Monte Paschi e Penati: il Pd dovrebbe riflettere

Monte Paschi e Penati:  il Pd dovrebbe riflettere

Torna di nuovo pesantemente in auge la “questione morale” che riguarda uomini del Pd, sotto vari aspetti. Si riparla del Monte dei Paschi di Siena e del suo “buco”. Forse in gran parte gestito dai voraci gestori locali della Banca più antica al mondo e dal sistema affaristico-politico” senese. La famosa banda del 5 per cento, insomma.

Un’altra parte, e andrà appurato, sembra chiamare in ballo una buona fetta del sistema bancario europeo. Incluso severe, ed una volta, irreprensibili banche tedesche. Non dimentichiamoci un discreto numero dei vecchi vertici del Partito Democratico, oggi sotto la guida del “traghettatore” Epifani.

A Milano, invece, Filippo Penati non si presenta in Tribunale e non rinuncia alla prescrizione del reato più grave che gli era addebitato per la vicenda di concussione e distribuzioni di mazzette ruotate vorticosamente attorno alla cosiddetta ex area Falk e Marelli. C’era finito coinvolto ai tempi di quando faceva il Sindaco di Sesto San Giovanni. Una delle tante “ Stalingrado” d’Italia dell’immediato dopoguerra.

paschi20 penati-bersani-118251Il suo rinvio a giudizio, per la gravità delle accuse, lo aveva costretto a lasciare la Vice presidenza del Consiglio Regionale della Lombardia. Con questa carica istituzionale, di fatto, Penati, uno degli uomini più vicini, se non quello più vicino, a Pier Luigi Bersani, in realtà, è stato costretto a gettare alle ortiche tutta la sua storia politica, spesa interamente sul fronte della sinistra. Prima con il Pci, poi con i Ds; prima dell’avventura nel Pd.

Le sue vicende hanno fatto scalpore perché era stato in folgorante successione, prima, il responsabile del gruppo del Pd che aveva portato alla ”leadership” Bersani, poi, a capo della segretaria del nuovo leader del Pd. Uno che contava, insomma. Che qualcosa non andasse lo si capì quando lasciò la sede Pd di via del Nazareno, a Roma, per occuparsi solamente della sua carica istituzionale al Pirellone. Nessuno, però, escluso i ben informati a Milano e a Roma, potevano immaginare cosa si stesse per abbattere sul suo capo.

Con il Pd, all’indomani del rinvio a giudizio c’è stato un traccheggiamento: ti dimetti tu? Ti espelliamo noi?Alla fine, giunse provvidenziale il più ampio scandalo che portò alle dimissioni di tutti gli eletti al Pirellone, incluso il “Celeste” Roberto Formigoni, e, così, Penati poté dare l’addio alla politica facendo finta di non essere il solo a dover dare delle spiegazioni.

paschi30 penati-formigoni_thumb290x200Da allora, lui ha sempre proclamato che le cose non erano come sembrava e che non avrebbe mai accettato una sentenza che non confermasse la sua totale estraneità e la non fondatezza di accuse tanto ripugnanti. Non avrebbe neppure mai accettato che tutto finisse in cavalleria con quell’amnistia continuata che i politici si sono dati lasciandole i suoi soliti termini di durata, a fronte del progressivo allungamento dei tempi della giustizia.

Un uomo d’onore, però, e completamente innocente può sempre rinunciare a questa prescrizione se, davvero, ci tiene a dimostrare come stanno veramente le cose. Lo prevede la Legge. E Penati giurava e spergiurava che così avrebbe fatto: un grande gesto di rinuncia alla prescrizione.

Eppure, ieri, in Tribunale a Monza, la Presidente della Corte, Letizia Brambilla, che forse ne aveva letto le determinate ed irrevocabili decisioni sui giornali, ha a lungo scrutato l’aula in attesa di vedere Filippo paschi11 penati pdimagesPenati pronto ad alzarsi ed annunciare la sua rinuncia a veder prescritto un reato che lui non avrebbe mai commesso. Penati, invece, non c’era. Il suo avvocato non ne sapeva niente. A volte agli avvocati dovrebbe essere fatto un monumento per tutte le pietose bugie che sono costretti a raccontare in Tribunale.

Il magistrato, così, ha dovuto fare questo dispetto a Penati e riconoscergli la prescrizione. Ma lui non ci sta e da dove è stato così impegnato, al punto di non poter recarsi al Tribunale, ha tuonato forte che, no!, lui non ci accetta. Presenterà l’appello contro l’ingiusta decisione della Corte monzese.

Chissà se tutto il Pd rifletterà su questa storia e non si limiterà solo a gettare la croce sull’ex compagno di partito. Chissà se, a via del Nazareno e dintorni, spenderanno un po’ di tempo ad interrogarsi sui propri sistemi interni di individuazione dei componenti la classe dirigente e della loro attitudine ed abitudine a gestire la cosa pubblica. Gli uomini che oggi sono nel Pd, confluiti da diverse posizioni, hanno a lungo detto di rappresentare una novità nel modo di fare politica, nel gestire il bene comune, nell’ impostare il rapporto con i soldi ed il potere.

Tutto questo avrebbe rappresentato la loro “ diversità”. Sia nei confronti delle esperienza della cosiddetta “Prima Repubblica”, sia nei confronti del loro terribile spauracchio contemporaneo: Silvio Berlusconi. Tutto questo paschi100 roma_se_non_ora_quando_01avrebbe giustificato la loro vicinanza con i “girotondini”, ai gruppi di base, al movimento delle donne. Quella che, insomma, piace a tutti chiamare la “società civile”. Che poi siamo noi altri, insomma, la gente comune.

In qualche modo, si è ripetuto nella “seconda Repubblica” il cliché della “prima”, quando i comunisti rimproveravano ai democristiani ed ai socialisti al Governo di usare a Roma quegli stessi metodi che loro, in realtà, non avevano alcuna difficoltà a riproporre nelle Regioni, Province e Comuni guidate da decenni dai comunisti prima, dal Pd, poi. La conferma viene dai tanti comunisti, comunque, indagati ai tempi delle inchieste “tangentopoli” condotte da Antonio Di Pietro. Solo che i comunisti sono stati più bravi a farla franca e certa stampa parlava molto poco delle loro vicende.

Però, il mito della diversità, il richiamo a quella “questione morale,” indicata da Enrico Berlinguer quando venne il momento di rompere la politica delle larghe intese con la Dc, è sempre rimasto lì a rappresentare uno dei più importanti miti e vessilli da mostrare alle proprie schiere.

Ma all’interno, nella realtà quotidiana, cosa passa? Possibile che i democratici non si chiedano come mai, in poche settimane, a ridosso delle elezioni, hanno perduto oltre cinque punti di percentuale?
Erano i giorni dello scandalo del Monte e di tutte le vicende che, a livello regionale, vedevano allegramente coinvolti anche gli eletti del Centro Sinistra.

Il consiglio più giusto? Forse, da Enzo Arbore: “Riflettete, gente! Riflettete, gente!

Giancarlo Infante