Freddo passaggio di consegne tra Letta e Renzi. I ministri giurano in vista del passaggio in Parlamento

Freddo passaggio di consegne tra Letta e Renzi. I ministri giurano in vista del passaggio in Parlamento

I ministri hanno giurato al Quirinale e poi c’é stato il passaggio di consegne tra Letta e Renzi a Palazzo Chigi. Una velocissima cerimonia, chiamiamola così,  che ha mostrato in maniera evidente il gelo esistente tra i due. Letta sembrava solamente animato dalla voglia di andarsene e si é limitato a stringere la mano al suo successore senza neppure augurargli il buon lavoro.

Adesso é la volta del passaggio parlamentare per la fiducia che si avvierà dal Senato. Quello che giungerà a chiedere la fiducia sarà un esecutivo i cui componenti passano da  21 a 16. Metà sono donne, con ministeri importanti finiti quasi tutti a donne del Pd. Esclusi i centristi dei Popolari dell’Italia e Bruno Tabacci. Preferiti, infatti, Scelta Civica con Stefania Giannini alla Pubblica Istruzione e l’Udc con Gianluca Galletti all’Ambiente. La cosa é destinata a creare non pochi problemi a meno che il partito di Mauro e Dellai non riceva adeguate compensazioni a livello di vice ministri e sottosegretari.

Al centro si accusa Renzi di aver voluto premiare la deriva “laicista” di Mario Monti e di aver favorito Pier Ferdinando Casini. Quindi, Mauro ha buon gioco nel  prospettare la possibilità che i Popolari per l’Italia non votino la fiducia a Renzi. Del resto, dopo le assicurazioni ricevute in sede di consultazioni, si sentono traditi alle spalle.

La nomina più importante dell’esecutivo Renzi é sicuramente costituita da quella di  Pier Carlo Padoan, ancora in viaggio di ritorno dal G 20 di Sydney.  Padoan  all’Economia  deve essere considerata una sostanziale linea di continuità d’impostazione con il programma economico del precedente Governo di Enrico Letta e, soprattutto, con quello, prima ancora, diretto da Mario Monti.

draghi

Si tratta di vedere quanto questa continuità accorcerà la distanza tra Palazzo Chigi, e il Ministero di Via XX Settembre, da una parte, e la Bce di Mario Draghi, dall’altra. Era sembrato che Matteo Renzi stesse puntando molto su questo “avvicinamento”. Al punto che, per giorni e giorni, era circolata la voce della possibile nomina all’Economia di Lucrezia Reichlin. Una scelta prospettata, secondo altre voci  da confermare, proprio su indicazione di Draghi,  incontrato da Renzi con molta discrezione negli ultimi tempi.

Poi, invece, la candidatura di Lucrezia Reichlin è caduta per evitare troppo scossoni e premiare, evidentemente, la continuità di linea della politica economica secondo quelli che sono ritenuti i convincimenti del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: rimettere i conti in ordine, fare un po’ di riforme per presentarsi all’appuntamento della presidenza del semestre italiano con le carte in regole e rinegoziare con il resto dell’Europa da una posizione di forza.

Polemiche sta suscitando la sostituzione di Emma Bonino agli esteri con  Federica Mogherini. Del resto, la Bonino  non ha un pacchetto di voti da gettare sul tavolo e, quindi, è stato gioco forza uscire dalla Farnesina nonostante abbia dato l’impressione di aver fatto molto bene.

In ogni caso la sostituzione di Saccomanni costituisce l’elemento più importante di questo esecutivo Renzi. Saccomanni, in effetti, era già dato come vittima sacrificale un po’ da tutti. La conferma era poi definitivamente venuta dalla sua rinuncia a volare a Sydney per il G20. Un ricambio  dato per certo per due buoni motivi. Renzi non poteva presentarsi sulla stessa linea del Governo di Letta eliminando il solo Letta. Sarebbe stata la conferma evidente del “fratricidio” consumato e ancora non  capito da una buona parte del Paese e del Pd.

Un forte segnale di “novità” non poteva che riguardare il Ministro dell’Economia. Renzi, infatti, con la nomina di Padoan fa tornare quel ministero ad essere più “politico” di quanto non lo sia stato finora.  Un tecnico puro alla Saccomanni è sostituito da un altro “tecnico” che, però, ha alle spalle parecchie incursioni nel mondo della politica italiana.

padoan

Per capire l’operazione Paodan dobbiamo ricordare che egli è stato consulente dal 1998 al 2001 a Palazzo Chigi quando i Primo ministro sono stati, in successione, Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Il nuovo responsabile dell’Economia é stato anche Direttore della Fondazione “Italianieuropei” che, guarda caso, è stata creata da D’Alema e da Amato. Padoan è ancora indicato come componente “dell’ Advisory Board” della Fondazione di cui è stato Presidente Giuliano Amato fino a quando non è stato nominato alla Corte Costituzionale. Certe volte ritornano, insomma.

Non è un caso che, proprio mentre Renzi saliva al Quirinale, il ministro uscente ai Beni Culturali , Massimo Bray, pugliese e dalemiano, anch’egli legato alla fondazione dalemiana di cui ha diretto la rivista, ha reso noto di uscire dall’esecutivo. Bray ha pagato il prezzo dell’arrivo a Via XX Settembre di Padoan il quale ha occupato tutta la quota destinata all’opposizione interna al Pd, ascritta a  D’Alema, in un esecutivo con un numero così ridotto di ministri.

Ultima notazione al riguardo: la testa di Saccomanni era stata chiesta per mesi ad Enrico Letta dai berlusconiani, quando ancora sostenevano l’esecutivo nato nell’Aprile del 2013. Renato Brunetta, furiosamente critico di Saccomani, ora correrà a stappare una bottiglia di spumante.

La casella occupata all’Economia ha condizionato la definizione di tutto il resto della squadra governativa. I “giovani turchi” del Pd che, di fatto, hanno stretto un’alleanza con Renzi ai danni di Enrico Letta, sono riusciti a conservare il posto di Andrea Orlando, ma spostato alla Giustizia.

Alfano dev’essere felice. La riduzione del numero dei posti avrebbe potuto fargli perdere molto più delle caselle della Vice Presidenza, del Ministero delle Riforme e di quello dell’Agricoltura. Egli riesce a conservare tre ministeri importanti: Interni, Infrastrutture e Sanità. Si potranno rivelare molto utili per irrobustire la presenza del Nuovo Centro destra sul territorio dopo la rottura con Silvio Berlusconi.

Giancarlo Infante