Il linguaggio della De Girolamo e l’ipocrisia dei censori. Parole che non comunicano altro che invadenza, cialtroneria, avidità consentita dal sistema ad ogni politico italiano di qualsiasi parte

Il linguaggio della De Girolamo e l’ipocrisia dei censori. Parole che non comunicano altro che invadenza, cialtroneria, avidità consentita dal sistema ad ogni politico italiano di qualsiasi parte

C’è un linguaggio della politica che ormai travalica lo spazio della forma ed è diventato a tutti gli effetti sostanza. In carenza di programmi e progetti per il Paese, sembra che l’unica cosa che ci è dato di sapere (soprattutto grazie ad intercettazioni più o meno rubate) è come i politici si parlano fra di loro e come si palleggiano fra le quattro mura faccende che riguardano molto da vicino tutti noi cittadini.

Partirei dalla ministra Nunzia De Girolamo perché le sue parole sono quelle che hanno avuto più risonanza in questi giorni. A di là di risvolti giudiziari che certo non spetta a noi valutare, quello che ha colpito delle conversazioni private di cui siamo venuti a conoscenza è la disinvoltura, la sicumera, con le quali un deputato qualsiasi (allora la De Girolamo non era ministro) può sentirsi titolato trattare e gestire 1a2011questioni che nulla a che vedere con i suoi incarichi pubblici. Per di più spesso le materie che molti politici maneggiano abusivamente, come non oserebbe nemmeno un padrone di antica memoria, riguardano questioni non di poco conto, ma decisioni che avranno sicuramente effetti sulle tasche di noi contribuenti, o addirittura sulla nostra salute. E infatti nel caso della De Girolamo l’argomento erano Asl e ospedali. Quindi matita rossa sul linguaggio e suoi modi della ministra. Il resto saranno altri a deciderlo.

Ma fatto il punto su cosa non abbiamo gradito della De Girolamo, possiamo chiudere gli occhi e fare finta che si tratti di una singola sgrammaticatura? O è ora di chiederci se quel tratto che la stessa ministra ha definito “non da signora al thè delle cinque” non sia che la conseguenza di come è organizzato il nostro sistema, che vede l’ingerenza della politica e dei politici ovunque: nella sanità, nelle banche, nella 1a2013“monnezza”, nelle sale operatorie, nei rettorati delle università, nelle municipalizzate.

L’autobus, i rifiuti, il gas, la luce, sono governate dal politico di turno. Lui sceglie amministratori delegati, direttori generali, primari di chirurgia. Lui assume, distribuisce stipendi.

Ma veramente crediamo che nell’esercizio di questo potere, sempre più spesso condiviso con una opposizione malleabile con la quale vigono patti sottobanco di non darsi fastidio a vicenda, sia previsto un linguaggio diverso da quello che adesso sappiamo era in uso dalla ministra De Girolamo? E’ quel tipo di potere che va messo in discussione, non solo le parole che vengono usate per affermarlo o l’eventuale illegalità che si portano dietro.

1a2014Sempre per restare in area De Girolamo e sanità pubblica, non è giunta l’ora di far uscire “senza se e senza ma” la politica dagli ospedali? Lo sapete come viene scelto un primario? Da una rosa di venti nomi presentata dagli addetti sanitari. Poi il direttore generale può scegliere anche l’ultimo in graduatoria della lista, quello che ha meno requisiti scientifici, ma più requisiti politici. E questo è possibile perché chi lo nomina è un politico che con la sanità forse precedentemente non ha mai avuto a che fare, e a sua volta è stato nominato da un politico locale della maggioranza in quel momento al potere.

E giusto censurare la famosa frase della De Girolamo “facciamogli vedere chi comanda”. Ma poi preoccupiamoci del fatto che la nostra milza o il nostro ginocchio, secondo le leggi in vigore nelle Regioni, possa finire nelle mani di un chirurgo il cui merito maggiore sia quello di essere amico di chi ha vinto 1a2015 l’ultimo congresso, convention o adunata di partito.

E poi non c’è solo il linguaggio dei politici. C’è anche quello dei media, dei giornali, della televisione. Gianroberto Casaleggio scende a Roma per dare la solita lavata di testa ai senatori della Repubblica del Cinque Stelle e tutti riportano che a parlare è stato “il guru” di quel movimento.

Il “guru”? Ma che stiamo in India? Ma perché per un euro e trenta che gli diamo al mattino i giornali non ci dicono esattamente che mestiere fa, chi sono i suoi committenti, che studi ha fatto, quante tasse paga, se ha conflitti di interesse, cosa pensa della famiglia, della scuola, della ricerca, della giustizia, del rilancio dell’economia? Tutte cose che di un personaggio che viene ricevuto al Quirinale per le consultazioni di Napolitano dovremmo ben sapere, altro che “guro”.

A furia di usare il linguaggio come i petardi la notte di Capodanno finirà che non ci meraviglieremo più nemmeno della parlamentare Jole Santelli, la quale sostiene che le donne di colore sono fortunate perché non si devono truccare. Così come ci eravamo quasi scordati di quei presidenti degli Stati Uniti che hanno il culo di essere abbronzati tutto l’anno.

Claudio Pavoni