Le attese di San Pietroburgo per la Siria. O si risolve o la crisi precipita. Il regime di Assad perde pezzi importanti.Segnali di disgelo dalla nuova leadership iraniana

Le attese di San Pietroburgo per la Siria. O si risolve o la crisi precipita. Il regime di Assad perde pezzi importanti.Segnali di disgelo dalla nuova leadership iraniana

L’occasione del G20 di San Pietroburgo ed il rischio di una esacerbazione del conflitto in Siria sta smuovendo tutto il quadro politico internazionale. Anche la Cina arriva a sostenere le posizioni di Putin nei confronti degli Stati Uniti e della Francia per la scelta di una “soluzione politica” della crisi.

La Cina è molto preoccupata per le ripercussioni di un eventuale allargamento del conflitto che significherebbe aumento dei costi di quel petrolio sempre più necessario allo sviluppo del moderno Impero asiatico. Significherebbe anche un ulteriore potenziale restringimento del mercato occidentale, il principale sbocco delle merci cinesi.

Non vi sono quindi ragioni ideologiche, bensì solo di convenienza e di opportunità. Lo stesso vale per tutti gli europei, ad esclusione dei francesi. Tutti convinti che le truppe di al-Assad hanno usato le armi letali, ma tutti alla ricerca di uno sbocco diverso dall’opzione prospettata da Obama. La Ue arriva a San Pietroburgo e, per bocca del Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rampuy, sostiene che “non c’é soluzione militare per la crisi in Siria”.

Barack Obama, così, si trova al suo fianco solamente la Francia. Ma la cosa non deve ingannare. E non inganna. Sono tutti gli altri del G20 a doversi impegnare perché gli Stati Uniti non intervengano da soli per “punire”, sia pure solo con un intervento “limitato e proporzionato”, la Siria per l’uso criminale dei gas tossici. Sono, del resto, tutti in difficoltà quando si sentono ricordare dal Presidente Usa che la famosa “linea rossa”, rappresentata dall’uso di armi chimiche, non è una linea tracciata dal solo Obama, bensì frutto della consapevolezza internazionale della necessità di dire un chiaro “no” all’uso delle armi di distruzioni di massa.

Anche l’appello del Papa, che sta sviluppando una forte opera di pressione morale su tutte le parti in campo, non deve essere letto in chiave parziale. Il Papa, pure, è convinto che i gas siano stati usati. Invita, però, ad una soluzione “globale” della crisi che non può non essere trovata sul piano diplomatico.
obama lader congresso
Dopo che il Presidente Usa è riuscito ad assicurarsi un largo consenso tra i leader del Congresso di Washington, sono tutti gli altri che devono fare i conti con lui. E, Obama, si porta dietro anche importanti pedine sullo scacchiere Mediorientale e non solo. Arabia Saudita, in testa, con Qatar e Turchia.

E’ il mondo sunnita, con diversi orientamenti al proprio interno. E’ il mondo arabo che, semmai, voleva dal Presidente Usa una vera e propria guerra contro al-Assad.

Anche Israele ha mostrato una certa insofferenza, così come la Giordania. Si tratta dei due paesi più soggetti al ricatto siriano dell’uso possibili di armi chimiche e di una tracimazione della crisi al di là dei confini controllati dal Governo di Damasco.
Libano, Sinai ed Iraq, intanto, diventano campi di battaglia secondari in cui si consuma la crescente crisi tra sunniti e shiiti e dove, quindi, si combatte tra interposti soggetti la battaglia con l’Iran, in lotta con i vicini sunniti, Israele ed il mondo occidentale sulla questione nucleare.

La ferma posizione di Obama, però, sembra essere stata ben recepita da tutti i suoi interlocutori, alleati e non. Gli alleati hanno dovuto prendere atto che la crisi di queste ore Obama vuole risolverla a modo suo. Non vuole sentire la pressione di quel mondo “oltranzista” intenzionato a risolvere ogni crisi internazionale con interventi militari sempre meno accettati dal mondo occidentale. Tra l’altro, alle prese con una grave crisi economica che trova anche una parte delle sue ragioni nel periodo di lunghi conflitti internazionali sviluppatisi a partire dai primi anni ’90. Così Israele e le corti arabe del Golfo sono costretti a mordere il freno e a seguire il Presidente americano, piuttosto che a forzarlo per soluzioni loro più gradite.

La Russia, forse, si trova nonostante tutto nella posizione più delicata. E non solo perché ospita un G20 destinato a rivelarsi cruciale per gli sbocchi della crisi siriana. Questa o si placa a San Pietroburgo o è destinata a precipitare celermente.
putin scruta
Putin, proprio perché è corale la richiesta di pace, deve costringere al-Assad a cedere. In questo senso deve essere inquadrata la proposta, studiata con Teheran, di forzare il Presidente siriano o a distruggere l’arsenale di armi chimiche o a consegnarlo all’Iran fino alla soluzione della crisi. Il Presidente russo, inoltre, conosce meglio di ogni altro la situazione effettiva esistente all’interno del complicato sistema siriano dove si sente con maggiore insistenza parlare di cospicue defezioni.

L’ultima, data per certa, è quella dell’ex Ministro della Difesa, generale Ali Habib, riparato in Turchia. Habib, già capo di stato maggiore dell’esercito di Damasco è stato Ministro nel periodo 2009- 2011. Avrebbe rotto con al-Assad nel corso delle sollevazioni delle cosiddette “primavere arabe” perché contrario all’uso della forza contro le manifestazioni popolari. Anch’egli Alawita come la famiglia Assad dalla Istanbul in cui è riparato, e dopo, potrebbe giocare un ruolo chiave se al-Assad decidesse o fosse costretto a lasciare Damasco.

Tutte le diplomazie si aspettano adesso a San Pietroburgo la verifica delle diverse opzioni sul tavolo e, soprattutto, se può funzionare un accordo sulle base prospettate da Russia ed Iran e su cui l’amministrazione statunitense non si è pronunciata nelle scorse ore.

L’attesa è forte a maggior ragione dopo i segnali in arrivo dal’Iran. In primo luogo, il Presidente Hassan Rohani si è detto pronto ad inviare il suo Ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif per le trattative con Usa, Russia, Cina Gran Bretagna, Francia e Germania, sulla questione nucleare, pericolosamente aperta da tempo. D’ora in poi, e la cosa è molto importante, la questione sarà di competenza del Governo di Teheran e non del Supremo Consiglio di sicurezza nazionale, a lungo tempo dominato dai cosiddetti “falchi”.
rohani
Rohani, inoltre, ha compiuto un passo davvero inconsueto ed inatteso. Ha inviato un augurio agli ebrei, e in particolare agli ebrei iraniani, un augurio per la festività del “Rosh Hashanah”.

Segnali molto importanti che potrebbero, se coltivati, segnare una svolta o, almeno, il preannuncio della svolta di nuove possibili relazioni internazionali sul caso Siria e su altro. Sperando di non essere smentiti nelle prossime ore…

Giancarlo Infante