Albino Longhi l’unico giornalista che ha fatto il Direttore del Tg1 più di una volta. Per essere precisi: ben tre volte. L’uomo dei periodi critici. L’uomo della Provvidenza. Quando non sapevano come fare pensavano a lui, alla sua forza pacata, alla sua eleganza nei modi, al suo garbato disincanto. Non al cinismo, che quello gli manca. Autentico Cincinnato si è, ogni volta, ritirato in disparte dopo aver assolto al proprio compito senza aspettarsi alcun grazie. Classe 1929, mantovano. 3 figli, 7 nipoti, 4 pronipoti. Un figlio giornalista. Per il grande amore verso il suo, il nostro mestiere, Albino Longhi, ha fatto il giornalista dalle Alpi alle Piramidi senza mai perdere il suo stile essenziale e silenzioso. Più di 60 anni passati a fondare giornali giovanili, riviste, facendo il cronista, il direttore di sede Rai, il capo redattore in giornali importanti, il direttore del Tg1, il direttore delle Tribune Politiche, di nuovo a dirigere il Tg1, altre due volte. Infine, il direttore dell’Arena di Verona. Nel cuore si porta un altro figlio. Quel Tg1, un tempo, vera e propria nave ammiraglia della Rai. Un insieme di giornalisti, un’esperienza, un clima, una voglia di fare bene che chi non ha vissuto non può capire.
Molti di noi scoprirono, finalmente, un direttore che aveva, sosteneva e favoriva la stessa passione per raccontare i fatti per quello che sono. Le opinioni, certo, non mancano, ma si tengono per se stessi. Tutto al più se ne parla con pochi amici e con la moglie. A proposito, anche la moglie d’Albino, l’altro bastione della sua vita, assieme con la professione, gli sta accanto quasi dallo stesso momento in cui ha cominciato a fare il giornalista.
Con Albino ho avuto degli altalenanti disaccordi sulla scansione del rapporto con il mondo della politica quando quel mondo volle cancellare completamente l’esperimento che provammo a fare, tutti d’accordo nel Tg1, per far vincere la professione più che l’informazione pigra ed accomodante. Lui ad
Forse abbiamo, tutti, vinto e perso a metà. Perché, poi, la Rai è andata sempre per la sua strada, ma noi almeno abbiamo cercato di fare del nostro meglio ed, oggi, quel Tg1 è ricordato ancora con rimpianto da parte di tutti. Anche da chi, allora, qualche volta, lo criticava. Al peggio non c’è mai fine e, purtroppo, lo si scopre solo dopo.
Io ed Enrico Massidda incontriamo Albino Longhi, il nostro Direttore, dopo tanto tempo, per parlare un po’ delle trasformazioni del mestiere del giornalista e di tutto il sistema della comunicazione, in generale, e della Rai e del Tg1, in particolare. E’ cambiato tutto per lui e per noi. Ma Longhi non vuole portare il ragionamento sul filo dei giudizi. Tipo quello di tutti i giornalisti anziani, che ne hanno visto di tutti i colori, sul fatto che questo mestiere è finito! Il suo è un giudizio storico, non astratto e retorico sui “valori”.
…Oggi, però, a maggior ragione rispetto a quei momenti di trasformazione, non pensi che i giornalisti italiani debbano riflettere sul ruolo di “garanzia di verità” che dovrebbero assicurare…
“Questo ruolo di garanzia è venuto meno perché il meccanismo è diventato così complesso che è
Quindi tu non dai un giudizio, come dire, di “valore”, quasi etico…sul “meglio e il peggio”…
“No, non ha senso esprimere un giudizio sotto questo profilo. Posso constatare che esiste una diversità profonda. Non può non essere rilevata da chi ha vissuto esperienze così diverse. Io, se devo esprimere un giudizio lo faccio sulla base di un solo requisito che, poi, ha costituito sempre il mio punto di
A volte, però, sembra che di informazione te ne diano proprio tanta. Se posso dire una malizia…, in Italia, soprattutto per quanto riguarda la politica…
“In effetti, oggi, c’è un eccesso d’informazione politica. La buona politica favorisce la buona informazione. Invece, non basta una buona informazione a far diventare accettabile una cattiva politica…”
“Io dicevo sempre: il Direttore del Tg1 non si fa condizionare dagli uffici stampa dei partiti. Il Tg1 parla con i leader. E questi sono troppo intelligenti per dare peso a certe cose o, forse, per parlare di certe cose. Da noi non c’era manipolazione della verità”.
Il fatto è che tu questo mestiere l’hai sempre avuto nel sangue…
“Guarda, ho cominciato a poco più di 12 anni che facevo un giornaletto del condominio dove vivevo e lo vendevo ai condomini. Poi, un po’ più grande, dopo aver iniziato il mestiere, creai un settimanale dei giovani democristiani il cui titolo era tutto un programma, già da solo: “Ribelle e conformista”. Con me ci lavoravano Lucio Magri e Giuseppe Chiarante. Ci convocò Fanfani in persona. Io ci andai con Magri. “Dovete chiudere”. Così ci disse, senza aggiungere altro. Non ci lasciò parlare. Io finii in Sicilia.
Ogni volta, dunque, con vittorie e sconfitte…in un mestiere non facile, al di là delle apparenze…
“Il giornalismo che non vuole essere subalterno è sempre un susseguirsi di vittorie e sconfitte. E’ questa la prima consapevolezza da innestare su quello che ritengo costituisca un punto essenziale che, in qualche modo, ti fa accettare vittorie e sconfitte: mantenere il gusto di restare “cronisti”. Sempre, anche quando la nostra attività ci porta lontano dal breve racconto quotidiano e ci conduce ad affrontare problemi più generali, a percorrere la complessità del mondo contemporaneo. Rimanere buoni e leali cronisti con spirito di servizio nei confronti della gente senza allontanarsi dalle radici del nostro mestiere”.
Intervista di Giancarlo Infante