Jobs Act e dipendenti pubblici: rebus ancora da risolvere

Jobs Act e dipendenti pubblici: rebus ancora da risolvere

Il Jobs Act si applica ai dipendenti pubblici? Sì. No. Forse. La questione della validità delle nuove regole per i licenziamenti, in vigore dal 7 marzo scorso, per il lavoratori della Pubblica Amministrazioni è una delle più dibattute sin dall’approvazione della riforma del lavoro da parte del Governo Renzi.

Già dal primo decreto attuativo, varato dall’esecutivo alla fine del 2014 e contenente l’introduzione del contratto a tutele crescenti e le norme sui licenziamenti per i nuovi assunti, si sono sviluppate due scuole di pensiero: una è quella sostenuta dal premier Matteo Renzi, dal ministro del Welfare Giuliano Poletti e dal ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, secondo i quali il Jobs Act non è applicabile ai dipendenti pubblici; l’altra, invece, è portata avanti dai parlamentari di Scelta Civica Pietro Ichino ed Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia, convinti che le nuove regole riguardino anche gli statali.

Nel dicembre 2014, infatti, Poletti aveva spiegato che le norme introdotte dalla riforma non interessano i lavoratori della P.A. «perché tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato e quindi non si può applicare al pubblico impiego», aggiungendo che «se si vuol discutere del lavoro pubblico in Parlamento c’è una legge delega sulla Pubblica Amministrazione».

Sottosegretario Enrico Zanetti

Sottosegretario Enrico Zanetti

 

Di tutt’altro avviso Ichino e Zanetti, il quale aveva definito «sconcertante questo affannarsi di alcuni ministri nel negare l’applicabilità del Jobs act al pubblico impiego» e aveva dichiarato: «come si fa a non capire che certi distinguo non rappresentano giuste rassicurazioni per il pubblico impiego, bensì ingiuste discriminazioni per i dipendenti del settore privato?». Secondo Ichino «le  nuove regole saranno applicabili anche di dipendenti pubblici. Tanto è vero che, quasi all’ultimo momento, è stata cancellata la norma che ne prevedeva espressamente l’esclusione»; il giuslavorista aveva spiegato che «il Testo unico dell’impiego pubblico stabilisce che, salve le materie delle assunzioni e delle promozioni, che sono soggette al principio costituzionale del concorso, per ogni altro aspetto il rapporto di pubblico impiego è soggetto alle stesse regole che si applicano nel settore privato».

Anche il senatore del Nuovo Centro Destra Roberto Formigoni aveva detto la sua: «e così il Jobs Act non vale per i dipendenti pubblici, il settore che ne aveva più bisogno». Il leader della Lega Nord Matteo Salvini aveva affidato ad un tweet il suo commento: «Il Jobs Act vale per dipendenti pubblici, saranno licenziabili. Anzi no. Anzi forse. Anzi vedremo. Da licenziare in tronco è Renzi!».

In un’intervista del 28 dicembre al quotidiano La Stampa il ministro Madia si era espressa sulla validità del Jobs Act per il lavoratori della P.A., sostenendo che «secondo noi, e secondo i tecnici del governo, la norma, tutta impostata sul lavoro privato, è scritta in modo per cui è pacifico che le nuove regole non si applichino ai dipendenti pubblici».

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Nella conferenza stampa di fine anno del 29 dicembre il presidente del Consiglio aveva affrontato il tema affermando che «il Jobs act non si occupa di disciplinare i rapporti del pubblico impiego». In quell’occasione Renzi aveva anche dichiarato che «è giusto licenziare un impiegato pubblico che sbaglia, partendo dai furti e arrivando all’assenteismo a volte vergognoso, la risposta è sì. Le persone per bene hanno il diritto di vedere punito chi sbaglia, ma col Jobs Act non c’entra niente, per questo ho chiesto di togliere il riferimento al pubblico impiego dal Jobs Act».

Il 30 dicembre, in un’intervista pubblicata dal sito web Linkiesta, Ichino aveva invece ribadito la sua posizione sull’applicabilità della nuova disciplina dei licenziamenti al settore pubblico: «non c’è alcun motivo per ritenerla inapplicabile. Ci possono essere dei buoni motivi per prevedere delle regole di governance interna agli enti pubblici, sul modo in cui la facoltà di recesso dal rapporto di lavoro deve essere esercitata, come accade nei public bodies anglosassoni, dove il licenziamento non può essere deciso da un singolo dirigente, ma soltanto da un organo collegiale. Ma si tratta di norme riguardanti l’organizzazione interna dell’ente. Sul piano della disciplina contrattuale, essa può benissimo essere – come è oggi – quella generale, che si applica a tutti i rapporti di lavoro». «Per come sono stati formulati i decreti attuativi, il Jobs act è applicabile anche per i lavoratori pubblici», aveva poi dichiarato qualche settimana dopo, a margine di un convegno organizzato dall’ordine dei commercialisti di Milano, il senatore di Scelta Civica, membro della Commissione Lavoro di Palazzo Madama.

Sul nodo legato al licenziamento degli statali aveva esposto la sua opinione anche l’allora sottosegretario Graziano Delrio, oggi Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che in un’intervista del 6 gennaio 2015 a Il Messaggero aveva spiegato che «la delega sul lavoro aveva una sua logica che era di applicazione al lavoro privato» e che, al tempo stesso, «licenziare gli statali è già possibile. In alcuni casi è stato fatto. Io quando ero sindaco ho licenziato dirigenti inadempienti. Anche nel lavoro pubblico c’è questa possibilità. Per il licenziamento economico esiste la possibilità di esuberi».

Ministro Marianna Madia

Ministro Marianna Madia

A febbraio Marianna Madia aveva di nuovo confermato la sua posizione: «ci siamo già espressi noi e autorevoli giuslavoristi su questa materia: non si applica ai dipendenti della P.A., ma questo non significa che ci siano dei favoritismi per i dipendenti pubblici». Il ministro aveva fatto riferimento al ddl sulla riforma della Pubblica Amministrazione: «l’articolo 13 del disegno di legge delega infatti prevede il completo esercizio dei procedimenti disciplinari». La riforma Madia ha ottenuto il sì in Commissione al Senato e nei prossimi giorni sarà discussa in aula: potrebbe essere l’occasione per risolvere definitivamente l’enigma dell’applicabilità ai dipendenti pubblici delle regole sui licenziamenti contenute nel Jobs Act.

Andrea Pranovi