Obama riunisce un vertice all’Onu contro il terrorismo. Anche la Russia pronta a bombardare l’Isis

Obama riunisce un vertice all’Onu contro il terrorismo. Anche la Russia pronta a bombardare l’Isis

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, presiede una riunione delle Nazioni Unite cui partecipano molti leader mondiali per discutere di lotta al terrorismo. E’ un altro degli impegni intrapresi in prima persona da Obama per far ottenere agli Stati Uniti un allargato sostegno alla lotta contro i gruppi di terroristi, a partire da quelli collegati al Califfato islamico dell’Isis, o Daesh.

Obama, intervenendo nel corso del dibattito all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha già ricordato come il conflitto siriano abbia provocato oltre 200.000 vite e costretto quattro milioni di persone a fuggire all’estero, che secondo l’Onu  si aggiungono altri cinque, comunque, sfollati all’interno della stessa Siria.

Il Presidente Usa ha anche chiesto la formazione di una “larga coalizione anti-terrorismo” per combattere l’Isis richiamando, così come aveva fatto anche il Presidente russo Putin, all’unità d’intenti delle forze internazionali democratiche impegnate contro la Germania nazista nel corso della seconda guerra mondiale.

Nonostante le dure polemiche delle ultime ore, dunque, la realtà sul terreno potrebbe portare ad una tacita comune partecipazione all’impegno contro l’Isis di Russia e Stati Uniti, come farebbe pensare anche la dichiarata disponibilità di Vladimir Putin ad unirsi alle operazioni di bombardamento delle milizie islamiste condotte già dalla coalizione guidata dagli Usa in Iraq  che, così, potrebbero anche allargarsi alla Siria.

Si tratta di vedere quale effettivo tipo di impegno verrà garantito a fronte di alcuni aspetti di non facile soluzione degli attuali rapporti internazionali. Quelli legati, per intenderci, alle divisioni del mondo islamico tra il fronte sunnita e quello sciita; ai decenni di ostilità e diffidenza tra Iran e Stati Uniti; al progressivo raffreddamento delle relazioni tra Washington e Mosca, in urto sulla vicenda Ucraina e con divergenti strategie sulla crisi siriana.

A tutto ciò deve essere aggiunto l’istintivo sospetto che anima Israele al giungere di ogni presenza “sospetta” insolita nello scacchiere mediorientale.

Un’area in cui l’Iran, che fino ad ieri aveva sempre operato indirettamente, utilizzando sul campo gli sciiti degli Hezbollah libanesi, sta invece fisicamente inviando propri mezzi e consiglieri militari. A costoro si sono aggiunti anche i russi intervenuti in maniera consistente in Siria, con la giustificazione che il loro alleato Bashar al-Assad è in procinto di crollare.

Israele sa che, così, ha meno libertà d’azione ed è costretto a rimodulare quella politica di autodifesa per la quale ha sempre preteso di tenersi mano libera. Sa anche che i rischi di un diretto incidente militare con i russi o con gli iraniani sono davvero in aumento.

Così, la lotta contro il terrorismo e la presenza di forze armate di tutto il mondo in un’area calda ed affollata richiama tutti al massimo di responsabilità e di collaborazione, per quanto forzata e, in alcuni casi, poco gradita.