E’ uno dei mitici sette colli di Roma, insieme al Campidoglio, Viminale, Palatino, Quirinale, Celio ed Esquilino. Originariamente il colle si chiamava Mons Marcius, dai mirti che lo ricoprivano, e solo successivamente assunse il nome attuale.
Sull’origine del nome vi sono differenti interpretazioni: c’è chi ipotizza derivi dagli uccelli (aves in latino) che Remo avrebbe visto volare, anche se in numero minore rispetto a quelli avvistati da Romolo sul Palatino; oppure che derivi da Avente, il fiume della Sabina, perché i Sabini abitarono proprio su questo colle dopo il famoso “ratto”; oppure da “adventus”, ad indicare la zona separata dal resto della città da paludi e raggiungibile solo in barca; o, ancora, dal re di Alba Longa, Aventino, che sul colle venne colpito da un fulmine e qui fu sepolto (forse l’ipotesi più probabile).
È’ probabile che la leggenda che vede lo sventurato Romolo sepolto sul piccolo Aventino nacque in età repubblicana per segnare l’inizio della lotta sociale tra patrizi e plebei, che vide opposte le due cime del Palatino e dell’Aventino, divenute ciascuna simbolo dei due schieramenti.
La distinzione tra Aventino vero e proprio cioè la collina maggiore delimitata ad ovest dal Tevere ed a nord dal Circo Massimo, e Piccolo Aventino, cioè la “collina di San Saba”, era anticamente nota, ma a partire dalla fine dell’età repubblicana entrambe vengono indicate con nome di Aventinus. Questo è il nome che, nella divisione augustea della città in quartieri, fu mantenuto per la sola collina maggiore che costituì la XIII Regio, mentre la minore fu compresa nella XII Regio, denominata Piscina Publica.
La prima fortificazione del colle, a palizzate, è attribuita a Romolo, mentre Anco Marcio, avendo aggiunto l’Aventino alla città, lo avrebbe dotato della prima cinta muraria. Il colle era compreso anche nelle mura del IV secolo a.C., attribuite dalla tradizione a Servio Tullio, e la cui esistenza è ormai storicamente accertata, come appare provato dai tre tratti di fortificazioni a blocchi presenti nell’area ovest sotto la chiesa di Santa Sabina.
Nel percorso delle mura si aprivano, da est ad ovest, la porta “Naevia”, collocabile sul Piccolo Aventino tra le chiese di San Saba e di Santa Balbina, , la “Raudusculana”, nella valle tra le due colline e la “Lavernalis”, all’estremità sud dell’Aventino,, sotto la chiesa di Sant’Anselmo.
Nel 494 a.C. vediamo l’Aventino teatro della storica secessione, del leggendario apologo di Menenio Agrippa e del successivo riscatto civile della classe sociale plebea, che si vide attribuire dalla lex Icilia de Aventino del 456 a.C. la proprietà delle terre del colle, distribuite tra le classi meno abbienti della popolazione romana (ager publicus).
Mentre tutto lo spazio disponibile veniva occupato da un quartiere densamente abitato, questa stessa zona era stata considerata la più adatta ad ospitare i templi che evocassero i culti delle città straniere conquistate dai romani: dopo la conquista di Veio del 369 a.C., Marco Furio Camillo vi costruì quello di Giunone Regina, mentre M. Furio Flacco fece seguire alla conquista di Volsinii l’edificazione del tempio di Vertumnus. Altri santuari furono dedicati nel corso del tempo a Consus, Luna, Iuppiter Liber e Libertas e ad un di essi, forse proprio a quest’ultimo, sarebbero da attribuire i resti di un tempietto rinvenuti al di sotto della più tarda chiese di Santa Sabina, il quale già agli inizi del I secolo d.C. aveva però perso le sue caratteristiche culturali per essere trasformato in domus.
Tra i templi che esistevano sull’Aventino il più antico e famoso fu quello di Diana, fondato, secondo la tradizione, da Servio Tullio come santuario federale delle popolazioni latine, imitazione di quello di Artemide ad Efeso. Dionigi di Alicarnasso ci da notizia che ancora in età augustea era conservata nel santuario la stele bronzea iscritta a caratteri arcaici con il patto tra Roma e le città latine. Strabone conferma che il simulacro della dea era simile a quello venerato nella colonia di Focea a Marsiglia. Nel santuario era, inoltre, conservato il testo della legge con la quale, nel 456 a.C., il colle fu dichiarato ager publicus.
La localizzazione del tempio sul colle non è ancora nota. L’ipotesi più accreditata lo colloca nell’area tra Santa Sabina, Sant’Alessio e Santa Prisca, nell’angolo che descrivono le vie moderne di Santa Prisca (ritenuta il tracciato dell’antico Clivus Publicius) e di Santa Sabina (ritenuta il tracciato del Vicus Armilustri). Presupposto per tale localizzazione è il riconoscimento del Balneum Surae ( costruiti da Licinio Sura, amico e connazionale dell’imperatore Traiano), nei resti presenti nell’area dell’attuale Accademia di Danza, a nord di via di Santa Prisca e l’indicazione offerta da Marziale, che descrive la casa di Sura prospiciente il Circo Massimo e vicina al tempio di Diana.
Coerente con tale localizzazione è, inoltre, il racconto della fuga di Caio Gracco che, nel 121 a.C., si era asserragliato nel tempio di Diana e da lì, attaccato dagli uomini di Lucio Opimio, attraverso il Clivo Publicio, passò nel tempio di Minerva per arrivare poi, attraverso il ponte Sublicio, in Trastevere, dove fu ucciso nel bosco della dea Furrina.
Alcuni ambienti di un’importante casa romana, notevoli soprattutto per la ricchezza delle decorazioni pittoriche, furono
In età augustea il carattere popolare delle domus sembra essersi mantenuto inalterato; nuove costruzioni, ancora visibili nell’area sottostante la chiesa di Santa Sabina, si addossano, l’una sull’altra, all’esterno delle Mura Serviane, ormai prive di ogni funzione difensiva. Un tale, intensivo sfruttamento dell’ormai esiguo spazio edificabile potrebbe testimoniare l’aumento della popolazione urbana registrato nella prima età imperiale.
Nomi altisonanti ricorrono nelle fonti a proposito delle domus aristocratiche che dovettero occupare piuttosto intensivamente la sommità del Piccolo Aventino: sono da ricordare i Privata Hadriani (la residenza di Adriano prima di diventare imperatore), gli Horti di Fabia Celonia, la domus Cornificia e la domus Cilonis, quest’ultima individuata grazie al rinvenimento del raccordo di un impianto idrico che riporta il nome del proprietario, il console del 193 e del 204 d.C. L. Fabio Cilone, nell’area che sarà poi occupata dalla chiesa di Santa Balbina.
Le domus, dunque, costituivano in età imperiale la maggior parte delle costruzioni che occupavano il colle; inoltre esso, per la vicinanza agli scali del Tevere, fu intensa sede di culti orientali, come il santuario dedicato a Giove Dolicheno (o Doloceum).
Per quanto riguarda i mitrei, invece, uno di essi antecedente al III secolo d.C. fu rinvenuto sotto la chiesa di Santa Prisca. Si tratta di uno degli edifici destinati al culto mitraico più ricchi di testimonianze e di decorazioni; di particolare rilevanza sono soprattutto i significati simbolici di queste ultime, che aiutano a comprendere i rituali ed i vari gradi di iniziazione al culto, come testimonia un graffito in cui un fedele ricorda la sua iniziazione, avvenuta nel 202.
Negli ultimi anni del IV secolo d.C., in concomitanza con l’editto promulgato dall’imperatore Teodosio che sanciva la distruzione dei templi pagani, tutti i santuari vennero eliminati e sostituiti da luoghi di culto cristiani.
Nello stesso secolo il colle, del tutto trasformato, vantava ormai un diffuso carattere di quartiere residenziale riservato alla classe sociale più elevata, come testimoniato da documenti epigrafici. E’ forse questa avvenuta trasformazione che può spiegare la quasi totale distruzione del quartiere da parte dei Goti di Alarico nel 410 d.C., al fine di saccheggiare le sue ricche residenze, facendolo cadere definitivamente nell’oblio.
Per gli afflussi di stranieri a causa del vicino porto fluviale, l’Aventino fu, tra le regioni di Roma, quella che risentì maggiormente dell’influenza delle culture diverse da quelle tradizionali, aperto a quanto di nuovo proveniva dal resto del mondo. Non deve, dunque, stupire che la religione cristiana abbia trovato su di esso un’accoglienza favorevole, tanto da divenire luogo di “memoria apostolica”.
L’apostolo Pietro sarebbe stato ospitato, oltre che nella casa del senatore Pudente sul Viminale, proprio in quella di Santa Prisca, sulla sommità dell’Aventino. Prisca era una giovane schiava, sposata ad un certo Aquila, operaio asiatico di origine ebraica, stabilitosi a Roma nei primi anni dell’impero. La tradizione di Pietro non sembrerebbe infondata se si pensa che anche San Paolo, nelle sue lettere, cita i coniugi Aquila e Prisca, da lui conosciuti a Corinto, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, dove avevano trovato asilo allorché un decreto dell’imperatore Claudio aveva cacciato da Roma gli ebrei. Nella casa di Prisca sarebbe vissuto, inoltre, anche Paolo, che condivise con i padroni di casa la modesta occupazione di fabbricatori di tende.
Fedele alla vocazione egualitaria ed alla parità dei diritti, l’Aventino ha visto le donne protagoniste della sua storia. Santa Prisca è solo la prima. Figure importanti di sante furono anche la martire Balbina, bella e giovane figlia del tribuno Quirino, e Sabina, la matrona romana che subì il martirio nel III secolo insieme alla schiava Serafia. Chiese e basiliche del colle le ricordano ancora oggi.
Sulle chiese e sui monasteri appena fondati, come sulle ricche abitazioni private, si abbatterono, nel V secolo, i terribili saccheggi dei Goti di Alarico e dei Vandali di Genserico e Ricimero, la cui furia devastò con particolare violenza questo colle. Vistosi segni di bruciature antiche individuati nel corso delle indagini archeologiche testimoniano i terribili incendi subiti.
Poche notizie ci giungono intorno all’anno mille, quando sembra che l’Aventino abbia accolto, in una splendida dimora, Ottone III di Sassonia che, lasciato il regno germanico in balia di sé stesso, preferì dedicarsi ai suoi folli progetti di restaurazione dell’antica romanità. Gli esagerati sfarzi in una società profondamente sofferente determinarono una reazione popolare con un tentativo di linciaggio nei suoi confronti che lo obbligò a darsi precipitosamente alla fuga, lasciando la città. Proprio all’inizio del suo viaggio di ritorno, però, l’imperatore germanico trovò la morte ad appena 23 anni. Per molti secoli il colle venne abbandonato, ultima frontiera tra la città archeologica e l’agro romano, rimanendo solo sede di numerosi conventi.
Una leggenda vuole che tutto il colle sarebbe in realtà un’unica, immensa nave, sacra ai Cavalieri Templari e che, prima o poi, dovrebbe salpare per la Terra Santa. Il Piranesi (1720-1778), architetto, incisore e pittore, ebbe nel 1765 la commissione dai cattolicissimi Cavalieri di Malta di adattare la zona a luogo di culto, riflessione e preghiera era in realtà, un segreto ammiratore dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Egli edificò splendidamente il colle, ma la leggenda vuole che abbia inserito una serie di simboli, riferimenti, architetture, cifre, motti che, se interpretati correttamente, condurrebbero alla scoperta di un immenso tesoro.
Stefania Giannella