Muore Ettore Bernabei. ” Padre padrone”, fece grande la Rai

Muore Ettore Bernabei. ” Padre padrone”, fece grande la Rai

E’ morto Ettore Bernabei. Lo storico Direttore generale della Rai. L’uomo che ha fatto grande la televisione italiana che, oggi, forse, ancora sopravvive solo grazie alle forti basi che egli seppe dargli nei 14 cruciali suoi anni di guida che coincisero con la crescita del Paese. Per ricordare Bernabei pubblichiamo il secondo capitolo della tesi di laurea di Giuseppe Careri in cui proprio si ripercorre il periodo in cui Ettore Bernabei stette alla guida della Rai.

Amintore Fanfani, che aveva compreso prima di altri l’importanza e la pervasività dell’informazione televisiva, nel 1961 appoggia la candidatura a Direttore Generale della Rai a un suo “fedelissimo”, Ettore Bernabei, come già fece nel 1954 con la nomina di Guala. E’ una svolta nella storia della Rai che da quel momento consolida all’interno dell’azienda pubblica il potere cattolico democristiano, ma anche socialista. Siamo, infatti, ai primi tentativi di formare i governi di Centro Sinistra; i socialisti chiedono di occupare più posti di potere negli enti pubblici e all’interno dell’azienda radiotelevisiva; inizia così l’era dei socialisti nel consiglio d’Amministrazione e alla vice direzione del telegiornale guidata da un democristiano. La DC, come del resto i socialisti e i partiti minori, fanno sentire la loro voce attraverso l’informazione Rai, ormai occupata dai loro uomini, per sottolineare il loro contributo alle riforme, alla nazionalizzazione dell’Enel e alla riforma della scuola; I socialisti, in particolare, vogliono rimarcare la loro distanza dai comunisti “allineati” ancora all’ideologia dell’Unione Sovietica malgrado l’invasione ungherese.  E’ all’inserimento dei socialisti nel governo di Centro Sinistra, e alla informazione politico-culturale della Rai che, appunto, Fanfani si dedica con particolare fervore e intelligenza politica. A una lettera inviata da Bernabei nel gennaio del 1961, Fanfani risponde:

“Caro Direttore (…) io ho assolto al mio dovere di assicurare alla Rai un direttore probo e capace. Assolva ora Ella il Suo di dimostrare che il governo ha ben servito l’interesse pubblico.

Questo è il mio augurio affettuoso per Lei e per la Sua opera. Cordialmente Amintore Fanfani”.[1]

Bernabei rimarrà alla guida della Rai per ben 14 lunghissimi anni, fino al 1974, un anno prima del varo della riforma della Rai. “Ettore Bernabei era un lavoratore instancabile, meticoloso, abilissimo, dittatoriale e sbrigativo fino a diventare anche brusco e collerico. Aveva una grande qualità, sapeva capire e apprezzare il valore dei suoi uomini, e possedeva un indubbio fiuto professionale, che in breve tempo gli consentirà di imparare a conoscere perfettamente il pubblico della televisione”.[2]

Della sua personalità e del suo carattere irruente c’è traccia in un articolo scritto sul Corriere della Sera del 1994: “1963; quando Bernabei, patron della Rai, si armava di scarpe pesanti, usciva dalla vecchia sede di via del Babuino, e se ne andava da solo a ispezionare il cantiere di viale Mazzini, erano dolori per i capisquadra che non rispettavano alla lettera il progetto degli architetti. Bernabei ispezionava, correggeva, spronava gli operai a essere veloci, e quando andò a verificare la dislocazione degli uffici dei mega dirigenti, il direttore

generale scelse per sé un locale un po’ in disparte, con doppia porta e pareti insonorizzate. Bernabei non voleva essere spiato? Forse, ma soprattutto non desiderava che si sentissero all’esterno le grida quando avrebbe strigliato qualche collaboratore”.[3]

L’informazione televisiva di quegli anni  è soprattutto espressione della volontà degli uomini che rappresentano la Democrazia Cristiana e del Vaticano che incidono profondamente nella gerarchia e nei contenuti dei servizi trasmessi. “E’ proprio  la consapevolezza delle potenzialità dello strumento ad attirare presto l’attenzione del  sistema politico. Ovviamente a giovarsene è il partito di maggioranza relativa, la DC, che favorisce subito la nomina a direttore generale dell’ente di Ettore Bernabei, giornalista e uomo politico, già segretario del leader democristiano Amintore Fanfani. (…) Al di là dell’enfasi posta sul mantenimento di un elevato senso del pudore,[4] la televisione bernabeiana si caratterizza per un forte pedagogismo cattolico, come è dimostrato da tutta la

programmazione televisiva di quegli anni”.[5]

Nei primi anni del suo mandato, il nuovo direttore generale riorganizza completamente la struttura televisiva, con un occhio e un attenzione rivolti particolarmente all’informazione radiotelevisiva. Inaugura il Secondo Programma, in aggiunta ai Telegiornali del Programma Nazionale. Nomina Enzo Biagi direttore del telegiornale; fa nascere rubriche di attualità come Rotocalco Televisivo ideato da Enzo Biagi, e Tv7,[6]la più famosa rubrica di attualità del telegiornale, in onda il venerdì a cura di Giorgio Vecchietti.

“Con l’inizio il 20 gennaio 1963 di Tv7, gli italiani si trovarono di fronte a un modello del tutto originale, di assoluta qualità, nell’informazione televisiva. Nella nuova rubrica giornalistica era già possibile scorgere i caratteri del moderno news magazine, il prodotto informativo più rispondente alle esigenze di un’attualità sempre più politico istituzionale.(…) Considerata una trasmissione di denuncia, fino al punto di aver portato alla saturazione quel modello di giornalismo televisivo, Tv7 è stato

in realtà un programma che ha rivelato subito il gusto di scrutare, in Italia e all’estero, nei segni del tempo, conquistando spazi lasciati liberi dalla cauta ufficialità del telegiornale”.[7]

Per la realizzazione di questa  storica rubrica settimanale, Bernabei chiama in azienda i migliori professionisti del momento, giornalisti, operatori, registi e montatori di indubbio valore professionale, molti dei quali provenienti dal mondo del cinema. “L’energica direzione di Bernabei e il suo controllo stretto sui programmi della televisione si congiungevano con un progetto di cooptazione dall’alto di nuove forze intellettuali nell’attività televisiva, che dette vita a una stagione di grande creatività. Essa fece della televisione pubblica, nel panorama ristretto dell’industria culturale italiana, il primo medium veramente di massa, presente in tutte le famiglie, (…) in grado di influenzare nel profondo stili di vita, costumi, priorità cognitive degli italiani”.[8]

Prima della trasmissione di Tv7, in onda la sera di venerdì dopo la pubblicità di Carosello, il Direttore Generale Bernabei, in una piccola stanza del terzo piano

di Via Teulada adibita al montaggio dei servizi, visiona personalmente la puntata alla presenza degli autori.“Bernabei voleva vedere tutti i servizi finiti. Ricordo che venne a vedere un mio servizio in particolare che avevo realizzato in un paesino della Campania. Era un momento un po’ difficile, io parlavo di gente che era costretta ad emigrare. Il commento di allora di Bernabei: ma come facciamo, in pieno boom economico, a parlare di gente che emigra in Australia! Ciò non di meno lasciò passare il servizio, non mi chiese di cambiarlo e andò in onda regolarmente”.[9]

In moltissimi casi i giornalisti di Tv7 realizzano servizi con approfondimenti che non trovano spazio nel Telegiornale; girano inchieste nelle fabbriche con le prime interviste alle donne operaie, sulla mafia, la droga, la scuola, reportage sul grande disastro di Longarone che in una notte del 1963 viene spazzato via per la rottura di una diga che provoca la distruzione dell’intero paese e la morte di duemila persone. La TV italiana e il telegiornale sono ormai una finestra affacciata sul mondo, sulle novità, i costumi, le mode. Bernabei, uomo di indiscussa

capacità manageriale, esercita un severo controllo sui contenuti del telegiornale, malgrado la sua iniziale apertura verso giornalisti di grande autonomia e prestigio professionale.“Bernabei esordì con alcuni provvedimenti organizzativi che, dietro l’apparente scelta professionale iniziale (ad esempio Enzo Biagi nuovo direttore del telegiornale), nascondevano fini di ristrutturazione assai precisi, e cioè  l’accentramento di tutti i poteri nelle mani della direzione generale. Del resto una nomina professionale non garantiva alcun mutamento reale nelle cose: Biagi, neanche un anno dopo la nomina, si dimise nonostante l’ottenimento di alcune garanzie preliminari, perché gli risultava impossibile operare cambiamenti con il materiale umano che aveva a disposizione”.[10]

Al di là della nomina “politica” dei singoli direttori e capi struttura, è doveroso sottolineare la professionalità di giornalisti e tecnici del telegiornale degli anni sessanta che si attivano e si prodigano per la copertura, con mezzi e uomini, di avvenimenti straordinari come il disastro di Longarone, l’alluvione di Firenze, il terremoto in Sicilia, gli avvenimenti tumultuosi dell’autunno caldo, le stragi,

il terrorismo. E’ un merito che va riconosciuto a tutti i professionisti dell’informazione, dal giornalista allo specializzato di ripresa, per l’impegno, la serietà, spesso il sacrificio, sostenuto per testimoniare una grande tragedia nazionale. La Rai degli anni sessanta è un’azienda di successo; aumentano gli ascolti e gli abbonamenti; è la Rai degli spettacoli di varietà, dei quiz, degli sceneggiati, con un telegiornale che si apre, anche se ancora timidamente, al mondo esterno per testimoniare una società che cambia, raccontare una popolazione che rimodella il suo sistema di vita, discute di politica, di sport, di spettacolo.

Le istituzioni, i partiti, i sindacati, il mondo della cultura, delle imprese, persino la Chiesa, mostrano tutto il loro interesse e la loro disponibilità a raccontare le loro storie in TV, a illustrare i loro programmi, le loro lotte, il raccoglimento, la preghiera. I giornalisti e le troupe di Tv7, seguono ovunque gli avvenimenti di Papa Giovanni, il Papa buono, il Papa contadino, mentre visita un ospedale per bambini, che nel giorno di Natale si reca nel carcere di Rebibbia per confortare i detenuti; seguono il Papa che consente per la prima volta alle cineprese del

settimanale della Rai di entrare nella cappella privata dove prega in solitudine. Proprio la frequentazione ormai assidua di troupe della Rai all’interno e all’esterno del Vaticano consentono (oggi non sarebbe nemmeno pensabile) a un operatore Rai, in una di queste cerimonie private, di rivolgersi al Papa e dirgli: “Santità, per favore, si metta in ginocchio e faccia finta di pregare”.[11]

Sono gli anni di grandi novità sul fronte della programmazione televisiva. Con notevole tempismo e grande intuito manageriale, Bernabei decide la realizzazione delle trasmissioni elettorali, e poi politiche, condotte inizialmente dal giornalista Giorgio Vecchietti, e poi da Jader Iacobelli, Luca Di Schiena, Gianni Granzotto. Queste trasmissioni consentono, così, ai segretari dei partiti di rivolgersi, per la prima volta, direttamente ai telespettatori per spiegare i loro programmi elettorali. Giuseppe Carboni, giornalista della redazione del Tg2, ha rivisitato i documenti, 464 per l’esattezza, di quelle tribune elettorali e politiche di quegli anni attraverso le teche Rai: “Ho fatto una ricerca per un

format e ho visto tutte le tribune politiche in bianco e nero. Nel rivederle tutte oggi, a partire dagli anni 60, vi ho trovato elementi di democrazia  e di comunicazione democratica. In quelle paludate tribune c’era una cosa che si è persa completamente nell’agire televisivo: il diritto di replica del giornalista; il politico poteva rispondere quello che voleva, ma il giornalista aveva il diritto di replicare. Era un modo per capire; c’era una dialettica a volte molto dura che oggi si è persa”.[12]L’introduzione di queste tribune elettorali consente ai giornalisti del telegiornale maggiore “vicinanza” con il potere politico;  un asse privilegiato con gli uffici stampa che gestiscono la comunicazione politica di quegli anni cruciali attraversati dal boom economico, da contestazioni, stragi, terrorismo.

A metà degli anni 60 viene nominato Direttore del telegiornale Fabiano Fabiani, della sinistra democristiana. Un uomo rude, privo di gentilezze formali, per certi versi con un carattere autoritario di derivazione Bernabeiana; entrava nelle salette di montaggio per visionare i filmati senza salutare; parlava solo ed esclusivamente con il giornalista su eventuali tagli da

effettuare al servizio pronto per la messa in onda, ignorando completamente la presenza delle altre figure professionali che avevano collaborato con l’autore. Un direttore per certi versi carismatico che ha la grande capacità di prendere decisioni rapide. Il nuovo direttore ha il merito di aver operato delle trasformazioni profonde nel telegiornale. Si deve a un suo progetto il varo del telegiornale delle 13,30 con quattro conduttori, tutti giornalisti, ognuno dei quali affronta un argomento tematico: politica, esteri, cronaca, Sport e spettacolo. L’avvio delle trasmissioni avviene nello stesso giorno del terremoto di Gibellina, 1968, che sconvolge diversi paesi della Sicilia occidentale. In studio giornalisti ormai famosi come Piero Angela, Andrea Barbato, Pier Giorgio Branzi. Straordinario l’impegno professionale degli inviati speciali, tra cui Sergio Zavoli, e di troupe che affrontano le difficoltà e i disagi del terremoto per testimoniare un evento catastrofico che ha devastato l’intera regione siciliana. E’ una delle tante tragedie italiane che il telegiornale testimonia con l’invio e un dispiegamento di mezzi e di uomini già sperimentato nell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966. Gli inviati raccontano la

tragedia attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, di gente che ha perso tutto, che piange disperata per la perdita dei propri familiari. I giornalisti e gli operatori sorvolano con gli elicotteri dell’esercito interi paesi distrutti, riprendono scene di disperazione, feriti estratti dalle macerie, interviste con i sindaci. Il telegiornale si distingue per l’impegno di tutti i suoi uomini inviati sul posto, fa servizio pubblico con comunicati rivolti alle popolazioni attraverso un impegno produttivo straordinario.

Nel 1969, viene nominato direttore del telegiornale Willy De Luca, anch’egli di stretta osservanza democristiana; è un periodo particolarmente difficile per l’Italia: i conflitti sindacali dell’autunno caldo, la strage di Piazza Fontana, i primi rapimenti dei giudici, la crisi petrolifera del 1973, il terrorismo.

Il nuovo direttore è molto abile con i giovani redattori che vincono il concorso per telecronisti a cui partecipano, nel 1969,  Paolo Frajese, Bruno Vespa, Nuccio Fava e tanti altri ancora; dà loro l’opportunità di mostrare il talento e la loro professionalità in un periodo particolarmente difficile per l’Italia. Sa anche punire: a Paolo Frajese,[13] conduttore del TG della sera che si rifiuta di leggere in onda l’ennesimo telegramma di cordoglio del Presidente della Repubblica Saragat, lo punisce e lo toglie dal video per un lungo periodo. I “corsari”, come vengono chiamati i vincitori del concorso, saranno i nuovi protagonisti della Tv riformata; si liberano dei servizi paludati e istituzionali dei primi anni di telegiornale per testimoniare il nuovo corso con un prodotto televisivo realizzato in maniera moderna. De Luca è direttore del telegiornale fino al giorno prima della riforma della Rai che diede il via, tra l’altro, alla concorrenza interna [14]e alla nascita delle prime televisioni libere.

 


[1] Gabriele La Porta intervista Ettore Bernabei, TV qualità. Terra promessa, Rai-Eri, Roma,  2003, pp. 45-46

[2]Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione, Marsilio, Venezia, 1995, pag 335

[3]Dino Martirano, “Se la Rai vende”, Corriere della Sera , 9 ottobre 1994

[4]Ettore Bernabei impose che le gemelle Kessler, star tedesche del momento, indossassero calze nere in occasione  del balletto nella trasmissione di Studio Uno del 1961.

[5]Carlo Sorrentino, Il giornalismo, che cos’é e come funziona, Carocci Roma, 2009, pag. 52

[6]Tv7 è la più prestigiosa rubrica settimanale del telegiornale; trasmette servizi filmati della durata di 10-12 minuti. Il venerdì, giorno della trasmissione, ne vengono trasmessi solo sei o sette dei dieci, dodici servizi già pronti per la messa in onda del programma. Non c’è studio.

[7]Franco Monteleone, Storia della Radio e della televisione, Marsilio, Venezia, 1995, pp. 353-354

[8]Enrico Menduni, Televisione e società italiana, Bompiani, Milano, 2004, pag. 11

[9]Intervista  dell’autore della tesi a Ezio Zefferi, Vice direttore dei Servizi Speciali del Tg2, autore di numerose trasmissioni giornalistiche, tra le quali spicca uno straordinario servizio sulle fosse ardeatine del 1964.

[10]Omar Calabrese e Ugo Volli, I telegiornali. istruzioni per l’uso, Laterza, Bari, 1994, pag. 41

[11]L’episodio riguarda l’operatore della Rai, Giandinoto, che anche in un’altra occasione, rivolto sempre a Papa Giovanni gli disse: Santità, il bianco spara, indicando il suo abito bianco.

[12]Intervista dell’autore della tesi a Giuseppe Carboni, giornalista politico del Tg2

[13]In quegli anni era ricorrente la lettura di telegrammi del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nel telegiornale pubblico in occasione di tragedie, alluvioni, commemorazioni, lutti, funerali.

[14]La Riforma della Rai viene varata il 14 aprile del 1975. Prevede due reti televisive, due telegiornali e tre giornali radio  in concorrenza tra loro. Nel 1979 viene varata la terza rete e le 20 sedi regionali.