Il Pd rinvia tutto, ma non il caos in cui piomba all’Assemblea nazionale

Il Pd rinvia tutto, ma non il caos  in cui piomba all’Assemblea nazionale

“Grande è la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole”. La prima parte di una famosa frase di Mao Tse-tung si potrebbe adattare benissimo allo svolgimento ed alle conclusioni dell’Assemblea del Partito Democratico. Sulla seconda parte ci ritorneremo.

Forse abbiamo sbagliato tutti, osservatori e partecipanti, ad aspettarsi troppo dalla riunione degli Stati generali del Pd svoltasi a Roma e da cui si era certi sarebbero venute fuori nuove norme in vista del Congresso, autentico campo di battaglia per la Segreteria.

Abbiamo detto conclusioni, ma in realtà ci si trova di fronte a delle “non conclusioni”. Si scopre che manca il numero legale e già questa appare come una cosa “strana”. Si assiste allo smembramento dei gruppi principali che sembravano formare il partito. Emerge, in sostanza, l’impossibilità di definire una piattaforma organica su cui far confluire delle “larghe intese” interne.

Insomma, l’Assemblea si conclude con un nulla di fatto. Guglielmo Epifani, il segretario”traghettatore”, sembra avere poco da traghettare e rinvia tutto all’8 Dicembre, il giorno della festività della Madonna. La parte cattolica del partito, ovviamente, spera in una intercessione caritatevole.

Tutto resta com’è nel Pd. Il dibattito in vista del congresso avrà, però, ora altri appuntamenti. A partire da quello della Direzione del prossimo 27 Settembre. A seguire, il momento della chiusura delle candidature, l’11 di ottobre. Insomma, un passo alla volta… per non decidere e lasciare tutto com’é?
PD-Assemblea
Dall’esterno l’impressione è che tutti i partecipanti al dibattito stiano facendo quella che, in linguaggio calcistico, si potrebbe chiamare “melina”. Le norme, relative soprattutto la figura del Segretario e del candidato “premier” che, secondo lo statuto attuale del partito oggi coincidono, non si cambiano.

Da osservatori esterni, a noi va bene così. Come poteva andare benissimo il contrario se l’Assemblea avesse voluto modificare norme elettorali interne e Statuto.

Quello che impressiona è l’immagine fornita ancora una volta dal primo partito italiano. Il Pd lo é in termini di seggi in Parlamento, di sondaggi ed alla luce delle fondamentali responsabilità assunte nella costituzione e gestione del dicastero guidato da Enrico Letta.

La logica vorrebbe che il partito guida del centro sinistra coltivasse un’immagine più rassicurante per il Paese. A maggior ragione nel momento in cui si fanno fortissime le difficoltà di Berlusconi e del suo sistema, non sono da escludere del tutto possibili elezioni politiche e ci si trova alla vigilia di passaggi determinanti che Enrico Letta dovrebbe avviare, sia in sede interna sia a livello europeo.

I tanti maggiorenti del Pd piace molto dirsi che il dibattito interno è segno di una democrazia assolutamente sconosciuta al Pdl ed al Movimento 5 Stelle. Ammesso che tutto ciò sia vero, sarebbe bene e saggio se un eccesso di discussione interna non finisse per apparire come una debolezza piuttosto che come forza; per confusione invece che per arricchimento delle risorse interne; per mera battaglia personalistica tanti sono i troppi candidati in pista.
Costoro si conoscono tra di loro, ma restano un po’ meno noti per il grosso degli elettori italiani.

Così, che da chiedersi in cosa si è trasformata quella che doveva costituire un’occasione per lanciare la candidatura del Pd alla guida del Paese. Una candidatura basata sull’immagine di partito coeso e sicuro del fatto suo e delle prospettive solide e credibili da presentare agli italiani. Può essere definita brutto “flop”?
letta rezni
Non siamo in grado di valutare a chi questa situazione vada meglio. Tutti i partecipanti ed i principali leader del Partito non ne traggono giovamento.

Enrico Letta ancora una volta, ufficialmente, continua a restare alla larga dalle beghe interne del suo Partito e preferisce occuparsi solo delle “cose” di Governo.

E veniamo alla seconda parte della frase di Mao Tse-tung. C’è da chiedersi se il Pd non si permette certi lussi perché dà per scontato che, una volta risolta la pratica Berlusconi, la vittoria sia a portata di mano comunque, perché la “situazione è favorevole”. Attenzione, però: ci vuole un niente per restare delusi alle elezioni. Soprattutto se ci si arriva nel caos più totale e senza la definizione di un progetto condiviso veramente dal grosso di un partito che vuole guidare un Paese intero.

Giancarlo Infante