Renzi chiamato alla prova. Deve convincere i partiti e gli italiani di essere capace di costruire e far dimenticare il “peccato originale” con cui nasce il suo esecutivo.

Renzi chiamato alla prova. Deve convincere i partiti e gli italiani di essere capace di costruire e far dimenticare il “peccato originale” con cui nasce il suo esecutivo.

Sarà vera gloria? E’ la domanda che circola in un semideserto e disincantato Montecitorio dove si aspetta di entrare nel vivo delle consultazioni del nuovo Presidente del Consiglio incaricato, Matteo Renzi, a partire da martedì 18 Febbraio. Montecitorio, ed  il suo Transatlantico, si animeranno come da sempre accade con le trattative per la nascita di un nuovo esecutivo.

Matteo Renzi corona un sogno. Giungere a Palazzo Chigi per rispondere ad un’esigenza di rinnovamento che sale dal Paese ed “imporre” al Paese quel rinnovamento che egli individua come unica ricetta possibile e necessaria. Renzi  a questo appuntamento, pero’, sarebbe voluto arrivarci seguendo un altro percorso.

E’ stato, infatti,  un convinto propugnatore delle primarie, fine e mezzo per la sua politica della “rottamazione”. Ha fatto di tutto per giungere al Quirinale sulle ali  del pronunciamento di un intero Paese. Così, invece, non è stato. Anche se egli può sempre ricordare il successo raccolto con le primarie nel suo Pd. Non è tutto, ma é abbastanza.

Purtroppo, però, Renzi è stato chiamato al Quirinale sulla scia di un’operazione da qualcuno definita “opaca”. Anche a  lui sembrerebbe apparire tale. Adesso, conta sul tempo e sui risultati per farla dimenticare. Non perché accetti le maliziose insinuazioni che già circolano alle sue spalle su chissà quali siano i suoi collegamenti sospetti. Lui è il primo a non poter essere contento di realizzare il proprio sogno senza essere stato eletto da nessuno, ma solo dopo un “teatrino” da vecchia “prima repubblica”.

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I sondaggi di opinione, quando sono buoni, aiutano. Sanno anche essere impietosi, però. In queste ore, tradiscono le difficoltà che hanno gli italiani, anche quelli iscritti e sostenitori del Pd, a capire cosa si sia consumato nel corso della scorsa settimana. Per ora pensano così che non stia cambiando molto e continuano a vedere la politica solamente come una lotta di potere.

A Renzi il compito di smentirli. Probabilmente modificando anche il proprio stile. Se lui continua a restare appassionato del cliché appiccicatogli addosso nel corso degli ultimi anni,  le vicende di questi giorni potrebbero rivelarsi un limite del suo governo, se non addirittura un “peccato originale”.

Se, invece, l’ancora Sindaco di Firenze, accetta la complessità delle regole del gioco, in cui dispiegare la propria carica di novità,  la cosa potrebbe rivelarsi non più così drammatica. Gli italiani  sono sempre alla ricerca di un santo taumaturgo che risolva quello che loro non vogliono risolvere e pochi buoni risultati potrebbero già essere sufficienti

Matteo Renzi, forse, dovrebbe smetterla di caratterizzarsi solamente per l’aspirazione a compiere una non ancora ben definita “rottamazione” di uomini e cose e chiamare, invece, il Paese a confrontarsi con un’organica visione autenticamente riformatrice in cui la maggioranza degli italiani possa ritrovarsi e contribuire a far diventare definitivamente il nostro un Paese moderno.

Fare, insomma, quello che non ebbe il coraggio di fare Silvio Berlusconi quando il “sucidio” veltroniano del Pd gli riportò ancora una volta l’Italia su di un vassoio d’argento: unire più che dividere. Ancora una volta si spera che qualcuno riesca a fare il primo passo per la ricostruzione del tessuto sociale, politico e culturale di un Paese finito allo sbando dopo venti anni di inutile polemiche servite solo a disgregare i pilastri attorno cui si crea e si sviluppa comunità e a far perdere di vista l’impegno per il bene comune.

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Renzi insomma dovrebbe riuscire a fare il salto di qualità imposto dal ruolo che è riuscito a raggiungere. Soprattutto dovrebbe capire che  è costretto a mettersi in gioco in un’altra dimensione rispetto a quella in cui ha vissuto finora.

A Roma non si lascia un segno se manca una visione globale, direi persino universale. Per non esagerare, ci si potrebbe accontentare di un progetto per l’Italia su cui trovare il consenso più ampio ed evitare il più possibile  di essere motivo di contrasto e di divisione.

Giancarlo Infante