Pensare che nell’antica Roma la cultura della popolazione fosse scarsa è assolutamente errato! Nel periodo dei Cesari, infatti, l’alfabetizzazione degli abitanti dell’Urbe era di molto superiore a quella della nostra nazione alla metà del 1900.
Certo, almeno inizialmente, la cultura della prole era affidata al “pater familias”, il quale si occupava globalmente dell’educazione dei figli, come testimoniato da grandi uomini, tra cui Catone il Censore (234-149 a.C.), che non trovava disdicevole farsi accompagnare da loro anche nelle cerimonie ufficiali. Ma questo accadeva agli esordi dell’età Repubblicana. Dopo la vittoria su Cartagine i Romani conobbero una nuova ricchezza, e questo li portò ad allontanarsi dalle precedenti attività pedagogiche familiari.
Il ciclo di studi era il seguente: a sei anni tutti i bambini, maschi e femmine, iniziavano le scuole che noi chiameremmo “elementari” fino agli undici anni. L’insegnante era il “pedagogus” (quasi sempre un liberto greco), il quale sedeva sulla “cathedra”, una semplice sedia con braccioli, e puniva gli alunni più indisciplinati a colpi di “ferula”, una sorta di cinghia di cuoio. Si studiava per sei ore al giorno, con una piccola pausa per la merenda (“ientaculum”). Si riposava ogni nove giorni (“nundinaae”, il giorno del mercato) e nelle feste comandate. Le scuole iniziavano alla fine di Marzo, dopo una festa dedicata a Minerva (“Quinquatrus”) e proseguivano per otto mesi, con una pausa estiva.
In questo ciclo i bambini imparavano a leggere, scrivere, fare di conto. Essi usavano il “trittico”, tre tavolette di cera unite tra loro a libretto, da incidere con lo stilo, sulle quali si poteva cancellare, anche se gran parte dell’apprendimento era affidato alla memoria. I metodi di insegnamento erano interessanti: abbiamo notizie dell’esistenza di lettere mobili,
Il secondo ciclo di insegnamento era destinato ad una minoranza di studenti: innanzitutto le femmine che proseguivano gli studi erano pochissime. L’età del matrimonio era, infatti, attorno ai dodici anni per le donne, ma anche i maschi che preferivano inserirsi nel mondo del lavoro erano la maggioranza. I pochi privilegiati che continuavano a studiare lo facevano sotto la guida del “grammaticus”. Si imparavano la lingua e la letteratura latina e greca, la storia, l’astronomia, la geografia.
La terza parte degli studi era privilegio di pochissimi, figli di aristocratici, di equites (la classe di potere degli uomini nuovi) o di ricchi mercanti che aspiravano per i figli ad alte posizioni sociali.
Si usciva da questa scuola come politici di “professione”, già forgiati nello spirito e nella pratica. Nulla era dato per scontato, ma frutto di studi lunghi ed approfonditi. Nella società di allora era difficile poter accedere a una carriera politica senza la dovuta preparazione, come invece accade di questi tempi da noi, perché il “cursus honorum” doveva necessariamente partire da qui. Fu forse proprio questo tipo di preparazione a dare ai Romani statisti, consoli, generali di statura tanto elevata da permettere a questo immenso Impero di sopravvivere per millenni.
Stefania Giannella