La sentenza che assolve Fazio, Ricucci e Consorte sulla famosa scalata Unipol a Bnl deve farci riflettere. Per primi a noi giornalisti

La sentenza che assolve Fazio, Ricucci e Consorte sulla famosa scalata Unipol a Bnl deve farci riflettere. Per primi a noi giornalisti

Abbiamo scherzato. Abbiamo fatto dimettere il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, per niente. Abbiamo fatto divorziare Stefano Ricucci da Anna Falchi ancora per niente. Abbiamo provocato un caos nel mondo delle cooperative “rosse” ancora per niente facendo dimettere e dando l’ostracismo a Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. Loro e tutti gli altri imputati nel processo della famosa scalata di Unipol alla Bnl, per la legge, sono innocenti. Per dei giudici, non hanno commesso alcun reato. Eppure, sono stati linciati. Consorte aveva aperto persino un sito per pubblicare direttamente i documenti che spiegavano le sue ragioni. Tutto inutile.

Eppure l’accoppiata micidiale costituita dall’annuncio dell’avvio dell’inchiesta giudiziaria e la susseguente intervento della stampa libera ed indipendente, si fa per dire ovviamente, li ha tutti stritolati. Già prima che i Pm depositassero i loro capi d’accusa. Capi d’accusa che poi non hanno retto al vaglio di un processo. Molta gente, adesso, se ce la facesse, visto che si presenta sempre come paladino della legge e degli uomini di legge, si dovrebbe vergognare. Ovviamente, si parla di coloro che hanno lanciato il sasso e tutti gli altri che hanno goduto  nel partecipare all’ordalia contro i “colpevoli”. No, non erano colpevoli.

Forse antipatici, sbruffoni e, in alcuni casi, persino volgari, questo almeno la mia impressione, ma non colpevoli. Erano i “furbetti del quartierino”, come si autodefiniva e li definiva Ricucci. Le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche non erano proprio esaltanti. Svelavano, come tante altre intercettazioni ascoltate in questi anni, un’Italia che non è affatto bella.  Un’Italia maneggiona anche ai livelli più alti. Un’Italia di cui dovremmo comunque vergognarci. Stando però ai fatti, un’Italia non colpevole.

La cosa in uno stato di diritto dovrebbe avere il suo peso e meriterebbe maggiore considerazione. Dovrebbe far riflettere per farci evitare di  ripetere “esecuzioni sommarie” e non per non farci accontentare solo della fase delle indagini che, molto spesso, é gestita sul piano della comunicazione a  seconda della convenienza dei tanti che restano nascosti dietro le prime pagine dei giornali e gli annunci roboanti dei telegiornali per fare i loro porci comodi. Tanto, sei, sette, otto anni dopo chi va a chieder loro conto per le cantonate prese e le porcherie compiute? E’ già persino complicato pure il solo ricostruire le vicende e spiegarle per bene dopo tanto tempo.

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Alcune delle persone coinvolte anche in questa indagine sono state distrutte. Non in senso fisico, ma morale e psichico. Oggi scopriamo che non se lo meritavano. O, almeno,  che non se lo meritavano per le accuse loro mosse in quella inchiesta. Può non piacere a qualcuno, ma è così. Purtroppo, dimentichiamo sempre che la Giustizia oggi disponibile  non è perfetta e non abbiamo niente di meglio con cui sostituirla. Sarebbe bene limitare i danni di questa situazione.

La giustizia sommaria che piace a tanti, quando non ne pagano loro le conseguenze, non serve a niente e a nessuno. Solo a coloro che la strumentalizza per far passare tra la pubblica opinione le cose che fanno loro comodo. Spesso, con la compiacenza, più o meno, consapevole di tanti giornalisti che credono nella cosiddetta “libertà di stampa”. Quella che fa comodo ai loro “editori di riferimento”.

Giancarlo Infante