Referendum consultivo a Bologna: risorse comunali alle sole scuole pubbliche?

Referendum consultivo a Bologna:  risorse comunali alle sole scuole pubbliche?

Domenica 26 maggio a Bologna i cittadini sceglieranno, votando al referendum consultivo comunale, se destinare le risorse finanziarie del comune alle sole scuole primarie comunali o statali. Oppure, come attualmente previsto dalle convenzioni utilizzare i fondi anche per le scuole dell’infanzia paritarie private.

La città che ha creato per prima al mondo l’Università, ed è considerata anche un’ eccellenza per gli asili, si è divisa su questa questione su fronti opposti.

Il comitato Art.33, sostenitore tra i più convinti del referendum, afferma che la scuola privata non deve costituire un onere per lo Stato, come recita appunto la Costituzione, e che i bambini hanno il diritto ad avere un posto nella scuola dell’infanzia statale e laica. Lo scorso anno circa 400 bambini di Bologna non sono stati ammessi per mancanza di posti.

L’Amministrazione del capoluogo emiliano sottolinea che i comuni non sono obbligati a istituire o finanziare la scuola dell’infanzia. Eppure Bologna ha il 60 per cento di scuole comunali, il 17 per cento di scuole statali e il 23 per cento di scuole private. bimbi7Fra queste possono avere il finanziamento solo le paritarie, quelle cioè che seguono regole e programmi del Ministero della pubblica istruzione. A Bologna sono 27, quasi tutte religiose ospitano circa 1700 bambini su un totale di 5.137 e ricevono un milione di euro l’anno.

Mentre i sostenitori dell’abolizione del finanziamento ritengono che questa somma potrebbe essere usata per il pubblico oltre ad ulteriori investimenti, il comune che è a favore del mantenimento delle convezioni con le scuole paritarie, fa notare che servirebbero 12 milioni di euro che lo stato non eroga per far funzionare le scuole necessarie per lo stesso numero di bambini.

Lo scontro è ideologico ma anche pratico e, forse, qualunque sarà il risultato del voto a Bologna, questo referendum potrebbe spostare il dibattito in altre regioni o a livello nazionale e forse finirebbe con l’interessare anche le scuole di ordine superiore.

Lucilla Verticchio