Forte guerra tra Lobbies Usa idee diverse per la “ripartenza”

Forte guerra tra Lobbies Usa  idee diverse per la “ripartenza”

La ripresa dell’economia americana si fermerebbe al 2,5 per cento dopo i tagli che riguardano anche la Difesa. Molti nuovi posti di lavoro Usa vengono dalle pmi e dalle “ start-up”. Ma in valore assoluto sembra essere la grande impresa ad assicurare più lavoro.

I dati del primo trimestre del 2013 fanno prevedere che la crescita dell’economia statunitense non supererà il 2,5 per cento su base annuale. Si dovrebbe, quindi, attestare, un po’ al di sotto delle cifre preventivate fino a qualche tempo fa. Purtroppo, la ripresa vera, sembra, arriverà solo nel 2014.
Questo dipende in buona parte dai tagli che il Governo Obama ha dovuto decidere da poco e senza riuscire a trovare alcun un accordo con l’opposizione repubblicana.

Il minor incremento atteso della ripresa, dunque, sarebbe in gran parte dovuto alla riduzione delle spese della Difesa, in vista del duplice disimpegno dall’Iraq e dall’Afghanistan.

In effetti, sin dallo scorso autunno gli analisti prospettano questi risultati in mancanza di un accordo tra la presidenza e l’opposizione. Com’è comune nel sistema americano, è un pezzo che si discute proprio delle conseguenze di questa situazione. Tutto è esaminato fino all’ultimo dettaglio, stato per stato, soprattutto per la creazione di nuovi posti di lavoro e la trasformazione dell’intero mercato del lavoro statunitense. Obama aveva pure avvertito i parlamentari repubblicani. Soprattutto di quelli degli stati che avrebbero maggiormente pagato la riduzione del “ budget”.

INFANTEX3 dollariLe “lobbies” adesso si sono dovute rimettere al lavoro per cercare d’indirizzare i finanziamenti pubblici, ridotti ma pur rimasti consistenti, a seconda dei diversi gruppi che le muovono. Ogni settore della struttura produttiva e dei servizi statunitense ha i suoi “ agenti” al Congresso ed alla Casa Bianca per cercare di influire in tutti i modi sulla divisione della torta. Ciascuno cerca di tirare l’acqua al proprio mulino e convincere deputati, senatori e ministri di essere quello meglio in grado di rispondere al principale problema dell’attuale crisi economica: l’occupazione.

Non manca ovviamente il balletto delle cifre che, in molti casi, vede la partecipazione anche delle agenzie federali e degli organismi pubblici. Pertanto, dobbiamo ritenere che molti dati debbano essere considerati veritieri e verificati.

I settori che si contendono interventi ed investimenti, per quanto riguarda il profilo dell’occupazione, sono sostanzialmente tre: piccole e medie imprese, le cosiddette “ start-up” e gli incubatori di nuove tecnologie, la grande impresa, nazionale e multinazionali basate negli Usa.
Secondo la SBA, “ Small Businness Administration” l’agenzia governativa statunitense che segue le piccole imprese, questo settore occupa circa la metà dei lavoratori impegnati nella parte privata dell’economia Usa.

Negli ultimi dieci anni e mezzo ha creato circa i due terzi di nuova occupazione. E’ questo un elemento che il Presidente Obama cita sempre con soddisfazione nel corso dei suoi interventi, pur senza mai dimenticare che il suo vero bacino elettorale è quello della grande produzione automobilistica del nord America.
INFANTEX29 bia-kelsey-smb-increase-use-social-media-features-august-20092C’è da precisare che, nel paese di eccellenza delle grandi imprese e delle enormi multinazionali, si intende per sistema delle piccole e medie imprese l’insieme delle aziende che non superano il limite dei 500 addetti. Un settore corrispondente, così, a circa il 99,7 per cento del totale delle aziende statunitensi. Se si dovessero, invece, considerare solo le imprese al di sotto dei 50 lavoratori, il loro peso nell’economia statunitense si ridurrebbe al 30 per cento.

C’è da tenere presente che assicurare oggi del lavoro non significa, di per sé, crearne automaticamente di nuovo. Secondo la “ Kauffman Foundation”, infatti, i dati occupazionali negli ultimi anni delle imprese esistenti, tra nuovi posti di lavoro creati e quelli persi, mostrerebbero un saldo negativo pari ad oltre un milione di unità.

In uno studio dell’Università di Chicago, si sostiene che ciò sarebbe dovuto al fatto che le cosiddette piccole e medie aziende non hanno alcun interesse a svilupparsi oltre un certo limite e, quindi, non contribuiscono alla creazione di nuovi posti di lavoro più di una certa soglia. Solo una su quattro di esse cerca di svilupparsi ulteriormente, una volta raggiunti i primi obiettivi di crescita e stabilizzazione della produzione.

C’ è un altro elemento che interessa i lavoratori delle piccole e medie imprese: sono gli stessi ad essere riassunti se le cose vanno meglio dopo essere stati licenziati in un momento di crisi.
Secondo alcuni esperti, questo, allora, è il terreno su cui il Governo statunitense dovrebbe lavorare maggiormente, favorendo le piccole e medie imprese con la riduzione di alcune tasse e vari loro costi sociali, al fine di recuperare una parte di quegli otto milioni di lavoratori da loro lasciati a terra nell’ultimo periodo di crisi.

INFANTEX8Un altro settore dell’economia statunitense cui si guarda con ottimismo, per quanto riguarda anche la creazione di nuovi posti di lavoro, è quello delle cosiddette “ start- up”. Si tratta delle nuove società intenzionate a sviluppare idee originali ed innovative legate, in particolare, al settore digitale ed alle moderne tecnologie. Secondo molti analisti, infatti, è grazie a questo particolare settore se il saldo complessivo tra numero dei licenziati e quello dei nuovi occupati risulta ancora positivo.

Dalle “ start-up” verrebbe la conferma che, in linea di principio, non esisterebbe alcuna relazione tra la dimensione dell’azienda e la creazione di nuovi posti di lavoro. Sarebbe, così, tutto da dimostrare il luogo comune che “ grande “ è bello. Ma questo varrebbe anche per il contrario!
I sostenitori di questo dinamico comparto chiedono che gli aiuti statali siano maggiormente indirizzati verso loro che rappresentano la“ nuova frontiera” dell’economia moderna statunitense.

Del resto, quelli creati dalle “ start-up”, sono posti di lavoro destinati a durare. I loro dati dicono che, in molti casi, anche a cinque anni dalla nascita di queste nuove società non ci sono perdite in termini di occupazione ad un tasso superiore di quello delle aziende di più lunga esistenza.

C’è comunque da considerare che queste “ start-up” assicurano mediamente una paga media pari a circa il 70 per cento di quella garantita da aziende più grandi e già consolidate nel tempo. Oltre al fatto che, attualmente, il loro sviluppo non è più paragonabile a quello cui hanno fatto assistere nel corso degli anni ’90. In ogni caso, nonostante la crisi del decennio successivo, si prevede ancora un ruolo importante per INFANTEx16 chicagoloro nella più complessiva crescita dell’economia americana.

E’ interessante notare che, in particolare, i sostenitori delle “ star- up”, ma anche quelli delle piccole e medie imprese, chiedono al Governo Usa sostanziali modifiche alle leggi sull’immigrazione. Vorrebbero che fosse reso più facile l’ingresso di personale qualificato straniero al fine di potersi avvalere delle qualità apportate dai migliori cervelli indipendentemente alla zona del mondo in cui si sono formati.
I sostenitori, invece, delle grandi industrie mettono in campo altre cifre ed altre riflessioni. Fanno notare che il 99,7 per cento della struttura produttiva piccola e media assicura poco meno dei due terzi dell’intera occupazione nazionale. Il restante 0,3%, cioè proprio la grande impresa, garantisce il restante terzo, con un dipendente ogni tre. Messa in altri termini, si può dire che una sola grande azienda assicura l’occupazione paragonabile a quella di 300 piccole compagnie.

Così i “ lobbysti” dei grandi gruppi industriali si stanno facendo chilometri e chilometri nei corridoi della Casa Bianca e del Parlamento di Washington per sostenere i finanziamenti ai loro rappresentati. Il INFANTEX18loro messaggio è chiaro: è vero!, negli ultimi venti anni piccole e medie imprese hanno assicurato, rispettivamente, il 29 ed il 27 per cento dei posti di lavoro. Il restante 44 per cento, però, è dovuto alle più grandi. Così come la crescita dei posti di lavoro: a fronte del 16 e del 19 per cento dovuto a piccole medie imprese, ben il 65 per cento lo si deve alle multinazionali.

Questi esperti, però, si sentono spesso rivolgere una domanda insidiosa: ma dov’è che questi posti di lavoro sono stati effettivamente creati dai colossi internazionali statunitensi?
La risposta è la seguente: durante gli anni ’90 si deve loro la creazione di 2.7 milioni di posti all’estero e di 4,4 milioni negli Stati Uniti. Nel decennio successivo, però, c’è stato un repentino mutamento di rotta: più 2,4 milioni di posti all’estero e ben 2,9 milioni in meno, invece, negli Stati Uniti.

La conferma che, con l’avanzare della crisi è stato più conveniente delocalizzare, puntare cioè sui più bassi costi della manodopera straniera. Cosa che piccole e medie imprese non possono fare.
Un’altra accusa mossa alla grande industria è quella di aver, contemporaneamente, tagliato gli investimenti in ricerca ed innovazione come dimostrerebbe l’andamento del deposito dei brevetti secondo il quale le piccole e medie aziende statunitensi sono in grande vantaggio sulla via delle novità e delle innovazioni.

Beatrice Zamponi