Il Big Bang dell’Italicum. Siamo al momento della verità per Renzi ed il Pd

Il Big Bang dell’Italicum. Siamo al  momento della verità per Renzi ed il Pd

Oggi approda all’aula di  Montecitorio la contrastata legge elettorele dell’Italicum. Vi giunge dove un voto in Commissione Affari costituzionali che all’unanimità ha inviato il provvedimento così come lo voleva Matteo Renzi. L’unanimità è stata raggiunta dopo che l’opposizione si è ritirata per protesta sull’Aventino e i componenti della minoranza dei democratici  sono stati sostituiti d’arbitrio perché non davano abbastanza garanzie su come si sarebbero comportati al momento del voto.

In vista della discussione alla Camera, il senatore Lucio D’Ubaldo ha scritto un commento per il suo “Il Domani d’Italia” che riportiamo integralmente.

“Gli aruspici del renzismo, che provano a scovare scampoli di verità tra le viscere di un neo-decisionismo a tutele decrescenti, non sono ancora in grado di decifrare con sicurezza le mosse del premier sulla legge elettorale. La settimana parlamentare si apre all’insegna di una qualche sensazione d’incertezza, forse preludio al più classico dei rinvii. O forse no. L’annuncio più attendibile, quello da prendersi sul serio, è sempre collimante con la decisione del momento: non è la prima volta che Renzi adotta una linea di comportamento a ridosso degli eventi.

L’attenzione è concentrata sulla possibile scelta del governo di porre la fiducia. Si tratta di un’ipotesi più volte minacciata e poi smentita, a seconda delle circostanze, che trascina con sé la questione relativa alla durata della legislatura. Le insidie sono molte e si annidano nel fatto stesso che una fetta del Partito democratico – piccola o grande si vedrà – abbia a consumare un atto molto prossimo alla scissione. Il primo ad essere consapevole delle conseguenze imprevedibili che una rottura potrebbe innescare è proprio il Presidente del Consiglio. Di regola la fiducia blocca una pratica ostruzionistica delle opposizioni, consentendo alla maggioranza di procedere senza intoppi per la sua strada. Invece, questa volta la fiducia avrebbe il significato di bloccare il dissenso che si è andato formando all’interno del partito su cui ricade l’onere della tenuta del quadro di governo.

I sondaggi non danno gli italiani entusiasti dell’Italicum. In ogni caso, una legge approvata a maggioranza, con strascichi pesanti nei rapporti all’interno del principale partito di governo, non garantirebbe la stabilità all’esecutivo. La prova di forza si potrebbe rivelare un gesto avventuroso, come fu ad esempio, in altri contesti e per altre ragioni, l’esito cui pervenne nei primi anni ’60 il governo Tambroni. Forzare la democrazia è una tentazione ricorrente nella storia del Paese. Non è esagerato sollevare questa preoccupazione, se il monito di Eugenio Scalfari arriva persino a conclusioni d’impareggiabile durezza: “Renzi sta smontando la democrazia parlamentare col rischio di trasformarla in democrazia autoritaria”. In questo scenario, senza la ricerca di una mediazione, qualsiasi vittoria si perderebbe nel più arido deserto di valori e obiettivi condivisi.

Per altro occorre ricordare che nel programma di governo, nato per fare le riforme, legge elettorale e modifiche costituzionali erano inserite a pieno titolo –  evidentemente a garanzia dei contraenti di un nuovo patto istituzionale – nella sfera di limpida e corretta collaborazione tra maggioranza e opposizione. Se salta questo schema, diventa arduo sostenere che nessuna verifica politica debba incombere sull’operato e l’indirizzo del governo. Dopo un’approvazione a maggioranza ristretta della legge elettorale, con la secessione virtuale o materiale della minoranza del Partito democratico e lo scontro plateale con tutte le diverse forze dell’opposizione, sarebbe perlomeno ingenuo aggrapparsi a un criterio formale di continuità che i numeri riconoscerebbero in astratto all’azione di governo. È presumibile che nasca con il voto di fiducia una nuova maggioranza; ma nel caso, se così fosse, il Quirinale non potrebbe limitarsi, né altri obbligarlo, a fare da spettatore silenzioso.

Bisogna aggiungere un’ulteriore considerazione. Tra le tante domande sulle prospettive della legislatura, ce ne è una che riguarda il futuro degli alleati del Partito democratico. Il paradosso, trascurato dagli osservatori, è che la legge elettorale trova il puntello decisivo nei gruppi parlamentari minori: Area popolare, socialisti, Scelta civica, indipendenti del gruppo Misto, centristi e cattolici popolari. Il loro sostegno all’Italicum si nutre di motivazioni politiche che sono ben lungi dall’esaltare ogni aspetto del nuovo meccanismo maggioritario a doppio turno. Serpeggiano dubbi e critiche, non al punto però di tradurre le riserve in una indebita intromissione nel dibattito tra renziani e anti-renziani.

Con l’Italicum, approvato eventualmente grazie al loro apporto leale e risolutivo, tutti questi gruppi perdono lo status di alleati indipendenti dal momento che il dispositivo della nuova legge mira a definire una dialettica bipartitica, cancellando a tavolino la formula delle alleanze. Fatta eccezione per il partito di Alfano, pronto a riannodare i fili dell’alleanza con Berlusconi, non è chiaro perciò il destino delle formazioni politiche di area riformista. Come potrebbero condividere la battaglia dinanzi al corpo elettorale per la prosecuzione dell’attuale esperienza di governo? È un quesito corretto, perché implica nel dialogo con il Nazareno la necessità di una risposta in grado di gettare le basi di una profonda trasformazione della forma partito. Altrimenti cattolici democratici e liberal-democratici, da sempre collocati nel perimetro del centrosinistra e tuttavia esterni alla galassia democratica, non avrebbero altra soluzione che quella di declinare il patrimonio della loro identità in termini di mera testimonianza su una sottile striscia di terra incognita.

In un modo o nell’altro, dunque, con l’Italicum si arriva a un nuovo big bang della politica italiana”.