La dura lotta dell’Italia per salvare in Europa il proprio patrimonio agro – alimentare

La dura lotta dell’Italia per salvare in Europa il proprio patrimonio agro – alimentare

Dal 11 aprile del 1974 con la legge n. 138, l’Italia vieta l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare da parte dei caseifici situati sul territorio nazionale. Un’altra di quelle battaglie in cui l’Italia è impegnata contro l’Europa per salvare il proprio patrimonio agro – alimentare.

Questo allo scopo preciso di tener alta la qualità delle produzioni casearie italiane salvaguardando i consumatori riguardo l’autenticità e la qualità dei prodotti italiani, mediante la qualità delle materie prime.

Una scelta di campo, è proprio il caso di dire, dichiarata per la qualità dei prodotti che il mondo ci apprezza e invidia.

La Ue chiede che venga eliminato un divieto per certi versi inutile e superato dalla realtà, a parere della Commissione, cioè che vi sia la possibilità di utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari previsto da normative europee. Vorrebbe cioè imporre all’Italia di produrre “formaggi senza latte” ottenuti con la polvere scavalcando, così, la normativa nazionale.

Gli effetti negativi sono molti, ma possiamo dire che la scadente qualità delle merci e l’imitazione dei prodotti italiani, senza avere alcun tipo di garanzia, sono conseguenze disastrose sia per il consumatore, sia per il settore agroindustriale italiano.

La costituzione in mora inviata dal Segretariato generale della Commissione Europea alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea sull’infrazione n.4170 ha, appunto, l’effetto di diminuire la qualità dei prodotti e di aumentare l’inconsapevolezza dei consumatori, puntare sulla standardizzazione dei prodotti agroalimentari. Oltre che far naufragare il made in Italy, tanto ricercato in tutto il mondo.

La Commissione Ue con l’avvio della procedura di infrazione ritiene, invece, che la legge italiana a tutela della qualità della produzioni rappresenti una restrizione alla “libera circolazione delle merci”, essendo la polvere di latte e il latte concentrato utilizzati in tutta Europa.

Se passasse la linea UE vi sarebbe uno scadimento della qualità dei formaggi e degli yogurt italiani. Cosa che metterà sicuramente a repentaglio la “reputazione” del Made in Italy, e in grado di provocare anche ad una maggior importazione di polvere di latte e latte concentrato, in arrivo dal resto del mondo a costi bassissimi, con conseguenze disastrose per la tenuta degli allevamenti italiani.

Non è la prima volta che l’Unione Europea pretende queste incomprensibili posizioni già denunciate dalla Coldiretti.

Molte, infatti, sono le richieste europee in grado di cambiare le nostre abitudini, provocare la decadenza della qualità e della sicurezza dei prodotti alimentari con conseguenti effetti anche sulla nostra salute, oltre che portare ad un appiattimento delle varietà e delle caratteristiche delle merci.

Ad esempio, vi sono dei provvedimenti che facilitano la produzione di vino senza uva, del cioccolato senza cacao, della carne cosiddetta annacquata.

Quanto di noi non hanno sentito parlare delle sorprendenti polveri contenute nei “wine-kit” che promettono di ottenere in pochi giorni i prodotti commercializzati dalle etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua.

L’Europa prova ad imporre all’Italia l’apertura dei propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao.

L’Italia che può contare, invece, su consolidati primati qualitativi e di sicurezza alimentare sarebbe messa all’angolo da un’industria agroalimentare intenzionata ad appiattire ed omologare gusti, materie prime, sicurezza alimentare, oltre che far permanere sul mercato solamente pochi marchi, forse con il fine di rendere più gestibile il mercato agroalimentare.

L’Italia ha un patrimonio inestimabile da offrire grazie ad i suoi prodotti, alla qualità, alla varietà e numerosità. Presenta un’agricoltura sempre più attenta alla biodiversità ed alla garanzia alimentare e della salute. Tutte cose che fanno del Bel paese un fiore all’occhiello in tutto il mondo.

L’Unione Europea consente anche che nel caso di alcune categorie di carne vi sia la possibilità – come evidenzia Coldiretti – di evitare l’indicazione di una eventuale aggiunta d’acqua fino al 5 per cento. In tutta Europa circolano liberamente imitazioni del Parmigiano reggiano e del Grana Padano, definiti “similgrana o parmesan”, realizzate fuori dall’Italia senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia utilizzati per ingannare i consumatori sulla reale provenienza.

Una mozzarella su quattro in vendita in Italia – precisa la Coldiretti – è stata ottenuta con semilavorati industriali, chiamati cagliate, arrivati dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta e per questo deve proprio essere ringraziata l’attuale normativa europea.

Sulle etichette delle bottiglie di olio extravergine ottenute da olive straniere è quasi impossibile riconoscere la provenienza delle olive grazie alle diciture del tipo “Miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari”. Tutto ciò grazie alla norme attualmente previste dalle regole comunitarie.

Altre stranezze sono ad esempio quelle  delle etichetta delle merendine dove viene scritto olii vegetali, non meglio precisati, o quelle della maionese la scritta mais modificato –cioè Ogm.

Quasi la metà della nostra spesa – rileva la Coldiretti – riguarda prodotti “anonimi” per colpa della contraddittoria normativa comunitaria la quale, infatti, obbliga ad indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti; per l’ortofrutta fresca ma non per quella trasformata; per le uova, ma non per i formaggi. Per tralasciare le contraddittorietà che riguardano anche il latte.

La conseguenza è che, come denunciato da Coldiretti, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza che presentino indicazioni in etichetta. Lo stesso vale per la metà delle mozzarelle o per gli inganni del finto Made in Italy riguardo i salumi e, inoltre, è risaputo che due prosciutti su tre sono venduti come italiani, ma provengono, in realtà, da maiali allevati all’estero.

L’importazione di cosce estere di maiali – sottolinea la Coldiretti – da destinare a prosciutto crudo o cotto o a speck è aumentata dell’8,5 per cento nel 2014 con gli arrivi che toccano il 31 per cento dalla Germania, il 19,4 per cento dall’Olanda, il 16,3 per cento dalla Danimarca e il 9,4 per cento dalla Spagna. Nel 2014 – aggiunge la Coldiretti – è aumentato del 26,5 per cento anche l’import di maialini provenienti soprattutto da Danimarca e Olanda.

Così ci si trova anche di fronte ad una chiusura forzata degli allevamenti italiani causata dall’impossibilità di coprire i costi di produzione troppo alti rispetto ai bassi prezzi praticati all’estero per la vendita di carne di bassa qualità.

Le associazioni degli allevatori mettono sotto accusa anche gli insostenibili squilibri nella distribuzione che incidono nel passaggio dalla stalla alla tavola: per ogni 100 euro spesi dai consumatori in salumi, ben 46 euro restano alla distribuzione commerciale, 24,5 al trasformatore industriale, 11,5 al macellatore e solo 18 euro all’allevatore. In altre parole – spiega la Coldiretti – mentre in media all’allevatore di maiali viene pagato circa 1,4 euro al chilo, il consumatore spende oltre 23 euro al chilo per il prosciutto Dop. Una forbice troppo larga che danneggia sia la tasca dei cittadini sia gli allevatori italiani costretti a chiudere le loro stalle.

In Italia sono allevati – sottolinea la Coldiretti –  meno di 8,7 milioni di maiali (erano 9,3 milioni nel 2008) destinati per il 70 per cento alla produzione dei 36 tipi di salumi che hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine (Dop/Igp).

Il settore della produzione di salumi e carne di maiale, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi.  Da qui è facile intuire che sono a rischio interi settori del nostro patrimonio agroalimentare, con il futuro di centinaia di migliaia di occupati.

La difesa delle nostre produzioni, della qualità e sicurezza agroalimentare, e del made in Italy pertanto è più che mai fondamentale.

Gianluca Scialanga