungheria, Repubblica ceca, Slovenia e molti altri paesi si sono detti contrari ad ogni ipotesi di suddivisione di quote.

La linea italiana, insomma, ha finito che invece di essere trainante si è ritrovata quasi isolata.

Oggi sembra facile chiedersi se, in realtà, il tutto non nasca dall’oggettiva debolezza del grande piano che sembrava già disegnato: rimettere in piedi Mare Nostrum in formato europeo, e a spese degli europei, definire una precisa quantità dei migranti da accettare in Europa: 20.000, non uno di più.

Teniamo a mente che, secondo voci non confermate, nella sola Libia ci sarebbero tra i 200.000 e i 500.000 esuli, i migranti, i profughi, gli sfollati a cercare in tutti i modi di imbarcarsi verso l’Europa.

I soli 20.000 accettati con lo status di rifugiati politici sarebbero poi da suddividere in quote da spartire tra i 25 paesi in qualche modo costretti a farlo. Si, 25, perché Regno Unito, Irlanda e Danimarca hanno invece la facoltà di non partecipare a spartizioni del genere.

I paesi diffidenti su tutto questo bel progetto sarebbero stati risarciti con un altro progetto di segno contrario: tutti coloro che non avranno visto riconosciuto il diritto all’asilo saranno identificati e rispediti a casa loro. Sancito, insomma, il principio britannico e della destra conservatrice europea secondo cui si entra in Europa solo perché esuli politici o perché in fuga da una guerra. I migranti per motivi economici non saranno mai accolti.

Per garantire tutto ciò si pensa che sia necessario allestire una flotta marittima ed una aerea per distruggere quella contrapposta delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti di esseri umani. Se necessario, si potrebbe pure organizzare interventi terrestri, magari per distruggere anche i depositi di carburante utilizzati dagli scafisti.

Ovviamente, sin dalle prime ore in cui si è cominciato a parlare di questo progetto non sono mancate voci di perplessità. Quelle dei vescovi che si occupano dei migranti, quelle delle organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di profughi, quelle di semplici associazioni di volontariato, ma anche di esperti di politica internazionale e, soprattutto, di diritto internazionale.

L’ipotesi dell’intervento militare, infatti, rischia di cozzare con quel difficile e complesso mondo costituito dall’Onu, ultima istanza ad avere voce in capitolo su operazioni militari o di polizia di natura internazionale. Eppure, l’intervento europeo dovrebbe richiamarsi proprio allo Statuto delle Nazioni Unite. Lo stesso che è stato utilizzato per organizzare il progetto antipirateria in Somalia.

Peccato, però, quello che pensano gli europei non sembri trovare un consenso generalizzato. Obama incontrando gli alleati sunniti del Golfo è stato chiaro: in Siria e in Libia non voglio interventi militari. La Libia, anche se sembra comico dirlo, ma è così, è contraria assolutamente. Lo dice l’ambasciatore all’Onu del Governo di Tobruk. Rappresenta solo un pezzo del Paese. C’è persino da chiedersi quanto questo pezzo sia esteso, ma è così: ha il posto del Paese nord africano al Palazzo di vetro e questo basta.

Del resto, anche gli europei hanno deciso che questo debba essere l’unico Governo riconosciuto e, quindi, semmai ci si deve rammaricare del fatto che nessuno lo abbia sentito per tempo, prima che il progetto di cui sopra vedesse al lavoro stuolo di esperti, più o meno esperti davvero.

Da quel che si sa, Federica Mogherini è corsa ad incontrare questo ambasciatore all’Onu dopo che il rappresentante di Tobruk ha dichiarato di non essere mai stato informato su quanto bolliva in pentola.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non si è pronunciato. Il lavoro di Federica Mogherini continuerà, ma la strada appare sempre più in salita.

Giancarlo Infante