Il Dc 9 Itavia “colpito” alle 20,58: da trentatrè anni si attende una verità che probabilmente non arriverà mai. Ma Napolitano invita ad accertare responsabilità italiane e anche estere

Il Dc 9 Itavia “colpito” alle 20,58:  da trentatrè anni si attende una verità  che probabilmente non arriverà mai.  Ma Napolitano invita ad accertare  responsabilità italiane e anche estere

A trentatrè anni dalla strage di Ustica, tante le ipotesi ma nessuna certezza processuale. Nemmeno che il Dc 9 dell’Itavia con 81 persone a bordo partito da Bologna sia stato abbattuto da un missile alle 20,58 del 27 giugno 1980, una ventina di minuti prima di atterrare a Palermo, e non dall’esplosione di una bomba all’interno del jet. Dopo una serie interminabile di inchieste, indagini spesso contraddittorie e processi penali conclusisi sempre in nulla di fatto, una “verità non penale”, seppur lacunosa, parziale, e quel che è peggio senza indicazioni sui colpevoli, è emersa a inizio 2013 in sede civile, sancita dalla Corte di Cassazione nella prima sentenza di condanna dello Stato italiano al risarcimento dei familiari delle vittime. Secondo la sezione civile della Suprema Corte, lo Stato italiano è appunto responabile di non aver garantito con sufficienti controlli la sicurezza dei cieli. Tutto qui, ma meglio di niente. Intanto, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrive alla presidente dell’Associazione delle vittime del disastro, Daria Bonfetti, e denuncia le “inquietanti ombre e opacità” che hanno “coperto le indagini” e invita ad accertare responsabilità italiane ed anche estere.

Sul Dc 9 Itavia Serie 14 immatricolato I-TIGI ancor oggi misteriosamente precipitato a sud dell’isola di Ustica è stato detto e scritto di tutto assieme al contrario di tutto. Un enorme minestrone frutto di ottimi ingredienti abilmente mescolati con pessimi alimenti, tanto da renderlo assolutamente immangiabile e resistente a ogni analisi che ne potesse accertare la composizione. Volutamente? E’ probabile. Assai.

dc955Per diversi anni, da cronista del Tg 1 della Rai, ho avuto la possibilità di seguire quasi da protagonista l’importante fase dell’inchiesta, che sette anni dopo la tragedia, portò alla localizzazione e al recuero del relitto dell’aereo sul fondo del mar Tirreno. Con i cine operatori Claudio Speranza e Romano Nodari abbiamo realizzato servizi decisamente unici, girando in esclusiva eccezionali immagini tuttora utilizzate da tante televisioni italiane e del mondo.

Insieme, abbiamo vissuto emozinanti avventure, per scoprire particolari e per depistare la concorrenza, che all’epoca era rappresentata solo dagli altri due telegiornali dell’azienda, primi tra tutti i “cugini” del Tg 2. Con ripetuti blitz a Napoli, all’insaputa dei colleghi della locale sede Rai, girando immagini dei rottami dell’aereo che venivano scaricati in porto appena arrivati dalla zona del recupero e subito trasferiti con automezzi un un hangar dell’Aeronautica Militare dell’aeroporto di Capodichino. Seguiti poi da precipitosi rientri a Roma in tempo per montare il servizio e trasmetterlo nell’edizione principale delle ore 20.

Fino alla chicca, organizzata e compiuta in combutta col collega Massimo De Angelis, allora inviato del quotidiano “Il Tempo” di Roma, quando con uno spregiudicato sotterfugio ideato dagli Stati Uniti dove mi trovavo al seguito del giudice istruttore Vittorio Bucarelli e al capo del collegio peritale per l’apertura di una delle scatole nere dell’aereo recuperate dal fondo del Tirreno, riuscimmo a depistare il collega Sandro Ruotolo impedendogli di raggiungere via mare il luogo del disastro mentre venivano riportati in superficie i primi e più significativi rottami del Dc 9.

Il rivale TG2 fu così sconfitto anche in quella occasione, con la enorme gioia del compianto Roberto Morrione, grande capo redattore della cronaca del Tg1. E poi, tanto altro ancora, con l’inchiesta che prima stabilì che il jet era stato abbattuto da un missile sparato da un caccia militare e poi con la marcia indietro di alcuni dei periti colti a posteriori dal dubbio che si fosse dc92trattato di una bomba piazzata nella toilette dell’aereo. L’inizio di un balletto senza fine, dalle conclusioni sempre più scontate.

E perché non ricordare come da subito, per biechi motivi commerciali e approfittando di una dolorosa tragedia, si fosse portata avanti la tesi del patetico “cedimento strutturale”? Come dire che l’Itavia utilizzava vecchie carrette del cielo e che perciò meritava solo d’esser chiusa. Cosa che puntualmente avvenne, a beneficio di altri che che non gradivano affatto la concorrenza della ancor piccola, ma in espansione, compagnia privata dell’ingegner Aldo Davanzali da Sirolo, vicino ad Ancona. Eppure, che fosse stato un missile a buttar giù il tranquillo Dc 9 erano stati in molti a sostenerlo già in quella drammatica notte del 27 giugno 1980, quando ancora l’aereo era dato solo per scomparso.

Quella sera rincasai tardi. Mio padre mi aspettava sveglio. Mi disse subito: “E’ precipitato un aereo dell’ Itavia per Palermo. E’ scesa alle 10 (le 22) la signora “Rosetta” trafelata (“Rosetta” abitava con marito e figlia al piano di sopra, e l’allora fidanzato della ragazza era un pilota Itavia) che me l’ha detto, precisando che è stato buttato giù da un missile!”. Ma dai!, fu la mia incredula risposta.

dc956Devo dire che se il fatto era stato raccontato dalla signora “Rosetta” in questi termini, e con assoluta tempestività, la cosa assumeva un certo valore. Sia per il fatto che il “genero” fosse un pilota della compagnia, ma soprattutto per l’assoluta vicinanza lavorativa del marito a un leader politico di primissimo piano, oltretutto da sempre noto per avere le mani in pasta in tutto, e per l’amicizia che lei e il marito avevano con il proprietario e presidente dell’Itavia, l’ingegnere Aldo Davanzali, poi morto nel 2005 in assoluta povertà a 83 anni nell’ospedale di Loreto. Quindi, informazioni di primissima mano. Il telegiornale della notte trasmetteva, intanto, notizie sulla scomparsa del Dc 9 e sull’angosciosa attesa dei parenti dei passeggeri all’aeroporto di Punta Raisi.

Da meno di un anno lavoravo al neonato TG3. Il mattino dopo cominciarono a giungere da Palermo le immagini delle ricerche girate dall’operatore al seguito del collega Franco Poggianti. Già all’alba erano stati localizzati in mare i primi rottami dell’aereo e quel che restava di pochi corpi di parte delle vittime.

Verso metà mattina ricevetti in redazione una telefonata, anticipatami dalla signora “Rosetta”. Era di un generale dell’esercito in pensione, assistenze del presidente Davanzali, che mi chiedeva se poteva venire a vedere in anteprima le immagini del jet precipitato. Dopo poco arrivò al 40 di via Teulada, allora sede appunto del Tg3 Rai. Ora nella palazzina ci sono gli uffici del Giudice di Pace.

dc96Il generale mi raggiunse al terzo piano, armato di una sgangherata quanto per niente sofisticata macchinetta fotografica. “Posso fotografare dallo schermo tv le immagini per documentare i danni del missile?”, mi chiese ingenuamente. “Generale, con quella macchinetta non va certo lontano, ammesso che poi ci sia ciò che le serve”, risposi. E aggiunsi: “le faccio riversare una copia di tutto quello che abbiamo in un nastro Vhs, è molto meglio”. Non c’era molto, a parte il tangibile dramma, e il nastro non servì a nulla.

Non seguii quelle fase dell’inchiesta sul disastro, se non come appassionato di aeronautica. Un anno dopo, sempre al Tg3, fui chiamato all’ultimo momento per un’intervista a un “Solone” dirigente dell’ Anpac, allora il più importante sindacato dei piloti, che sosteneva categoricamente l’impossibilità del recupero dell’aereo, esploso in aria e finito in fondo al mare in una miriade di piccoli pezzi sparsi per decine di chilometri. Un ottimo esperto di larghe vedute, non c’è che dire!

Anni dopo, al Tg1, l’allora direttore Nuccio Fava dispose in fretta e furia un occasionale servizio sul disastro di Ustica per il Tg delle 13,30, in occasione del sesto anniversario della caduta dell’aereo. Mi fu affidato, e d’accordo col direttore, parlammo senza remore di “missile assassino”.

morrioneE arriviamo, così, alla primavera 1987. Erano le 22 di una tranquilla giornata, e perciò il capo redattore della cronaca, Roberto Morrione, costantemente a caccia di notizie, venne alla mia scrivania con in mano un lancio dell’Agenzia Italia appena trasmesso. Vi si leggeva che l’incarico per la localizzazione e il recupero dei resti del DC 9 Itavia sul fondo del mar Tirreno erano stati affidati alla società francese Ifremer e che dell’aspetto economico-organizzativo se ne occupava lo studio dell’avvocato Agostino Barraggioli, di Genova. Morrione mi chiese se me ne volessi occupare. E così fu. Fino alle realizzazione nel novembre ’88 di due ampi servizi con una ricostruzione giornalistica di come potrebbe essere avvenuta la strage trasmessi nella nuova rubrica “Tg 1 7” che produssero, a dir poco, scalpore. Ma ci sarebbe anche tanto altro da raccontare. Chissà…

Enrico Massidda