La sentenza della Corte Costituzionale sugli arretrati agli statali rischia di favorire l’impunità di pessimi politici

La sentenza della Corte Costituzionale sugli arretrati agli statali rischia di favorire l’impunità di pessimi politici

La Corte Costituzionale, questa volta, ha volutamente aiutato il Governo Renzi sostenendo che il blocco degli stipendi degli statali è illegittimo, ma che si può fare a meno di pagarne le conseguenze, cioè gli arretrati. Molti giuristi, di primo acchito, potrebbero inorridire. I cittadini, tutti.

La Corte ha fatto riferimento all’articolo 81 della Carta. Quello che, unico paese europeo, impone all’Italia dal 2012 di garantire il cosiddetto pareggio di bilancio.

Qualcuno ha già detto che questa sentenza non sarà facilmente comprensibile dagli italiani. E non ha torto. Le ragioni sono molte ed importanti.

Prima di esaminarne alcune, però, facciamo una premessa da cui discende immediatamente una prima riflessione. Questo pronunciamento della Corte era atteso dopo lo scambio di commenti che avvenne immediatamente tra Esecutivo Renzi e Presidente della Corte, Alessandro Criscuolo, all’indomani della sentenza intervenuta recentemente su altri tipi di arretrati, quelli delle pensioni troppo più alte della media, che la Corte ha imposto, invece, di pagare.

Il Governo intervenne subito pesantemente con critiche neppure tanto velate e il Presidente Criscuolo praticamente disse: noi non eravamo stati informati sulle conseguenze che la cosa provoca sui conti pubblici… se l’Avvocatura dello Stato lo avesse fatto….

Ovviamente, chiedo scusa per l’estrema sintesi, che è solo mia, ma il concetto è stato questo. Quindi, a seconda dei costi che decisioni sbagliate prese da Parlamento e Governo possono causare ai conti dello Stato, si può pensare di non pagare il dovuto? Me lo chiesi subito all’indomani di quelle dichiarazioni e, a maggior ragione, mi chiedo oggi.

Molto diligentemente, questa volta, l’Avvocatura dello Stato ha fatto presente ai componenti della Corte che la voragine avrebbe potuto toccare i 35 miliardi di euro e, allora, la Corte ha preferito utilizzare l’articolo 81 e dare una bella fregatura a chi, invece, a quegli arretrati aveva diritto.

La conferma che a questo mondo, e bisognerebbe la differenza spiegarla bene subito ai ragazzini, non esiste la giustizia, ma leggi che gli uomini, spesso nella loro modestia e combattuti tra diversi interessi, applicano a seconda delle convenienze e le opportunità. Che, in alcuni casi, siano convenienze ed opportunità animate anche da nobili fini, poco cambia.

Fatta questa premessa che serve a capire il clima di pressioni in cui la Corte ha dovuto lavorare, vengono immediate le riflessioni.

E’ vero che le sentenze non si giudicano, ma si applicano. Questo, però, dovrebbe valere “erga omnes”. Cioè a partire dagli organi dello Stato. In particolare, da quel Ministero del Tesoro che, sempre a proposito della precedente sentenza sulle pensioni, invece, non la vuole applicare perché troppo onerosa per i conti dello Stato.

La sentenza della Corte conferma che la modifica intervenuta dell’articolo 81 è una tagliola stupida e vessatoria. Oggi vediamo un primo reale motivo che ha giustificato la sua introduzione da parte di una vera e propria banda di politici e funzionari dello Stato, mai eletti al loro posto da nessuno, ma con un potere enorme nelle mani.

Costoro, che la scusa di fare i primi della classe in Europa nel rimettere i conti in ordine, hanno finito per dare una copertura costituzionale a tutta una sorta di nefandezze operate nel passato in materia di spesa pubblica e, soprattutto, nella sfasatura continua e costante del rapporto dell’equilibrio democratico da assicurare tra strutture pubbliche e cittadino.

La Corte Costituzionale, sotto la pressione di altri organi dello Stato, ha finito per privilegiare l’articolo 81 a danno di altri articoli, ben più rilevanti, sotto il profilo dell’assicurazione della convivenza civile e degli equilibri fondamentali da rispettare e tutelare nei rapporti tra la gente comune e chi guida la cosa pubblica.

E’ bene che l’articolo 81 torni alla formula pensata dai padri costituenti. Se modifica deve esserci, eventualmente, è che coloro che coscientemente provocano danni ai conti pubblici dovrebbero vedersi, minimo, cancellata la loro lauta pensione se non addirittura, chiamati a rispondere con il loro patrimonio personale ai danni arrecati a tutti noi.

E’ l’ora di smetterla, infatti, con questi politici e direttori generali dei ministeri che decidono e prendono impegni nella più assoluta mancanza di assunzione di responsabilità. Tanto sanno che le conseguenze dei loro atti si scopriranno solo anni ed anni dopo e che nessuno li chiamerà mai a risponderne. Anzi, magari qualcuno di essi si troverà addirittura chiamato a far parte della Corte Costituzionale a decidere sulla validità costituzionale di leggi e decisioni prese da loro stessi in precedenza, seduti in Parlamento o al Governo.

I giudici della Corte Costituzionale dovranno una buona volta decidere cosa dobbiamo fare dai cosiddetti “diritti acquisiti” di lavoratori e cittadini e, soprattutto, se le conseguenze causate da un atto illegittimo e sbagliato fanno premio sul fondamento giuridico dell’atto in se.

Voglio dire: se una cosa è sbagliata è sbagliata e si dovrebbe imporre un rimedio, anche risarcitorio. Considerando soprattutto che la cosa sbagliata va a danneggiare persone concrete, non solo principi generali astratti. Dire che bloccare gli stipendi è stato anticostituzionale dovrebbe portare di conseguenza alla richiesta di un rimedio sin dal momento in cui si è cominciato a fare quell’errore. Perché tra i due soggetti in campo, Governo e conti pubblici, da una parte, e interessi lesi di persone concrete la Corte ha voluto privilegiare i primi? Il Governo è lì per risolvere i problemi, non semplicemente cancellarli per legge. Per andare avanti così non serve essere statisti, va bene chiunque di noi a Palazzo Chigi o al Tesoro di via XX Settembre.

Ha riflettuto, inoltre, la Corte sul fatto che questa sentenza rischia di continuare a dare a questa classe politica l’impunità e la libertà di fare ogni sorta di porcherie sulla base del rispetto formale, ma non sostanziale, dell’articolo 81?

Io, ma non sono un giurista, avessi fatto parte della Corte già avrei riflettuto su come il Governo ha reagito alla precedente sentenza sulle pensioni: un’alzata di spalle e la decisione di pagare solo quando e come i conti pubblici lo consentiranno.

La sentenza appena arrivata confermerà un andazzo che nessuno vuole cambiare. Spiace dirlo, neppure questa Corte Costituzionale.

Giancarlo Infante