11 settembre 2013, 12 anni dopo

11 settembre 2013, 12 anni dopo

11 Settembre 2001. Il mondo cambia. Sotto l’urto dei due aerei dirottati dai terroristi non crollano solamente le due torri gemelle di Manhattan. E’ l’intero vecchio sistema degli equilibri geopolitici internazionali a cambiare. Dai dibattiti sulla società del cosiddetto “melting pot”, cioè la coesistenza tra diverse tendenze culturali ed etniche si imbocca decisamente la visione dello “scontro tra le civiltà”.

Si dà vita, con lucidità e determinazione, ad un vero e proprio conflitto tra Occidente ed Islam come se, entrambe, fossero entità omogenee e coese e non presentassero al loro interno diversità, profonde divisioni e, persino, scontri storicamente consolidati.

L’America, sotto l’impressione del primo attacco subito sul suolo patrio, da quando esistono gli Stati Uniti, e con un George W. Bush ancora alle prese con le incertezze dei primi mesi dell’incarico presidenziale, reagisce al terribile massacro scegliendo la via della “retaliation”, la vendetta.

aaa11settembre4Saddam Hussein fa il madornale errore di non capire che davanti ha il giovane Bush. Non il più accorto padre che già non aveva voluto affondare completamente i colpi dieci anni prima con l’operazione” Desert Storm” impeccabilmente coordinata in Iraq dal generale Colin Powel.

Saddam fa l’errore di ritenere che la lista dei “paesi canaglia” stilata dagli americani sia solo retorica e non indichi quei bersagli concreti contro cui si sta per abbattere l’ariete militare più potente del mondo. I russi, che l’hanno invece capito, cercano di spiegare le cose all’uomo di Bagdad, ma non ci riescono. Sappiamo come è andata a finire.

Gheddafi, invece, forse consigliato dai politici italiani che la sapevano lunga, sia su come trattarlo, sia sulle reali, determinate intenzioni di Washington, si tira indietro appena in tempo.

Le bombe, dopo quelle sull’Iraq, finiranno anche sulle teste dei talebani. Espressione della tradizione aaa11settembre2islamica più chiusa al mondo moderno, saranno richiamati a più miti consigli solo quando i missili americani avranno spianato gran parte di quello che, a mala pena, era sopravvissuto a Kabul e dintorni nel corso di una guerra con i russi iniziata nel 1979 e, poi, di un conflitto interno e fratricida.

Osama Bin Laden ed il suocero, il Mullah Omar, fuggono. L’uno su di un destriero bianco, l’altro su di una motocicletta. Offrono la plastica immagine del divario che esiste tra un mondo tutto tecnologia e “bombe intelligenti” e una realtà rurale ed arretrata, tenuta in piedi solo da una visione integralista della vita.

Nasce il mito di al-Qaeda. Le frequenti minacciose dichiarazioni di Osama bin- Laden ed alcuni attentati confermano l’idea che Islam sia solo terrorismo e violenza. Il mondo è lacerato e terrorizzato. Dall’altra parte, infatti, si vede l’Occidente solo inteso come escavazione di pozzi petroliferi e nuovi crociati.

La realtà delle cose, dopo l’11 Settembre 2001, viene semplificata e schematizzata. La diuturna lotta tra “bene” e “male” si ripropone. Ovviamente, ognuno decide dove collocare se stesso e gli avversari.
Per mesi, nella verve delle analisi, nella temperie dei commenti e delle ricostruzioni nasce la tesi del aaa11settembre7“complotto”: l’attacco alle torri gemelle, gli americani se lo sono fatti da soli. Di tutto di più, insomma. Comprensibile a tanti anni di distanza per l’angoscia e la confusione di quei momenti.

Stati Uniti ed il mondo, infatti, faticavano a comprendere, allora. Non riuscivano proprio a capacitarsi di quella immensa nuvola di polvere che la televisione continuava a mostrare, ossessiva, per mesi, assieme alle immagini dello schianto dei due aerei dirottati aerei contro l’acciaio e vetri dei grattacieli.

Non riuscivano a comprendere il significato di quasi 2500 morti. Perché? Per che cosa? Il fatto è che neppure oggi si riesce ancora a comprendere e ad accettare.

Mentre “Ground zero”, così è stato chiamato quel tragico “cimitero” newyorchese, torna a restituirsi alla vita, si sta lentamente capendo che molte cose dovrebbero essere riviste e considerate. Senza per questo dimenticare conseguenze e responsabilità di un gesto che, lo si è scoperto dopo, è maturato in un ambiente considerato fino ad allora, da “mondi” occidentali che contano, amici ed alleati.

La vita di Osama bin- Laden è stata scandagliata in lungo in largo, così come i rapporti della sua aaa11settembre10 ladenfamiglia con la casa reale saudita. Così come è stato fatto per tutto quell’insieme di fanatici musulmani, suoi seguaci, che si sono allenati contro l’Occidente usando le armi dell’Occidente, prima, in Afghanistan contro i russi, poi, in Bosnia. Hanno finito per smarrire quel senso di profonda umanità e pietà che pure è presente nella cultura islamica originale.

Dopo anni, soprattutto per l’incrudelirsi degli scontri interni in Afghanistan e in Iraq, e adesso in Siria, si è compreso che il mondo non è diviso solo in due parti contrapposte. Esistono una miriade di questioni, e sotto questioni, che non possono essere affrontate solamente con la scelta della cosiddetta “opzione militare”. Così facendo, invece, si favoriscono solamente estremismi ed integralismi.

Le vicende siriane di questi giorni stanno a confermare, salvo drammatiche smentite, che questioni complesse, frutto della sovrapposizione di continui problemi irrisolti, sia dai tempi dei processi di colonizzazione e di decolonizzazione, debbono essere affrontate più con la forza e la pazienza della diplomazia, piuttosto che favorendo lacerazioni e contrasti tra culture ed etnie.

Giancarlo Infante