In venti anni uscite dalla povertà un miliardo di persone nel mondo

In venti anni uscite dalla povertà  un miliardo di persone nel mondo

Tutto il mondo occidentale non fa altro che parlare della crisi economica. Meglio sarebbe dire delle tante crisi economiche che si stanno succedendo a partire dagli anni ’90 con un andamento ciclico sempre più ravvicinato. All’origine di questi periodi di turbolenza, più o meno lunghi e dall’intensità variabile, vi sono stati molto spesso questioni finanziarie sempre meno legate alla cosiddetta “economia reale”. Forse, ce lo siamo dimenticato, ma a partire da circa venti anni fa un discreto numero di grandi banche di dimensione mondiale sono fallite trascinandosi dietro ben più che la rovina dei loro azionisti e correntisti. Questi ultimi sicuramente sì, per i primi è da vedere.

Poi, sono arrivate le crisi di alcuni stati. A parte la situazione cronica di turbolenza finanziaria in cui vivono molte delle nazioni africane, le crisi più consistenti sono state quelle di Argentina e Bolivia. Nel loro caso sono stati anche commessi degli errori di prospettiva da parte degli organismi finanziari e bancari internazionali. Quando, sicuramente animati dalle migliori intenzioni, hanno voluto collegare le monete locali al dollaro in maniera del tutta ingiustificata dalla reale consistenza dell’economia di quei paesi.

bond3 kraft-137Soprattutto la vicenda argentina ha portato sconquasso, anche sulle economie non latino americane. Ne sanno qualcosa tanti investitori italiani con i “bond argentini”. Hanno, poi, preso il via una serie di situazioni caratterizzate dalle cosiddette crisi del “debito pubblico” degli stati fino a giungere alla situazione critica in cui è finito, ad esempio, l’intero continente europeo. Non parliamo, poi, della profonda depressione in cui gran parte del mondo è caduto per le questioni legate alla Guerra d’Iraq e per la lotta al terrorismo internazionale.

Insomma, qualunque i motivi scatenanti, gli ultimi venti, venticinque anni sono stati caratterizzati da una continua problematicità nel campo economico con il determinarsi di uno diffuso stato di insicurezza nelle società occidentali, in particolare in Europa, dove è cresciuta la sensazione di trovarsi inseriti in un mondo che andava sempre di più impoverendosi. L’autorevole settimanale britannico “The Economist”, però, smentisce questo convincimento. Anzi, in questi ultimi venti anni, sottolinea, più di un miliardo di uomini è uscito dalla miseria. Il tasso di povertà nei paesi in via di sviluppo è calato dal 43 per cento al 21 per cento.

Su sette miliardi di esseri viventi sulla Terra, ne resta oggi un altro miliardo e centomila in condizioni di vita al di sotto di quella soglia di 1,25 Dollari Usa al giorno considerata il limite minimo per la sopravvivenza in larghe parti del globo. Riusciremo, viene spontaneo chiedersi, nei prossimi venti anni ad eliminare anche questa ultima “sacca” di estrema povertà?

Intanto, proviamo ad articolare ulteriormente la riflessione perché questa famosa soglia della povertà non è la stessa in tutte le parti del mondo. bond5 stati-uniti-povertaNegli Usa, ad esempio, è fissata in 64 Dollari Usa per una famiglia di quattro persone e in alcuni paesi in via di sviluppo in 4 Dollari Usa per persona.

Inoltre, il mondo è diventato così articolato e complesso che nel novero delle tante realtà miserevoli presenti su questa Terra si comincia anche ad aggiungere il concetto di “nuova povertà”. Basate su indicatori economici finiscono, poi, per focalizzare altri aspetti del degrado umano i quali possono avere un peso altrettanto importante in una società contemporanea.

Restando però legati alle considerazioni di “The Economist”, è interessante notare alcuni elementi importanti dei dati statistici elaborati dal settimanale britannico. I motivi che stanno alla base della riduzione delle forme più crude della povertà mondiale sono da collegare ai seguenti motivi: i paesi in via di sviluppo hanno dato una forte accelerazione alla loro crescita economica. Mediamente si parla del 6 per cento, invece del 4 per cento.

Questo elemento si considera che abbia potuto incidere per il 75 per cento circa sul fenomeno. Il restante terzo di riduzione è stato provocato dall’introduzione di principi di uguaglianza fortunatamente sempre più diffusi nei paesi interessati. bond6 mzl.efeyvjnw.320x480-75Non è un caso che la riduzione della povertà abbia interessato molto, ma molto meno i paesi in cui le disuguaglianze sono rimaste pressoché immutate.

La Cina può ascriversi i tre quarti del merito grazie all’impetuosa crescita registrata a partire dagli anni ’80. I dati sono impressionanti: tra il 1981 ed il 2010 si possono considerare saliti al di sopra della soglia della povertà 680 milioni di cinesi con una riduzione dello stato di miseria dall’84 per cento al 10 per cento dei giorni nostri.

“The Economist” invita alla cautela, però, sulla reale possibilità che nel corso dei prossimi venti anni si possa raggiungere gli stessi risultati. In primo luogo, perché sembra più difficile che India ed Africa, aree dove permane ancora il più ampio numero di poveri, riescano ad innescare il fenomeno che ha caratterizzato la Cina. Poi, perché sono stati raggiunti i risultati sopra menzionati con un numero complessivo di poveri molto più ampio e, quindi, tale da costringere i governi ad interventi radicali. Potrebbe, insomma, essere più problematico occuparsi dei restanti poveri, anche perché quelli appena giunti oltre la soglia della povertà vorranno continuare il loro miglioramento economico e sociale.

La riflessione finale di “The Economist” riguarda il rapporto tra mercato e miseria. Nel mondo occidentale, questa è la conclusione del periodico londinese, la reazione alle crisi è stata quella di provare a limitare il mercato ed i processi di globalizzazione. La lotta mondiale alla povertà ha portato, invece, ai risultati sopra menzionati solo grazie alla introduzione di elementi di mercato, della libertà di intraprendere e di commerciare. India e Africa, infatti, costituiscono ancora le aree più critiche perché restano soggiogate da monopoli e da forti vincoli per il mercato.

bond10Riflessioni più che giuste. Il punto, però, è che i limiti al mercato ed alla globalizzazione, chiesti nel mondo Occidentale, si riferiscono al fenomeno della cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia che con il mercato, quello dell’economia reale ha poco a che fare.

Con la globalizzazione forse di più visto che i grandi capitali finanziari approfittano della mancanza di regole internazionali per utilizzare il loro potere un po’ dappertutto senza alcun controllo da parte di nessuno. Non è un caso che nei principali Regni del Capitalismo, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, sono proprio alcuni dei più convinti sostenitori del vero “ liberismo classico” a chiedere, in maniera sempre più forte, nuove regole mondiali, anche in materia fiscale.

Chissà che anche da queste nuove regole non possa venire un ulteriore aiuto alla lotta contro la povertà ed alle sperequazioni di questo nostro, caro, vecchio.

Gianluca Scialanga