Renzi fa fuori Saccomanni e la Bonino. I dicasteri ridotti a 16. Il nuovo ministro all’Economia, Padoan, torna da Sydney. Esclusi i centristi Popolari per l’Italia e Tabacci

Renzi fa fuori Saccomanni e la Bonino. I dicasteri ridotti a 16. Il nuovo ministro all’Economia, Padoan, torna da Sydney. Esclusi i centristi Popolari per l’Italia e Tabacci

La vera novità  dello scioglimento della riserva da parte di Matteo Renzi, ed elemento insolito,  è stata costituita dal lungo colloquio del Presidente incaricato con il Presidente Giorgio Napolitano. Tutti si aspettavano pochi minuti di attesa e, invece, si è trattato di quasi tre ore. Renzi, comunque, ad un certo punto, ha avvertito tutti con un twitt che era prossimo a terminare con Napolitano e che si sarebbe presentato alle telecamere. Aveva paura che i giornalisti se ne fossero andati?

In ogni caso,  il Governo Renzi è varato e sabato 22 alle 11,30 ci sarò il giuramento al Quirinale. Poi toccherà all’esame delle camere, a partire del Senato.

I dicasteri sono ridotti da 21 a 16. Metà sono donne, con ministeri importanti finiti quasi tutti a donne del Pd. Esclusi i centristi dei Popolari dell’Italia e Bruno Tabacci. Preferiti, infatti, Scelta Civica con Stefania Giannini alla Pubblica Istruzione e l’Udc con Gianluca Galletti all’Ambiente.

Il risultato complessivo  è che non siamo al governo Renzi fotocopia di quello di Letta, ma quasi. Nel senso che, a parte cambi di poltrone, e considerando la fondamentale riduzione del numero dei ministeri,  gli equilibri sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Sia tra i partiti della maggioranza, sia  all’interno del Pd.

Anche la nomina di Pier Carlo Padoan all’Economia deve essere considerata una sostanziale linea di continuità d’impostazione con il programma economico del precedente Governo di Enrico Letta e, in qualche modo, con quello prima ancora di Mario Monti.

padoan

Si tratta di vedere quanto questa continuità accorcerà la distanza tra Palazzo Chigi, e il Ministero di Via XX Settembre, da una parte, e la Bce di Mario Draghi, dall’altra. Era sembrato che Matteo Renzi stesse puntando molto su questo “avvicinamento”. Al punto che, per giorni e giorni, era circolata la voce della possibile nomina all’Economia di Lucrezia Reichlin. Una scelta prospettata, secondo altre voci  da confermare, proprio su indicazione di Draghi,  incontrato da Renzi con molta discrezione negli ultimi tempi.

Poi, invece, la candidatura di Lucrezia Reichlin è caduta per evitare troppo scossoni e premiare, evidentemente, la continuità di linea della politica economica secondo quelli che sono ritenuti i convincimenti del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: rimettere i conti in ordine, fare un po’ di riforme per presentarsi all’appuntamento della presidenza del semestre italiano con le carte in regole e rinegoziare con il resto dell’Europa da una posizione di forza.

La continuità registra, in ogni caso, alcune smentite. La prima: l’assenza di Enrico Letta. L’ex Presidente del Consiglio ha confermato di voler fare “l’Achille sotto la tenda” e di non voler portare neppure un piccolo aiutino ad un Renzi considerato alle prime armi e, quindi, molto debole. La seconda: la sostituzione di Emma Bonino agli esteri con  Federica Mogherini. Del resto, la Bonino  non ha un pacchetto di voti da gettare sul tavolo e, quindi, è stato gioco forza uscire dalla Farnesina nonostante abbia dato l’impressione di aver fatto molto bene. La terza, già ricordata, è quella della sostituzione Ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni.

Saccomanni, in effetti, era già dato come vittima sacrificale un po’ da tutti. La conferma era poi definitivamente venuta dalla sua rinuncia a volare a Sydney per il G20. Un ricambio  dato per certo per due buoni motivi. Renzi non poteva presentarsi sulla stessa linea del Governo di Letta eliminando il solo Letta. Sarebbe stata la conferma evidente del “fratricidio” consumato e ancora non  capito da una buona parte del Paese e del Pd.

Un forte segnale di “novità” non poteva che riguardare il Ministro dell’Economia. Renzi, infatti, con la nomina di Padoan fa tornare quel ministero ad essere più “politico” di quanto non lo sia stato finora.  Un tecnico puro alla Saccomanni è sostituito da un altro “tecnico” che, però, ha alle spalle parecchie incursioni nel mondo della politica italiana.

Per capire l’operazione Paodan dobbiamo ricordare che egli è stato consulente dal 1998 al 2001 a Palazzo Chigi quando i Primo ministro sono stati, in successione, Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Il nuovo responsabile dell’Economia é stato anche Direttore della Fondazione “Italianieuropei” che, guarda caso, è stata creata da D’Alema e da Amato. Padoan è ancora indicato come componente “dell’ Advisory Board” della Fondazione di cui è stato Presidente Giuliano Amato fino a quando non è stato nominato alla Corte Costituzionale. Certe volte ritornano, insomma.

bray

Non è un caso che, proprio mentre Renzi saliva al Quirinale, il ministro uscente ai Beni Culturali , Massimo Bray, pugliese e dalemiano, anch’egli legato alla fondazione dalemiana di cui ha diretto la rivista, ha reso noto di uscire dall’esecutivo. Bray ha pagato il prezzo dell’arrivo a Via XX Settembre di Padoan il quale ha occupato tutta la quota destinata all’opposizione interna al Pd, in quota  D’Alema, in un esecutivo con un numero così ridotto di ministri.

Ultima notazione al riguardo: la testa di Saccomanni era stata chiesta per mesi ad Enrico Letta dai berlusconiani, quando ancora sostenevano l’esecutivo nato nell’Aprile del 2013. Renato Brunetta, furiosamente critico di Saccomani, ora correrà a stappare una bottiglia di spumante.

La casella occupata all’Economia ha condizionato la definizione di tutto il resto della squadra governativa. I “giovani turchi” del Pd che, di fatto, hanno stretto un’alleanza con Renzi ai danni di Enrico Letta, sono riusciti a conservare il posto di Andrea Orlando, ma spostato alla Giustizia.

Alfano dev’essere felice. La riduzione del numero dei posti avrebbe potuto fargli perdere molto più delle caselle della Vice Presidenza, del Ministero delle Riforme e di quello dell’Agricoltura. Egli riesce a conservare tre ministeri importanti: Interni, Infrastrutture e Sanità. Si potranno rivelare molto utili per irrobustire la presenza del Nuovo Centro destra sul territorio dopo la rottura con Silvio Berlusconi.

Giancarlo Infante