Migranti: altro naufragio in Turchia con 22 morti. Europa inoperativa. Ungheria arresta i profughi

Migranti: altro naufragio in Turchia con 22 morti. Europa inoperativa. Ungheria arresta i profughi

Ennesimo fallimento della riunione a livello di ministri dell’Europa sulla questione migranti. Torniamo indietro, così, di circa sei mesi e si rinuncia ancora a definire il numero esatto di coloro che, tra i profughi giunti nel frattempo, avranno il diritto a vedersi riconoscere lo status di rifugiato.

Intanto, però, dalla Turchia giunge notizia che, per un nuovo naufragio, altri 22 migranti sono affogati e, come accade sempre più spesso, tra di loro sono segnalati anche dei bambini. L’Ungheria ha cominciato a dare corso alle minacce anticipate nei giorni scorsi ed ha decretato lo stato di emergenza in due contee del sud, ai confini con la Serbia. La polizia magiara avrebbe già proceduto all’arresto dei molti rifugiati rimasti bloccati nel Paese perché non sono riusciti ad entrare in Austria, sulla via della Germania.

Insomma il caos sembra ritornare a regnare sovrano su una questione delicatissima per risolvere la quale molti paesi preferiscono reintrodurre i controlli alle frontiere e, addirittura, inviare l’esercito per controllare i confini. Insomma, la questione dei migranti invece di consegnarci un’Europa più forte ed unita ci porta sul baratro persino della sua spaccatura. Di sicuro, ci consegna il sogno dei padri fondatori incrinato seriamente, se non in frantumi.

Le difficoltà di questi giorni restano le stesse di aprile anche se adesso la differenza è che Italia e Grecia non sono più lasciate sole. Nel senso che l’ondata degli immigrati ha preso di mira proprio l’Europa centrale e  quella del Nord perché non ha attraversato il Mediterraneo, ma ha raggiunto il cuore dell’Europa attraversando Balcani ed Ungheria.

In questi mesi, però, è andato lievitando il numero di coloro di cui si prefigura l’accoglienza. Dai 20 mila iniziali si è giunti a 160 mila, anche se i ministri europei riescono appena, ma tutto andrà definito ancora meglio, a ragionare attorno alla cifra dei 40 mila indicata agli inizi dell’estate e sui quali, comunque, niente di concreto si è fatto.

Il nodo da sciogliere non è solo quello del numero delle persone d’accogliere, ma anche il modo e cioè se sia possibile individuare dei criteri oggettivi cui adeguare tutti i paesi membri. E’ la questione cosiddetta delle quote.

Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia sono del tutto contrari ad una suddivisione calata da Bruxelles e vogliono che la decisione sia lasciata su base volontaria a ciascun paese, cosa che sanno loro per primi significherebbe, in realtà, non accogliere nessuno e limitarsi ad innalzare muti e filo spinato.

Mancando un vero e sostanziale accordo, nel frattempo, si riempiono le pagine di giornale inseguendo il mantra di voler correre a bombardare i barconi degli scafisti, quasi come se si volesse addolcire alle destre xenofobe la pillola dell’accoglienza.

E’ paradossale che l’argomento venga sollevato nuovamente, e negli stessi termini, proprio dopo gli ultimi tormentati mesi nel corso dei quali il flusso migratorio ha interessato soprattutto le vie di terra. Anche se, ovviamente, il problema dei barconi nel Canale di Sicilia continua a riproporsi periodicamente.

In ogni caso, anche la questione degli scafisti resta la stessa dell’aprile scorso, da quando tutti si sono accorti del traffico di esseri umani originato nel Nord Africa, dove la Libia svolge il ruolo fondamentale di piattaforma di lancio, con qualche appendice in Tunisia e in Egitto.

Politici e giornalisti si innamorarono ciclicamente delle’idea di andare a distruggere barconi e gommoni  in terra libica. Dopo aprile, in verità, furono subito dissuasi dal caos provocato dall’esistenza di vari governi presenti in Libia, dalla complessità della situazione internazionale determinata dall’arrivo anche nell’ex colonia italiana degli uomini dell’Isis, dalle proteste preventive di quanti sono timorosi di veder colpite anche imbarcazioni d’innocenti pescatori che dal Mediterraneo traggono un guadagno onesto.

Il Governo di Tobruck, l’unico riconosciuto dal consesso internazionale, per essere ben compreso non esitò a mandare a picco una nave che si diceva portasse armi in un porto controllato da un altro governo libico. Il messaggio era chiaro, qualunque imbarcazione, si azzardi ad avvicinarsi alle coste nord africane subirà la stessa sorte.

Resta il fatto che il problema non può che essere risolto in Libia e nei paesi nord africani e in quelli sub sahariani dove è radicato il sistema del traffico dei migranti.

In queste ore, così, tutti sperano che possa essere raggiunto un accordo tra l’esecutivo di Tobruck e quello di Tripoli grazie ad un intenso lavorio diplomatico svolto dalle Nazioni Unite. Se questa intesa fosse confermata, allora, potrebbe essere messa in piedi un’operazione internazionale sotto l’egida dell’Onu utile a distruggere, o almeno a contrastare, tutta la rete, terrestre e marittima, organizzata nel nord Africa per il traffico degli esseri umani tra le sponde del Mediterraneo.