La società delle torri telefoniche corre in Borsa per i soldi degli italiani, ma è reticente sulla salute ed altre cose

La società delle torri telefoniche corre in Borsa per i soldi degli italiani, ma è reticente sulla salute ed altre cose

La Inwit, Infrastrutture Wireless Italiane, è appena nata. Ha ricevuto in dote le 11 mila 591 antenne che la Telecom ha messo in piedi nel corso degli anni in tutto il Paese per dare vita alla diffusissima rete del sistema della telefonia mobile. Questa, oggi, è diventata una delle realtà più importanti della nostra vita quotidiana, ma anche, per tanti aspetti, dell’economia e dello sviluppo complessivo del Paese.

Una rete, però contemporaneamente, fonte di preoccupazione crescente per la salute di tutti noi. Anche perché sembra ancora difficile ottenere informazioni rassicuranti, capaci di escludere del tutto la consistenza dei danni provocati dalle onde elettromagnetiche della telefonia mobile. Onde che, del resto, si vanno ad aggiungere a tutte le altre in cui siamo già immersi, dentro e fuori casa, per tutto il giorno.

Le preoccupazioni sembrano recepite anche in sede politica importante, vista la recente introduzione da parte del Comune di Roma di nuove norme che sembrerebbero sposare le tesi di coloro che sono preoccupati e, in ogni caso, intervenire sulla cosiddetta “antenna selvaggia”.

Da qualche ora, questa neonata società Inwit, che porta in Borsa un ricchissimo patrimonio finanziario e tecnologico, si presenta agli italiani comprando pagine intere sui principali giornali nazionali. Lo slogan è:” Inwit. Un segnale forte per l’Italia”.

Il fatto è che la casa madre Telecom Italia e la Inwit promuovono un’offerta pubblica iniziale (Ipo) fino alla copertura del 40% delle azioni ordinarie della controllata Inwit, da acquistare tra il 3 ed il 12 giugno di quest’anno.

Il Sole 24 Ore, con un messaggio adatto ai soli addetti ai lavori, informa che “Banca Imi, Deutsche Bank Ag, London Branch e Mediobanca agiscono in qualità di Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners, mentre UBS Limited agisce in qualità di Joint Bookrunner”.

Peccato che questo messaggio punti, o almeno dovrebbe puntare, all’acquisto delle azioni da parte di un po’ di tutti gli italiani, altrimenti non si spiega l’investimento in pagine pubblicitarie sui giornali.

A meno che, invece, i giochi non siano già stati organizzati in qualche altro modo. In questo caso, speriamo solo di non vederne poi parlare sulle solite pagine di cronaca giudiziaria … ovviamente tra qualche anno.

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo, con il quale si dava vita al nostro Speciale telefonino, dal titolo “Le torri telefoniche più che mai un business. Arriva la Inwit che si presenta reticente”.

Una reticenza che non è stata superata e che appare ancora più significativa nel momento in cui Telecom e Inwit si apprestano a presentarsi di fronte alla realtà economica nazionale cui sarebbe importante fornire le più ampie spiegazioni almeno sotto due profili.

E necessario a questo punto fare una breve premessa: in quell’articolo ricordavamo che l’attuale capitale sociale è così costituito: 81 % della Telecom. 17 %, e già ci ponevamo delle domande, dei diretti concorrenti, Vodafone, Wind, la 3. Il restante 2 % ad altri, meglio non indicati.

Al primo profilo su cui sarebbe utile avere delle spiegazioni abbiamo già fatto accennato giacché è quello relativo alla questione del rapporto tra il “core business” dell’impresa, e cioè gestione ed ulteriore installazione di torri e torrioni telefoniche e trasmissione dati di ogni genere, e la salute pubblica su cui si attendono approfondimenti.

In vista della collocazione delle azioni, però, si aggiungono altri aspetti che in un caso del genere non possono non essere affrontati.

In primo luogo ci si chiede: il tipo di vendita che i “Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners”, di cui sopra, faranno e, soprattutto, a chi venderanno?

Le tristi esperienze degli ultimi vent’anni fanno amaramente interrogare sul rischio che ancora una volta ci si trovi di fronte ad una “privatizzazione” surrettizia di quello che era un bene collettivo. Parliamo, infatti, di antenne e torri che la Telecom ha cominciato a mettere in piedi, se non andiamo errando, quando si trattava di un’impresa pubblica, cioè degli italiani. E’ l’ultimo tassello attraverso cui si privatizzano i “patrimoni” e poi si pubblicizzano debiti e licenziamenti di personale in esubero?

Secondo: la vendita del 40 % delle azioni riduce al 41 % la quota oggi in mano a Telecom che, abbiamo detto, è dell’81%.  Altra domanda: è solo la quota di Telecom ad essere messa in vendita? E quelle dei concorrenti? Che tipo di società gestirà una delle infrastrutture fondamentali per lo sviluppo dei sistemi tecnologici del Paese? Il peso della collettività da cui Telecom è stata creata nei decenni come si farà sentire in relazione al ruolo strategico che gioca questa importante infrastruttura e al suo impatto sulla salute di tutti?

Si tratta di quesito ancora più importante se si considera di trovarci di fronte al fatto che stiamo andando verso il passaggio su queste torri anche del traffico telefonico e dati, oggi trasferito  attraverso la tradizionale rete cosiddetta di terra.

Il mondo politico e le istituzioni che da anni parlano dell’era digitale hanno consapevolezza di quel che sta accadendo?

 

Giancarlo Infante