La dolce vita: Origini, protagonisti, eredità di un fenomeno tutto romano

La dolce vita:  Origini, protagonisti, eredità  di un fenomeno tutto romano

LE PREMESSE – Il primo seme della Dolce Vita aveva il volto sorridente del Generale americano Mark Wayne Clark che su una jeep entrava a Roma alla testa delle sue truppe vittoriose. Era il 5 giugno del 1944, la II Guerra Mondiale non era ancora finita, ma per Roma sì. Era finita l’occupazione nazista. Era finita la disperazione e quei bei ragazzi vittoriosi, stanchi ma allegri, regalavano alla calorosa folla romana tutto quello che avevano: cioccolato, scatolette di carne, sigarette… tornava la speranza, iniziava la festa.

Cominciarono così a nascere dancing alla buona, dove, tra fiumi di liquori stranieri, etichette italiane, false bottiglie di champagne e vino dei Castelli, le brave ragazze romane, coi loro vestitini cuciti in casa e le loro calze rammendate, perdevano facilmente controllo e ritegno. I “furbi”, quelli che si erano arricchiti con la borsa nera, investivano in sale da ballo sempre più accoglienti e in contrabbando di alcol e sigarette. Quelli ancora più furbi, i cortigiani dei potenti di ieri, si rilanciavano come interpreti, chaperon, consiglieri, accompagnatori e, naturalmente, come fornitori di donnine e, come si diceva allora, di “stupefacenti”.

PENNACCHI10 ugo montagnaCampione di questa “umanità variegata” fu Ugo Montagna, nato a Grotte (Agrigento) nel 1910. Viveva a Roma dal 1938, aveva avuto qualche problema solo con Mussolini, perché aveva accompagnato i giovani figli del duce, Bruno e Vittorio, nei bordelli di lusso. Era, però, entrato nelle grazie della mamma di Claretta Petacci e le aveva anche dato una fregatura a base di tappeti “persiani”. Sì, perché Montagna commerciava proprio in tutto: donne, coca, morfina e non solo, ma anche, nella Roma “palazzinara” del dopoguerra, in terreni agricoli da rendere edificabili.

Ugo Montagna che dal 13 giugno 1946 fu anche marchese di San Bartolomeo, nominato “in extremis” all’aeroporto di Ciampino dall’ormai ex Re Umberto II di Savoia in partenza per l’esilio, aveva come “core business” l’organizzazione di orge, diventando uno dei protagonisti del drammatico preludio di Dolce Vita che apparve in cronaca il 10 aprile del 1953: la morte di Wilma Montesi.

La misteriosa e tragica fine di questa ragazza trovata morta sulla spiaggia di Capocotta, sul litorale sud romano, avrebbe squarciato il sipario che nascondeva la Roma viziosa di aristocratici, avventurieri, imprenditori, attricette, nuovi potenti della politica e funzionari corrotti. Dopo anni di processi e scandalose rivelazioni, il caso si chiuse senza colpevoli, fissando una pietra miliare nella lunghissima sequenza di casi irrisolti di cui è piena la storia della Repubblica.

PENNACCHI100 marguttamargutta2LE ORIGINI – Ma il luogo d’origine, la vera incubatrice della Dolce vita non fu, come si crede comunemente, via Veneto, ma la piccola e nascosta via Margutta, con i suoi luoghi segreti, abitati per lo più da artisti. Al civico 53b, in cima ad una faticosa scala, superando l’ammonimento scritto sul muro: “Il ne faut pas visiter le philosophe solitaire”, si poteva raggiungere il “Settimo Cielo”, lo studio di Novella Parigini, la vera musa della Dolce Vita.

Piccola, bionda, bella, poliglotta, aveva vissuto a Parigi, frequentando Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Jean Cocteau, Jean Genet, Juliette Grecò. Era stata a New York, aveva conosciuto Truman Capote e Hernest Hemingway, Picasso e Salvador Dalì. Nel ’49 era tornata a Roma, dove Margherita Sarfatti la considerava la sua “protetta”, Tennessee Williams la aveva definita “Selvaggia come il giardino del mondo prima della creazione”. Tra i suoi flirt, Novella annoverava George Raft, Errol Flynn e Gary Cooper.

Nel 1954, di ritorno dagli Stati Uniti, Novella si portò a casa una vistosa bionda anglo-danese, Cristina Jorgensen. Con lei passeggiava per Roma in carrozza, in una sorta di passerella, perché Cristina era un ex pilota della Royal Air Force, un trans ante-litteram. Altra ospite era la giovanissima Ursula Andress appena eletta Miss Stoccolma.

PENNACCHI104 5097112015_878afe85fcTra il 1954 e il 55, l’incubatrice della Dolce Vita si allargò al “Circolo degli Artisti” di Via Margutta e al “Baretto” di via del Babuino. L’atmosfera in questi locali cercava di riproporre quella parigina dell’esistenzialismo di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir: molte sosia di Juliette Grecò, con lunghi capelli, circolavano nella zona. Nella musica, oltre alle splendide canzoni di Edith Piaf, Gilbert Becaud, Charles Trenet e Yves Montand, trionfavano le orchestre che proponevano la grande scuola americana, soprattutto il jazz, quella “musica da negri” che aveva accompagnato il festoso ingresso degli americani nelle città italiane.

L’ESPLOSIONE – La cantane afro-americana Ada Smith aveva aperto, a via Veneto 155, il “Bricktop”, un locale dove, oltre a lei, si esibivano Fred Buscaglione e l’orchestra “013”, un gruppo di tredici elementi sotto la direzione del Maestro Piero Piccioni (per anni ritenuto, insieme a Ugo Montagna, responsabile della morte di Wilma Montesi).

Molti erano i locali del centro che proponevano musica: il “Posa Posa”, a via di Porta Pinciana , Il “Kit Kat”, a via Liguria, il “Victor’s Bar” a via Emilia, lo “Sheherazade” a via Monte Brianzo, le “Grotte del Piccione” a via della Vite, la “Rupe Tarpea”, con annesso “Jicky Club”, a via Veneto.

Il Jicky era il locale preferito da re Faruk, ex sovrano d’Egitto, destituito il 23 luglio 1952, che aveva scelto, per il suo esilio dorato, Roma, il sesso e la buona cucina. Morì, dopo un pranzo di 24 portate, il 17 marzo del ‘65, in un ristorante sulla via Aurelia. Aveva solo 45 anni. E così, mentre via Margutta se ne tornava gradatamente all’arte anche grazie alla presenza di molte gallerie, come la “Porfiri”, dove espose anche Gina Lollobrigida, la Dolce Vita si trasferiva definitivamente a via Veneto.

PENNACCHI foto4 dolce+vita+1Il motivo era molto semplice: la presenza dei grandi alberghi, dell’Ambasciata Americana e la nascita del fenomeno “Hollywood sul Tevere”, causato dai costi più convenienti di Roma rispetto a quelli americani, che richiamavano a Cinecittà le produzioni di molti grandi film. Il primo divo a scatenare l’attenzione popolare era stato Tyrone Power, il nuovo Rodolfo Valentino del cinema americano, che, a Roma, aveva vissuto una romantica storia d’amore con Linda Christian, felicemente conclusasi con un matrimonio da favola. La prima figlia della coppia avrebbe avuto il nome di Romina, in onore della città del loro amore.

La realizzazione del film “Quo vadis?”, nel 1950, portò poi a Roma Robert Taylor, Deborah Kerr, Peter Ustinov.
Ma fu “Vacanze romane”, del 1953, a regalare a Roma una pubblicità turistica che fa ancora oggi il suo effetto, con la presenza in città di Gregory Peck e della magica Audrey Hepburn in giro per la città in sella alla mitica Vespa.

VERSO LA FINE – Ma su tutti, verso il crepuscolo della Dolce Vita, il folle amore di Liz Taylor e Richard Burton esploso durante la lavorazione di “Cleopatra”. Tra i tanti amori si inserirono nuovi personaggi, i fotografi di cronaca rosa, sempre pronti, ovunque e a qualsiasi ora della notte, a piombare sulla preda con la loro Lambretta e la fotocamera con il flash per consegnare alla storia ogni tenerezza, ogni momento di intimità, ma anche ogni sbronza e ogni scazzottata dei personaggi famosi.

PENNACCHI aiche_nana_rugantinoQuesta nuova figura professionale del variopinto zoo notturno romano, venne battezzata da Ennio Flaiano e da Federico Fellini “paparazzo”, dal nome del personaggio di un portiere d’albergo calabrese trovato da Flaiano in un libro di George Gissing. A Fellini quel nome piacque, “molesto, come il ronzio di una zanzara”.

Siamo dunque arrivati al film. Elemento di ispirazione fu, per Fellini, un fatto realmente avvenuto, il 5 novembre 1958, al ristorante “Rugantino” di Trastevere, per la festa di compleanno di Olghina di Robilant, generosamente offerta da Peter Howard, erede Vanderbilt. Tra gli ospiti, Novella Parigini, Linda Christian, già vedova Power, Elsa Martinelli, ormai contessa Mancinelli Scotti, Eleonora Rossi Drago, Laura Betti, Carla Del Poggio. Tra tutte brillava una splendida Anita Ekberg, già Miss Stoccolma, arrivata a Roma per “Guerra e Pace” nel 1955, nota come “Ghiaccio Bollente”.

Travolta dalla musica, a un certo punto della serata, la Ekberg gettò via le scarpe e iniziò una danza sfrenata. Attorno a lei, entusiasti, i giovani esponenti della migliore aristocrazia, come i principi Aldobrandini, Pignatelli, Borghese, Caracciolo e una allegra compagnia di giovani e meno giovani. Ma non era ancora arrivato il bello, perché, per superarla, una diciottenne ballerina turca, Aichè Nanà, cominciò un vero strip, che sarebbe arrivato fino in fondo con Novella Parigini che la stava aiutando a togliersi anche lo slip, se il proprietario del locale non avesse chiamato la Polizia. Ma la foto ci fu, scattata da quel Tazio Secchiaroli, Paparazzo N°1, che seguì poi Fellini, per tutta la vita.

PENNACCHI foto1 la-dolce-vita-Sempre la Ekberg, nello stesso anno, con il vezzo di danzare scalza, si era ferita un piede e un suo amico fotografo le suggerì di bagnarlo nella fontana, che era la Fontana di Trevi!! Così la Ekberg, sempre sopra le righe, entrò nell’acqua completamente. Quella foto finì in copertina sull’”Espresso” e, nella mente di Fellini, contribuì a far cadere la scelta della protagonista su Anita, che era spesso alla ribalta della cronaca.

Il film che avrebbe preso il titolo “La Dolce Vita”, era nella testa del Maestro già dal 1953 , perché doveva essere il seguito de “I Vitelloni” e doveva raccontare la storia del giovane intellettuale Morando, che, finalmente, arrivava a Roma, ma non trovava la città che aveva idealizzato, bensì una sorta di Sodoma e Gomorra.

Per costruire i personaggi, Fellini aveva cominciato a frequentare i paparazzi e il giornalista Victor Ciuffa, un professionista colto, che amava definirsi “un uomo che è stato assorbito dalla società che odia”, e che Fellini sembra proprio aver preso a modello per l’interpretazione di Marcello Mastroianni. Anche il grande Federico era un po’ così, come tutti i grandi autori di satira, nascondeva in sé lo spirito del moralista con il quale aveva compiuto già dei passi di avvicinamento verso il grande affresco della “Dolce Vita”: PENNACCHI foto5 DOLCE106la scena del capodanno-orgia degli imbroglioni nel film “Il Bidone” del 1955 e la scena del divo famoso che si porta a casa la prostituta, meravigliosamente interpretata da Amedeo Nazzari e Giulietta Masina nel film “Le Notti di Cabiria”, del 1956.

La “Dolce Vita” termina tristemente sulla spiaggia di Fregene, dove muore una enorme, misteriosa creatura marina: nella mente del Maestro forse la nostra società che va in putrefazione? Come in tutti i suoi film, senza usare la parola “Fine”. Un termine odiato da Fellini che gli aveva provocato da sempre un insopportabile “senso di delusione, fastidio e irritazione”. Sin da quando aveva cominciato ad andare al cinema da ragazzino.

Giuseppe Franco Pennacchi