I farmaci cosiddetti generici sono davvero equivalenti alle specialità frutto di anni di ricerca e di sperimentazioni delle case farmaceutiche? Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sì, come, per quanto riguarda l’Italia, il nostro Ministero della Salute. Del resto, non potrebbe essere altrimenti. Secondo molti pazienti, invece no, e così la pensano anche non pochi medici, che contravvenendo alle direttive ministeriali che spingono soprattutto al risparmio, continuano imperterriti a prescrivere specialità di marca, o meglio “originali”.
Ma andiamo per ordine. L’OMS definisce i farmaci generici come medicinali bioequivalenti alle specialità da cui derivano, e quindi perfettamente interscambiabii. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i farmaci generici sono medicinali bioequivalenti alle specialità da cui derivano e quindi perfettamente interscambiabili. Per spiegarci meglio, se due forme farmaceutiche diverse (ad esempio, compresse e capsule) o la stessa forma farmaceutica ma formulata in maniera diversa con eccipienti diversi ma contenenti la stessa quantità di principio attivo danno lo stesso tipo di effetto, sono bioequivalenti.
Il farmaco generico deve naturalmente superare gli stessi controlli di qualsiasi altro medicinale prima di ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione da parte del Ministero della Salute e deve essere messo a disposizione del medico in farmacia. Il prezzo inferiore dell’equivalente rispetto all’originale è dovuto al fatto che l’industria che lo produce, non avendo dovuto affrontare i costi della ricerca, ha spese molto più basse. Ma proprio per il loro prezzo più basso
«Nei farmaci equivalenti la legge consente un margine di tolleranza del 20 per cento sulla biodisponibilità, ossia sulla concentrazione del farmaco nel sangue – spiega a RomaSettimanale.it un pediatra non desideroso di pubblicità – che è una variabilità poco significativa nell’adulto, ma che nel bambino può essere causa da un lato di sovradosaggio o dall’altro di inefficacia della terapia. Cautela, quindi, perché l’obiettivo del risparmio non prevalga su quello della sicurezza in una fascia delicata come l’infanzia».
Al problema della “bioequivalenza” si aggiunge anche – secondo i pediatri – quello degli edulcoranti e degli additivi, ovvero quelle sostanze senza azione farmacologica che si aggiungono al principio attivo e servono a garantire la stabilità e la conservazione del farmaco.
Il grosso problema della farmacologia pediatrica rimane ancora quello della carenza di farmaci testati appositamente su soggetti pediatrici. Una carenza storica, derivante da un lato da motivi etici circa l’effettuazione di sperimentazioni sui bambini, dall’altro dallo scarso interesse da parte dell’industria ad effettuare costosi test per farmaci che interessano una fascia di mercato relativamente piccola come quella pediatrica.
I bambini, salvo rarissime possibili eccezioni, non forniscono poi quegli elementi indispensabili a capire. L’adulto è più affidabile, certo, anche se tuttavia non proprio sempre. Condizionamenti e, perché no, suggestione possono indurre, infatti, chiunque a valutazioni errate. Molti, dopo aver provato il “generico” al posto di un farmaco preso per anni, sostengono a spada tratta di non aver assolutamente riscontrato alcun beneficio. E così si pongono in una posizione di rifiuto della novità.
Differenze a volte riscontrate pure nei diversi “lotti” di medicinale prodotti in tempi successivi dallo stesso stabilimento. In ogni caso, c’è chi non esclude che a parità e quantità dei principi attivi pure l’eccipiente utilizzato, sia per tipo che per quantità, possa fare la differenza nella risposta del paziente al trattamento.
A usare senza problemi i farmaci generici sono soprattutto i giovani. Sia per il minor costo, sia perché convinti che l’effetto non cambi. Diverso il discorso per aduti e anziani. Questi ultimi sono diffidenti, o meglio in genere decisamente contrari al generico. Anche se costano meno non lo comprano. Molti, a dire il vero, lo provano, ma tornano subito all’originale dicendo che non è la stessa cosa. Solo diffidenza per le novità?
Martina Angelone