Scontri antigovernativi in Bosnia. Dato alle fiamme il palazzo della presidenza di Sarajevo, le proteste dilagano in 20 città

Scontri antigovernativi in Bosnia. Dato alle fiamme il palazzo della presidenza di Sarajevo, le proteste dilagano in 20 città

Gravi proteste contro il governo imperversano da giorni nella piazza di Sarajevo e in altre 20 città della Bosnia-Erzegovina. Nel Paese regna un alto tasso di disoccupazione e le manifestazioni di malcontento sono le peggiori dalla fine del conflitto esploso in questa terra negli anni novanta, all’indomani della dissoluzione della Jugoslavia.

Le dimostrazioni sono cominciate giorni fa nella città di Tuzla, a nord del Paese, dove diecimila operai hanno perso il lavoro per la bancarotta di numerose aziende. Da lì si è sviluppata una protesta a livello nazionale, con migliaia di persone per le strade di decine di città, che manifestano per l’alto tasso di disoccupazione (al 40 per cento) che soffoca il Paese.

Sabato la violenza è salita di tono. A Tuzla in centinaia sono entrati nell’edificio governativo dandolo alle fiamme e almeno 90 persone sono rimaste ferite negli scontri. Anche nella capitale, Sarajevo, imperversano i disordini con edifici e automobili dati alle fiamme. Decine gli arresti tra i dimostranti, tra i quali si sono infiltrati gruppi di hooligan del tifo calcistico più violento, come spesso avviene nei Balcani. il fuoco è stato appiccato anche nel palazzo della presidenza bosniaca, nel centro della città.

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I vigili del fuoco hanno lavorato tutta la notte per domare le fiamme appiccate, mentre la polizia ha disperso i dimostranti. Proiettili di gomma e granate sono state le armi utilizzate dalle forze dell’ordine per sedare i disordini, 80 i feriti. Il numero arriva a 200 se si contano quelli causati in tutto il Paese.

I manifestanti hanno però rifiutato un incontro con il presidente del governo regionale, Sead Causevic, chiedendone anzi le dimissioni. Mira delle proteste è anche il primo ministro della Federazione Nermin Niksic: il governo viene accusato infatti di corruzione e nepotismo.

Questa è la prima volta che in Bosnia-Erzegovina persone di diverse etnie scendono in piazza insieme, fianco a fianco, contro il Governo. Gli scontri che ne sono derivati riportano alla memoria i gravi conflitti che hanno minato il Paese nel recente passato. All’indomani della dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, nell’ aprile 1992, la Bosnia-Erzegovina è stata infatti dilaniata da una sanguinosa guerra, conclusasi solo nel dicembre 1995. Il violento conflitto coinvolse i tre principali gruppi nazionali (serbi, croati e musulmani) e colpì duramente la popolazione civile causando centomila morti e due milioni di profughi, senza che la comunità internazionale potesse porre fine alle stragi in tempi brevi.

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Gli scontri in Bosnia si stanno diffondendo, in questi giorni, anche anche a Bihac e Zenica. A Mostar i manifestanti sono entrati nel Municipio e anche lì, hanno dato tutto alle fiamme. Le proteste sono dilagate anche al sud del Paese, in Kosovo. A Pristina i manifestanti hanno cercato di irrompere nell’ufficio del rettore dell’Università ma la polizia è riuscita a disperderli usato gas lacrimogeni. Le forze dell’ordine hanno riferito che 33 persone sono state arrestate e che 22 agenti sono rimasti feriti.

Le manifestazioni hanno assunto forma virale anche sui social network, dove in centinaia continuano a pubblicare foto e video, usando twitter, con l’hastag #bosnianspring.

Isadora Casadonte