Il Gran Consiglio del Fascismo costituiva il massimo organo del regime, presieduto da Benito Mussolini. L’ultima riunione fu quella della notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, quando, l’approvazione del cosiddetto “Ordine del Giorno Grandi”, decretò la caduta del Duce. Era dal 1939 che il Gran Consiglio non si riuniva, poiché da quell’anno Benito Mussolini prese le più importanti decisioni da solo, o almeno consultandosi in privato con pochi fedelissimi.
Presenti al completo a Roma quel 24 luglio i 28 membri che lo componevano. La riunione cominciò alle ore 17 nella sala del Pappagallo, a palazzo Venezia. Erano giorni drammatici per l’Italia e la Germania, ma anche per il mondo intero. Il 10 guglio le truppe alleate erano sbarcate in sicilia e nove giorni dopo, il 19, formazioni di aerei americani avevano bombardato per la prima volta Roma.
A metà luglio era stato chiesto a Mussolini di convocare il Gran Consiglio. Lo scopo, almeno per qualcuno, era di restituire al Re parte dei poteri in modo da poter condividere con la monarchia se non altro parte della responsabilità della guerra.
Le lancette della storia indicano nelle 17,14 il momento esatto in cui il Duce fece il suo ingresso nella sala de Pappagallo. Gravava sull’aula un’atmosfera insolita per una circostanza come quella. Niente stendardi alle pareti, niente guardia d’onore. Nel cortile di Palazzo Venezia, però, molti agenti di polizia in borghese e un folto groppo di “Camicie nere”.
Poi, per altre due ore, parlarono altri. Alle 21 fu la volta del Presidente della Camera, Dino Grandi. Grandi, che raccontò poi di esser giunto a Palazzo Venezia con due bombe a mano in una valigietta e di essersi molto preoccupato alla vista delle Camicie nere nel cortile, parlò per quasi un’ora. E dopo aver espresso la sua fedeltà al Governo, chiese venisse messo ai voti il suo ordine del giorno: Mussolini doveva rimettere i suoi poteri al Re, doveva rinunciare al comando supremo delle forze armate e doveva ripristinare la Costituzione, ossia lo Statuto Albertino. Il Duce non reagì in modo particolare e diede la parola al gerarca successivo. scrissero i testimoni.
Anche alcuni dei più intransigenti, come Roberto Farinacci e Carlo Scorza, segretario del Partito Fascista, volevano un passo indietro del Duce, ma chiedevano di proseguire la guerra accanto alla Germania. E infatti, poco dopo l’intervento di Grandi, venne presentato da Farinacci un secondo ordine del giorno per continuare la guerra accanto alla Germania e riconsegnare al Re il comando dell’esercito.
Alle 23 venne decisa una pausa di mezz’ora. I gerarchi uscirono in un’anticamera dove, si racconta, mangiarono alcuni panini preparati in fretta, visto che nessuno aveva previsto che la riunione sarebbe durata così a lungo. La pausa durò 45 minuti. Intanto Grandi per il suo “Ordine del Giorno” riuscì a ottenere 20 firme sui 28 presenti alla riunione.
Contrariamente alle consuetudini del passato in cui le riunioni terminavano sempre con un documento unico di mediazione votato all’unanimità, alle 2 e 30, Mussolini, a sorpresa, disse che era arrivata l’ora di concludere e stabilì che il primo documento che doveva essere votato era proprio quello di Grandi. Ci fu un solo astenuto, otto contrari e 19 voti a favore.
Tra i firmatari del documento contro il Duce anche Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Mussolini chiese chi avrebbe portato il documento al Re e poi aggiunse: «Signori, con questo documento voi avete aperto la crisi del regime». Quando il segretario del partito Scorza gridò: “Saluto al Duce!”, Mussolini rispose: “Ve ne dispenso”.
Non sapeva che la notte precedente Grandi era andato direttamente a corte per comunicare agli stretti collaboratori del Re che il Gran Consiglio lo aveva sfiduciato. Quel voto era ciò che il Re stava aspettando. Mussolini si presentò nel pomeriggio del 25 luglio a Villa Savoia. Parlò con il Re per venti minuti . Come raccontò lo stesso Mussolini, Vittorio Emanuele III gli comunicò che era sollevato dall’incarico di capo del governo e sostituito dal maresciallo Pietro Badoglio.
Ma Mussolini era prigioniero e il nuovo governo Badoglio, in pochi giorni, cancellò il regime e sciolse il Partito Fascista. Mussolini venne continuamente spostato in vari luoghi, fino a che non fu sistemato in un albergo a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. L’8 settembre Badoglio annunciò che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli alleati. Il 12 settembre Mussolini fu liberato da un commando di paracadutisti tedeschi. Sei giorni dopo nacque la Repubblica di Salò.
Si trattò, o no, di “colpo di stato”? Storici, politici e avvocati ne discussero a lungo, soprattutto sulla “legalità” dell’Ordine del Giorno Grandi. Il fatto che lo stesso Mussolini ne fosse stato in anticipo messo a conoscenza smentirebbe da solo l’ipotesi dell’illegalità.
In ogni caso, molti dei “congiurati” fecero momentaneamente perdere le proprie tracce, o tennero comportamenti “di bassissimo profilo” in modo che gli eventi ben più tragici di quel periodo facessero si che ci si scordasse più facilmente di loro.
Con la liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi e la formazione della Repubblica di Salò, sei di essi vennero arrestati. Tullio Cianetti, colui che aveva ritrattato il suo voto la mattina del 25 luglio, venne graziato dal processo istruito a Verona. Cinque furono condannati a morte e fucilati, tra cui Galeazzo Ciano, genero di Mussolini in quanto marito di sua figlia Edda.
Enrico Massidda