Il transatlantico italiano Andrea Doria affondò in 74 metri d’acqua alle 10,09 del mattino, ora dell’ East Coast americana, del 26 luglio 1956, undici ore dopo erssere stato mortalmente colpito sulla fiancata destra dalla nave svedese Stockkolm partita da New York, dove il Doria era invece diretto. Esattamente nell’Oceano Atlantico non lontano dalla coste americane a 40°29.4 di latitudine est, e 60°50.5 di longitudine nord. La collisione avvenne alle 23,10 del 25 luglio, le 5,10 in Italia, e provocò la morte di 46 persone che si trovavano sulla nave italiana e di 6 su quella svedese.
L’Andrea Doria affondò di prua nel volgere di pochi minuti. La poppa rimase emersa ancora per qualche istante per poi esser completamente ricoperta dalle onde. L’ultimo frammento di nave ad essere inghiottita dal mare fu l’asta della bandiera, mentre il transatlantico francese Ile de France, giunto a poche decine di metri dal Doria per i soccorsi, dava l’addio alla consorella italiana con il rombo tuonante della sua sirena.
L’incidente avvenne in una notte tranquilla di mare calmo, ma ricca di fitti banchi di nebbia che limitavano all’improvviso la visibilità. L’Andrea Doria, di proprietà della società di navigazione “Italia”, partita il 17 luglio da Genova per la sua 51 esima traversata in direzione ovest, era praticamente al termine del suo viaggio. Aveva al comando Pietro Calamai, di 58 anni, il più esperto ufficiale della compagnia, che aveva trascorso 39 anni della sua vita a bordo di navi. Guido Badano, allora 29 enne, era il secondo ufficiale Junior della nave. Fu il giovane Badano, negli istanti prima che il Doria affondasse, a convincere il comandante Calamai a non colare a picco con la sua nave.
La Stockkolm era ben più piccola, meno veloce, e, sprattutto meno lussuosa dell’Andrea Doria, che rappresentava il massimo della ricercatezza e del confort per i passeggeri dell’epoca. Per la più piccola nave passeggeri svedese varata nel 1948 era la centrotreesima traversata dell’Atlantico settentrionale con rotta est.
Sin dal primo pomeriggio di quel 26 luglio 1956 il comandante dell’Andrea Doria, da buon vecchio lupo di mare, si era accorto che di li a poco avrebbe incontrato le prime nebbie.
Intorno alle 21 sulla plancia di comando della nave svedese assieme al timoniere, c’era il terzo ufficiale dal nome piuttosto complicato, il ventiseienne Johan-Ernst Bogislaus August Carstens-Johannsen, chiamato comunque da tutti Carstens. Il comandante Harry Gunnar Nordenson era in cabina.
Alla stessa ora, sull’altra nave, il Comandante Calamai era, invece, in plancia. La nebbia era ancora leggera, ma Calamai, in base all’esperienza, era certo che sarebbe divenuta fitta avvicinandosi alla rossa nave-faro di Nantucket ancorata al largo dell’omonima isola del Massachusetts, che indicava in pratica il punto d’ingresso nelle acque degli Stati Uniti.
Così ordinò che fossero prese tutte le precauzioni previste nel caso di visibilità ridotta. Dispose quindi la chiusura delle porte stagne e la riduzione della velocita da 23 a 21,8 nodi. Riduzione più che altro simbolica in quella circostanza, ma in ogni caso la legge era rispettata. Non si trattò di un gesto sconsiderato e temerario, bensì di un ponderato rischio calcolato, come quando si superano di poco i limiti di velocità in un’autostrada senza curve e libera dal traffico.
Quasi contemporaneamente, i radar delle due navi avvistarono reciprocamente l’altra che procedeva in direzione opposta. Nessuno era ancora preoccupato. A mano a mano che l’avvicinamento continuava, fu da entrambi gli equipaggi posta la massima attenzione. Calamai fidava molto nella velocità e nella manovrabilità del Doria, capace, in caso di emergenza, di disimpegnarsi con facilità.
Ma non aveva fatto i conti su quanto stava avvenendo sulla Stockkolm. Nonostante Calamai avesse ordinato una leggera accostata a sinistra per rendersi più distante dall’altra nave, il radar indicava che nulla era cambiato.
Pochi minuti ancora e le luci furo chiare. Agli occhi del comandante Calamai e dei suoi ufficiali apparve l’incredibile: la Stockkolm stava virando a dritta andando incontro al Doria. Calamai lucido nella dispeazione ordinò di virare tutto a sinistra. Ma non era facile far girare la grossa nave di 29 mila tonnellate, lunga più di 200 metri e lanciata quasi a 22 nodi come si trattasse di un’automobile.
Occorse oltre mezzo miglio prima che il Doria cominciasse a virare e così la prua della Stockkolm, tra l’altro costruita con
Sulla Stockkolm, nonostante il pericolo visibile, Carstens non si rese forse conto del da farsi, tanto da avvertire il comandante Nordensen, che se ne stava tranquillo nella sua cabina, solo qualche attimo prima del disastro. Nordensen subì il tremendo colpo mentre di corsa saliva la scala che portava al ponte di comando. “Che è successo?”, chiese allarmato. “Collisione, collisione, veniva da sinistra….”, continuava a ripetere Cartstens letteralmente inebetito.
La maggior parte delle vittime furono quelli che si trovavano nella zona dell’impatto, letteralmente distrutta e con l’acqua dell’Atlantico che comincio subito a invadere lo scafo come il getto di una gigantesca cascata. Innumerevoli gli episodi di eroici salvataggi, compiuti da equipaggio e passeggeri di entrambe le navi e di quelle accorse per prestar soccorso ai numerosi naufraghi.
L’Andrea Doria era il più modeno transatlantico italiano, riconosciuto come il più lussuoso del mondo. Fu la prima nave ad avere tre piscine scoperte, una per ogni classe di servizio, e a disporre di aria condizionata in tutti gli ambienti, sia per i passeggeri che per l’equipaggio. I locali erano arredati da preziose opere d’arte, molte delle quali realizzate appositamente da artisti famosi.
Partita da Genova il 17 luglio 1956, dopo scali a a Cannes, Napoli e Gibilterra per caricare e scaricare passeggeri e merci, l’Andrea Doria cominciò quella che doveva essere la sua ultima traversata atlantica a mezzanotte e mezzo del 20 luglio. Aveva a bordo 1134 passeggeri: 190 in prima classe; 267 in classe cabina e 672 in classe turistica, quella un tempo chiamata “terza classe”, e 572 membri di equipaggio.
Impressionante la dotazione della cambusa per i pasti dei passeggeri e dell’equipaggio: 50.000 uova, 7 quintali di carne e di pesce, 9 quintali di frutta, 150 kg di caffè, 2000 bottiglie tra vino e champagne, 900 litri di latte, consumato più per esigenze di cucina che come bevanda.
Enrico Massidda