Sparisce un altro teatro di Roma: il Salone Margherita

Sparisce un altro teatro di Roma: il Salone Margherita

La Banca d’Italia, proprietaria dei locali del Salone Margherita di Roma, ha deciso di mettere in vendita lo storico teatro di varietà della capitale.

Su questo famoso palcoscenico si sono esibiti, per oltre un secolo, attori del calibro di Ettore Petrolini, Totò, Aldo Fabrizi, il futurista Tommaso Marinetti, Pippo Franco, Oreste Lionello, Leo Gullotta e tanti altri comici.

Nell’avviso di vendita, la Banca d’Italia scrive che “intende alienare l’immobile sito in Roma, Via Dei Due Macelli, 74/75, con una procedura di vendita senza base d’asta. L’unità immobiliare è un teatro noto come “Salone Margherita” e occupa una porzione di un edificio ottocentesco situato nel centro storico di Roma adiacente Piazza di Spagna”.

Il teatro, un gioiello in stile liberty, fu realizzato nel lontano 1898 come Cafè Chantant della capitale. I fratelli Marino, imprenditori teatrali, avevano intuito i gusti della generazione della bella Epoque ed ingaggiarono per i loro spettacoli artisti, ballerine, comici, cantanti.

Il Teatro della Vanità, così chiamato all’epoca, riscosse uno strepitoso successo tra gli spettatori, di Roma e non solo, e la critica. A seguito di tali successi gli imprenditori decisero di ampliare gli spazi del teatro con arredi più lussuosi ed aggiunsero una galleria.

Dopo gli anni cinquanta il successo del Salone Margherita inizia purtroppo un declino inarrestabile. Per provare ad arrestarlo il palcoscenico del teatro ospita, per diversi anni, gli spettacoli satirici del Bagaglino sotto la geniale e abile regia di Pierfrancesco Pingitore.

Inizia, così, la stagione della satira. Oreste lionello, comico, doppiatore e imitatore, è uno dei principali mattatori del Bagaglino. Imita gli uomini politici più importanti dell’epoca; si veste con i panni di Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio; incontra l’altro protagonista della vita politica italiana, il suo famoso sosia, il “divo” Giulio Andreotti intervistato poi da Pippo Franco con domande irriverenti, ma molto gradite da un pubblico ormai affezionato.

E’ la satira degli anni 70/80 promossa poi a rango televisivo dove ha un successo strepitoso di pubblico e di telespettatori, con circa 14 milioni a serata.

Alla fine, la Banca d’Italia ha annunciato la vendita dell’ormai famoso teatro satirico della capitale ed, ovviamente, la notizia fece subito il giro della capitale.

Ci si ricorda, così, allora anche della chiusura di numerose sale cinematografiche di Roma, cosa che ha ridotto di non poco il numero delle quaranta sale adibite a cinema frequentabili dai romani.

Tra queste, il cinema America a Trastevere, lasciato dopo alterne vicende a degradare malinconicamente. Poi, è arrivata la chiusura del cinema Etoile a Piazza in Lucina che, dopo una serie di deroghe da parte dell’amministrazione municipale, l’ex locale cinematografico diventa la Maison Vuitton.

La stessa sorte a Roma tocca ad alcuni teatri. Visto che i vigili del fuoco ritengono lo spazio teatrale non in regola con l’uscita di emergenza, si arriva alla chiusura delle recite serali del teatro dell’Orologio.

Ed infine la vicenda, a dir poco drammatica, del più antico e famoso teatro della capitale, il teatro Valle. Costruito nei primi due decenni del 1700, il Valle è stato occupato per tre anni da attori, registi e uomini di cultura, dal giugno del 2011 ad agosto del 2014.

Dopo lo sgombro eseguito dalla polizia, iniziò una lunga trattativa con il comune di Roma per far riaprire i battenti del teatro. Il Valle fu “supportato” con donazioni anche da attori famosi, da gente comune amante del teatro e da diversi uomini politici. Così, furono organizzati spettacoli teatrali di vario genere, mentre la fine sembrava certa.

Infine, recentemente, una buona notizia comunicata dall’assessore Luca Bergamo sulla ristrutturazione  del teatro per farlo ripartire. In una intervista rilasciata al Corriere.it l’assessore ha dichiarato:  “C’è molto da fare. Se tutto procede come ci auguriamo, inizierà da febbraio 2018 per poi arrivare, all’incirca dopo un anno, all’avvio della seconda fase in cui si affronterà la vera e propria ristrutturazione straordinaria e infine, nella terza fase, si passa al restauro dell’edificio”.

Una buona notizia e un buon auspicio anche per il Salone Margherita. Infatti, nel 2018 continua, nonostante la messa in vendita della struttura, la programmazione degli spettacoli satirici e musicali. Nel cartellone si inizia con “Gran Follia”, un music hall raccontato dall’attore Martufello e da Pamela Prati protagonisti principali dello spettacolo teatrale.

Autori, comici e il corpo di ballo si chiedono se questo sarà uno degli ultimi spettacoli allestito in questo famoso teatro romano; nessuno si lancia in previsioni sul suo futuro.

Ci si interroga, però, su quale sarà la destinazione d’uso del teatro, in caso di vendita, alla vigilia dei festeggiamenti che ci saranno a dicembre del 2018 per i cento anni dalla nascita. “”Festeggiamo con un po’ di amarezza questo traguardo, perché ancora una volta Banca d’Italia, proprietaria del salone Margherita da sempre, ha messo in vendita il teatro con logiche più simili a quelle della speculazione edilizia che a quelle del sostegno dell’impresa culturale” dice Nevio Schiavone, produttore e gestore del teatro da ben 5 anni.

Tutti i protagonisti del Salone Margherita confidano nell’intervento dei Ministri Visco e Franceschini per scongiurarne la chiusura ed evitare che, come si teme, al suo posto sorga magari una discoteca, un atelier o un supermercato.

Contro la chiusura del Teatro sono intervenuti molti artisti e intellettuali, tra i quali Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Vittorio Emiliani. Nella difesa del Teatro si è schierato anche Stefano Molini con 5000 firme di cittadini raccolte sul suo blog e inviate ai vertici della Banca d’Italia e al Ministro della Cultura Franceschini per salvare il teatro dalla vendita.

“Il Salone Margherita è stato il tempio del varietà e della satira italiana ed è un gioiello del liberty”, scrive a sua volta il giornalista della Stampa Andrea Cionci. E lancia un appello al quale ci associamo anche noi: “non perdiamo un altro spazio culturale”!

Giuseppe Careri