Riccione, 10 luglio 1932: Federico Fellini scrive alla mamma mentre il nuovo amico Alberto Sordi dorme

A vent’anni dalla morte di Federico Fellini, maestro sempre troppo poco ricordato, ci sembra opportuno proporre un documento raro e illuminante, scritto, 81 anni fa, da un bambino che sarebbe diventato un genio. Si tratta del racconto di una serie di folgorazioni, che, nell’arco di un notte e di un giorno d’estate, trasformarono un bambino in un grande artista e della nascita di un’amicizia tra due giganti del cinema: è la lettera che Federico scrisse da Riccione alla sua mamma che era nella loro casa a Rimini il 10 luglio del 1932.

Cara mamma,

non siamo lontani, anzi in chilometraggio

la distanza è addirittura ridicola,

ma ti voglio scrivere ugualmente.

Qui a Riccione si sta bene, si fanno i bagni, io poi dimostro un po’ più dei miei 11 anni e

l’essermi liberato per ora dal collegio mi fa stare molto bene. Ho visto sulla spiaggia, l’altra

mattina, una signora grassa grassa che mi guardava roteando gli occhi e mi piaceva molto;

credevo che fossi tu, poi quando mi sono avvicinato ho scoperto che era una sconosciuta

che mangiava un gelato facendo scodinzolare la lingua vogliosa intorno al cono.

Stanotte mi sono svegliato all’improvviso; nella pensione tutti riposavano, e anche il mio

compagno di stanza Alberto (è un ragazzo di Roma, Sordi di cognome, è sempre allegro e

si esibisce in ogni momento della giornata, facendo ridere tutti con le sue sviolinate stonate)

russava che non ti dico. Quello che voglio dirti, mamma, è che è come se avessi avuto una

visione.

Sentivo dei rumori di martello, mi sono affacciato alla finestra e ho visto che in città

stava arrivando il circo e i primi operai montavano il tendone colorato che al mattino avrebbe

sventolato al sole; un clown, da solo, poverino, e credo molto stanco, si era già messo in

pista, o almeno dove lui credeva ci sarebbe stata la pista, e provava un numero suonandosi da

solo un trombone scassato che assomigliava al mio ( a proposito, a Natale me ne regali uno

nuovo?).

Questa notte non sono più riuscito a dormire, puoi immaginare la mia emozione,

pensavo già al giorno dopo. Per raggranellare i soldi dell’ingresso, insieme ad Alberto ci

siamo travestiti da donna e abbiamo dato spettacolo sulla spiaggia. Se è vero, quanto mi

dici, che sono nato mentre tu vedevi uno spettacolo al circo e tu hai proprio partorito mentre

suonava e rombava il cannone di un clown, tanto che sembrava, dici sempre tu, che io fossi

esploso da una scenetta del clown, se tutto questo è vero, e non è una fantasia che tu mi

racconti per farmi piacere, allora non mi stupisco del mio amore per il circo.

Al botteghino, a vendere il biglietto c’era una signora un po’ anziana, grassa, che roteava

la lingua e io non capivo cosa volesse; diceva, ehi ragazzo, se aggiungi qualche soldo,

stasera faccio io il doppio spettacolo. Anche Alberto, che in genere è più furbo di me, non ha

saputo spiegarmi il senso della frase. Gli ho detto che quando andrò dalla nonna a

Gambettola, in agosto, forse lui potrà venire con me; pensi che sarà possibile ospitarlo?

Al circo mi sono molto divertito e un clown mi ha fatto anche la pipì sul naso, ma

naturalmente era finta. Quando sono uscito ho visto alla fine un clown solo in pista che

suonava il trombone e mi sembrava che alcune suore gli girassero intorno. Secondo te è

possibile o è stata una mia visione? Lo chiederò anche al confessore.

Cara mamma, ti voglio tanto bene.

tuo Federico

Documento raccolto da Giuseppe Franco Pennacchi