Il riso italiano gravemente danneggiato dalle importazioni dall’estremo Oriente. I problemi vengono anche dalle norme comunitarie

Il riso italiano gravemente danneggiato dalle importazioni dall’estremo Oriente. I problemi vengono anche dalle norme comunitarie

Cercare nelle campagne vercellesi e novaresi immagini come quelle riprese nelle scene del film “Riso amaro”, interpretato magistralmente da una giovane e promettente attrice come Silvana Mangano, diventa oggi un’impresa impossibile. Non certamente perché il riso non si pianti o non si raccolga più, ma perché esistono nuovi mezzi che hanno reso più snella la produzione a conclusione del ciclo naturale.

Questo, tuttavia, non ha risolto i problemi della produzione e commercializzazione di un prodotto d’eccellenza per la nostra agricoltura. I produttori di riso da proprietari terrieri sono diventati piccoli industriali e nella società moderna devono fare i  conti con le leggi dello import e dell’export.

Il vero nemico oggi della commercializzazione del riso sono diventati quei paesi che da soli riescono a coprire l’80 per cento del commercio globale con ventisette milione di tonnellate di riso esportate. Ci riferiamo all’India, alla Thailandia, al Vietnam,  agli Usa ed al Giappone. Tutti paesi  che riescono, grazie alla legislazione vigente,  produrre con costi inferiori ai nostri, sia per quanto riguarda il lavoro e sia per la produzione senza cura.

I nostri produttori, così, devono fare i conti con l’immissione sul mercato di un prodotto più scadente del nostro. Problema questo che si sente moltissimo nel vercellese, cuore della produzione italiana di riso che, nonostante gli sforzi degli agricoltori sono penalizzati da norme comunitarie troppo permissive per gli importatori di riso extra  europeo.

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A Bruxelles  in occasione di una riunione del Consiglio Europeo dei ministri dell’Agricoltura e della Pesca, Il ministro italiano Nunzia De Girolamo ha messo in luce quegli  squilibri “che stanno creando grossi problemi al mercato”. Le importazioni di riso cosiddetto a dazio zero hanno creato competitivi problemi  sia in termini di reddito,  sia di occupazione generando difficoltà per le industrie italiane che, ha detto la ministra,  “non hanno alcuna possibilità di competere sia in termini di reddito che di occupazione”.

Difficoltà sulle quali concorda il Presidente della Camera di commercio di Pavia, Giacomo de Ghislanzoni Cardoli  il quale non esita a porre in risalto i problemi  attraversati da questo settore agricolo. I costi, dice, del riso Carnaroli sono cresciuti a causa dell’aumento del prezzo del carburante, dei fertilizzanti e dei fitofarmaci.  La via da seguire, secondo de Ghislanzoni Cardoli, è un’unione tra le provincie di Pavia, Vercelli e Novara per promuovere la produzione di riso e la tipicità di un ecosistema unico al mondo.

A mettere il dito sulla piaga è il presidente della Coldiretti di Vercelli – Biella, Paolo Della Role, per il quale le quotazioni del riso non appaiono remunerative per le imprese.  Della Role critica i dazi a costo zero a perché incidono pesantemente sulle imprese.” Queste importazioni, afferma, destabilizzano un mercato già delicato”.

Il rimedio, secondo tutti gli operatori del settore , è che la comunità europea faccia rispettare quanto previsto dalla regolamentazione vigente. Solo in questo modo sarà possibile limitare le importazioni dai paesi orientali dove la mano d’opera costa notevolmente meno della nostra.

Enrico Barone