Tra ricchi e poveri la forbice si allarga

Tra ricchi e poveri  la forbice si allarga

Molte volte i nostri guai vengono dai politici, dai cosiddetti tecnici e dagli economisti di professione che ci sanno raccontare molto bene cosa stia accadendo ma non sanno proprio prevedere quello che ci sta per arrivare addosso. Cosa più grave, non sanno neppure vedere da dove molti guai sono originati e, quindi, individuare i punti da cui partire per avviare nuove e più efficaci politiche di ripresa.

Un esempio lo troviamo anche dai dati sulla distribuzione della ricchezza e dei redditi. Cifre che si sono andate modificando negli anni passati fino ad incidere, anche loro, sull’andamento della più complessiva situazione economica italiana.

In qualche modo si tratta di un intreccio di causa ed effetto con profonde ripercussioni su quella che si presenta come una crisi persino peggiore del 1929. Una crisi sfociata nella Seconda Guerra Mondiale e destinata a modificare completamente gli equilibri politici ed economici internazionali.
Gli andamenti della ricchezza e dei redditi italiani ci fanno capire che la crisi dell’economia del nostro Paese ha finito per pesare sulle famiglie già prima che ne fosse riconosciuta l’esistenza a livello generale e diffuso dai mass media.

Molti ricorderanno che questa crisi, per altro costantemente e ripetutamente negata da fonti autorevoli del Governo, dal 2008 in poi, è stata relegata alla sola questione del debito pubblico dello Stato. Cosa che, semmai, è un termometro della febbre, più che febbre in sé o, comunque, una componente di un malessere ben più generale
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redditi4 banca italiaLa riduzione della ricchezza degli italiani, o meglio la sua redistribuzione a favore dei più ricchi, e la riduzione del reddito hanno contribuito ad indebolire ulteriormente il tessuto economico preso di mira da una congiuntura negativa internazionale e da effetti speculativi, verso i quali non è certo sufficiente inviare strali più o meno sinceri ed interessati.

Vediamo, allora, questi dati che finiscono per influire anche sulla questione del debito pubblico, il quale non può essere visto solo in relazione al Prodotto interno lordo di un paese.

La ricchezza complessiva delle famiglie italiane, cioè la somma dei beni materiali ed immateriali disponibili, con un valore di mercato, posseduti da tutti i nuclei familiari presenti nel Paese, alla fine del 2010, è stata calcolata in 8.638 miliardi di Euro. Secondo la Banca d’Italia, si tratta di una ricchezza 7,5 volte maggiore di quella registrabile nel 1965.

redditi8Se l’intera ricchezza nazionale si suddividesse per ciascun cittadino, oggi un italiano dovrebbe possedere 142.000 Euro mentre nel 1965 ne aveva solo 21.900.

Tra il 1995 e il 2010 la ricchezza è cresciuta di circa il 40 per cento, di cui il 56 per cento è dovuto al risparmio ed il restante ai “ capital gains”, cioè ai guadagni dovuti agli investimenti finanziari o all’aumento del valore delle proprietà immobiliari.

La Banca d’Italia ha anche conteggiato le cifre relative al debito pubblico nello stesso periodo preso in esame 1965- 2010, giungendo alle seguenti conclusioni: se ogni cittadino si fosse assunto una quota del debito, avrebbe dovuto ripagare 2.700 Euro nel 1965 e 30.500 Euro nel 2010. Come si vede, in 45 anni, a fronte del 7,5 per cento di aumento della ricchezza, il debito pubblico è salito, invece, di oltre il 10%. In ogni caso, l’aumento della ricchezza delle famiglie italiane viene appena scalfita dall’aumento del debito pubblico pro capite.

Un’altra riflessione importante riguarda il Pil: rispetto al 1965, nel 2010 è pressoché raddoppiato. Il che significa, nel periodo preso in considerazione, che l’Italia ha aumentato molto di più la propria ricchezza redditi11sia rispetto alla produzione, sia rispetto al reddito che da questa produzione è originata.
I dati, però, possono ingannare. In effetti, non è affatto vero che la ricchezza ed i redditi siano distribuiti secondo un criterio di uguaglianza, come se i calcoli sopra fatti corrispondessero alla realtà delle cose.

Precisiamo: il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 40 per cento di tutta la ricchezza di tutte le famiglie italiane. La forbice tra i ricchi e poveri si è andata allargando negli ultimi quindici anni, invece di restringersi come ha fatto dal 1965 fino agli anni ’90.

Esaminando le diverse fasce sociali si nota che le differenze aumentano ancora di più svantaggiando sempre i ceti medi o meno abbienti. Quelli, però, che raccolgono la maggioranza della popolazione e che, alla fine dei conti, in un momento di recessione finiscono per ridurre complessivamente il volume dei consumi e delle spese quotidiani. Lo stesso vale per il Mezzogiorno i cui indici, sia per quanto riguarda la ricchezza, sia per quanto riguarda i redditi, perde più terreno rispetto al resto d’Italia.

redditi7La conseguenza di tutto ciò è la profondità e l’ampiezza della crisi economica che stiamo vivendo e che richiederebbe dai nostri politici, da parte dei centri finanziari e da parte delle imprese, le quali hanno bisogno di un mercato interno dinamico e reattivo, lo sviluppo di nuove strategie e di nuovi interventi tesi a riequilibrare una tendenza che rovescia i decenni della crescita verificatasi all’indomani della Seconda Guerra mondiale.

La ripresa economica non può che passare da una politica e da interventi, sia pubblici, sia privati, orientati in maniera diametralmente opposta e cioè indirizzata nella direzione di una riduzione della forbice attualmente riapertasi tra le famiglie più ricche e quelle più povere.

I dati, inoltre, indicano che la ricchezza italiana è andata crescendo in qualche modo slegandosi dall’andamento della cosiddetta economia reale visto che è fortemente connessa al valore degli immobili ed allo sviluppo del mercato azionario, proprio soprattutto degli anni ’90.

Attenzione, però, a non illudersi che, davvero, dai soldi possano venire altri soldi all’infinito, slegando il meccanismo di sviluppo e di accumulazione dalle dinamiche dei fattori produttivi e della creazione di beni materiali che, come sta dimostrando l’attuale crisi in corso, restano il punto di riferimento vero per un’economia autenticamente degna di questo nome.

Beatrice Zamponi