Gli originali collezionisti-imprenditori ostacolati dalla burocrazia del “potere”

Gli originali collezionisti-imprenditori  ostacolati dalla burocrazia del “potere”

Ognuno di noi coltiva in segreto una propria passione, spesso sogni anche molto singolari. C’è chi compra un caccia F104 dell’Aeronautica Militare dismesso dal servizio e notato in bella mostra tra un gruppetto di suoi simili da un rivenditore di “ferri vecchi” ai margini del Grande Raccord Anulare di Roma tra la via Nomentana e l’inizio dell’A1 per Milano, o una vecchia motrice della rete tranviaria di Torino.

C’è chi ha da anni nel giardino della casa di Colonna, a due passi da Roma, due prestigiose vetture, una ristorante e una con letti, appartenute alla Compagnia Internazionale dei Wagons Lits che hanno corso per decenni con il prestigioso “Orient Express” tra Parigi e Istanbul. O chi si è preso un vecchio bimotore Convair ex Alitalia e poi passato all’Aeronautica per trasformarlo in ristorante a Fiumicino. C’è chi poi il ristorante già l’aveva, con tanto terreno all’intorno e una grande passione per i mezzi di trasporto del passato. Così da trasformare a mano a mano nel tempo, a prezzo di enormi sacrifici economici, il complesso in ristorante-museo tra i più forniti del mondo. Non ci riferiamo al menù “culinario”, s’intende!

collezione1 bis colonnaUn ricchissimo menù, tanto per abbozzare una sorta d’elenco, di mezzi agricoli dell’inizio ‘900; di schiacciasassi a vapore provenienti da oltre oceano; e poi elicotteri e aerei, per la verità non di grandi dimensioni, uno dei quali addirittura montato su una colonna idraulica basculante per simulare i vari aspetti del volo; una collezione di “moto Guzzi” tanto completa da far impallidire quella della stessa casa costruttrice; auto d’epoca d’ogni tipo e cilindrata, naturalmente comprendenti Rolls e Ferrari d’ogni tipo. E tralasciamo nell’elenco tanto altro, proprio tanto davvero. Un valore immenso, e non solo economico, quello di ‘Zi Pietro”, questo il nome del ristorante di tale Walter Nazzi sulla via Tuscolana in prossimità di Vermicino, che ha evidentemente suscitato “invidie”, oltre, a quanto sembra, l’ira costante della di lui consorte ossessionata dalla vista di quelli che a suo dire altro non erano che una montagna di rottami.

E così, tra una cosa e l’altra, esplose un’annosa vicenda tra “Zi Pietro” e il Comune di Roma, su cui grava un piccolo lembo del terreno del Nazzi. Comune che decise di espropriarne una parte da adibire a parco pubblico, dando in cambio, si dice, la concessione per costruire alcune palazzine! E non si capisce il parco a beneficio di chi, trattandosi di zona isolata, che finirà senza ombra di dubbio da rifugio di drogati e ricettacolo di cumuli di siringhe usate e abbandonate sul terreno.

collezione4Iniziative sempre “pericolose”, queste degli “strani appassionati”, pronte ad attirare interesse e conseguenti proibizioni delle più diverse Autorità territoriali o meno che adducendo i più diversi motivi sembra proprio che intendano stroncare senza pietà queste particolari quanto apprezzate iniziative, forse perché singolari e insolite, ritenute, chissà, “eversive” e magari contrarie alla pubblica decenza, per scoraggiare chiunque a intraprenderne di nuove.

E così è accaduto a Fontanafredda, nei pressi di Pordenone, dove è svanito il sogno del 71 enne Rino De Marco di trasformare in una gelateria il suo “Caravelle” ex Alitalia acquistato nel ormai lontano 1981 e parcheggiato con amorosa cura nel giardino di casa. Un “Caravelle” con evidenti i segni dell’usura del tempo sulla fusoliera, ma che un veloce, anche se non certo troppo economico restauro, lo avrebbe riportato agli splendori estetici di un tempo. Un improvviso “stop” imposto dalla burocrazia locale che ha infranto il sogno coltivato negli anni da “nonno Rino”, che ha, tra l’altro, come nipote Nicola, apprezzato pilota d’auto di Formula 3.

collezione20Rino de Marco aveva da subito dato un nome al suo aereo, chiamandolo con smisurato affetto “Procione”. E “Lui”, che aveva volato per vent’anni in lungo e in largo per i cieli d’europa e delle rotte a medio raggio della compagnia di bandiera trasportanto decine di migliaia di passeggeri senza aver mai procurato il benché minimo problema, se ne stava in giardino buono buono aspettando pazientemente che il suo nuovo padrone riuscisse a ridargli un po’ della vitalità perduta.

Ma cominciarono gli intoppi. Pur avendo ricevuto il via libera dal Comune, lo “stop” venne dall’Usl, così si chiamavano le attuali Asl, per, a loro dire, insuperabili motivi “igienico sanitari”. Un unico “nulla osta” mai pervenuto, che ha impedito l’avvio di una nuova attività industriale, di cui tutti si riempono la bocca per lodarne le necessità, ma che tutto fanno in realtà per impedirla. E dire che il buon Rino, in tutti questi anni l’Ici per l’aereo in sosta l’ha sempre pagata, neanche fosse un manufatto da rendita da capogiro. E ora l’Imu? Riteniamo che gli toccherà pagare anche questa.

“Acquistai il Caravelle nel 1981 per 25 milioni di vecchie lire – racconta Rino De Marco – apposta per realizzare la gelateria. Ottenni tutti i permessi: sia quello per il deposito sia quello per la realizzazione dello stabile in cemento che sarebbe stato il laboratorio artigianale del gelato da servire a bordo. collezione21Mi costò di più il trasporto dall’aeroporto di Venezia Tessera a Fontanafredda. Furono necessari due camion speciali riadattati per caricarvi la carlinga, le ali e la coda, precedentemente smontati e poi trasportati in un viaggio-odissea su un terreno di 7 mila metri quadrati situato accanto al campo sportivo. E poi, naturalmente, è stato rimontato tutto”.

“E pensare- dice ancora il mancato imprenditore di gelati – che avrei potuto dare lavoro a una dozzina di persone, e oltretutto di questi tempi non sarebbe stato poco! Così ho smontato sedili e arredamenti interni e riposti al sicuro in un deposito. Non si sa mai. Peccato davvero, avevo in mente grandi idee: attorno al Caravelle-gelateria fontane luminose, altri aerei e mezzi di trasporto in mostra statica. Invece niente, e tutto ciò per un permesso mai arrivato”. E senza conoscerne il vero perché, aggiungiamo noi.

Enrico Massidda