Gli attentati di Parigi possono modificare il volto dell’Europa e la sua visione del mondo?

Gli attentati di Parigi possono modificare il volto dell’Europa e la sua visione del mondo?

Gli attentati sanguinosi di Parigi non sono state le prime terribili gesta dell’estremismo islamista in Europa e, purtroppo, non saranno le ultime. C’è da chiedersi se non costituiscano, però, un punto di svolta e siano destinati ad influenzare fortemente gli animi e gli orientamenti degli europei.

I rischi sono quelli di aderire al richiamo della sirena della cosiddetta “Europa fortezza” e di accettare la logica dello “scontro di civiltà”. Rischi che sono appena dietro l’angolo e a cui si abbandonano già alcuni settori della politica italiana e una buona parte del giornalismo nostrano.

In ballo c’è la possibilità di perdere il senso della corretta lettura delle vicende del Medio Oriente che nel caso dell’Italia non è un eufemismo definire Vicino Oriente, anzi vicinissimo.

La dimostrazione più evidente, per quanto comprensibile, è venuta dal fatto che gli attacchi di Parigi hanno immediatamente cancellato quelli che, solo poche ore prima, avevano insanguinato le strade di Beirut e provocato, anche lì, decine e decine di morti.

Nelle prime dichiarazioni di molti politici di mezza Europa è evidente il tentativo di legare la questione del terrorismo di matrice islamista, che niente ha a che fare con la stragrande maggioranza delle popolazioni e dei leader musulmani, a quella dei migranti.

Ciò deve far riflettere e risuonare come un campanello d’allarme per chi crede nella razionalità e nella sincera analisi della realtà quali uniche valide basi dell’azione e della guida politica.

Così come è necessario rileggere vecchie e nuove pagine dell’intera storia europea. Quelle che, andando alle lunghe e drammatiche stagioni del terrorismo dei baschi, dell’Ira nel Regno Unito, oppure a quelle delle Brigate Rosse, italiane e tedesche, ma anche alla strategia stragista della mafia italiana, stanno a dimostrare che non è poi così difficile mettere a soqquadro con pochi uomini una capitale e, con essa, un intero paese, un intero continente.

Gli attentati parigini hanno avuto innegabilmente la forza di incidere in profondità nelle coscienze di tutti gli europei, e non solo, e di porre in alternativa ancora una volta sicurezza e regole democratiche su cui basare la convivenza.

La reazione del Presidente della Repubblica francese, François Hollande, è emblematica a questo proposito, per la determinazione nel voler rispondere alla guerra al Daesh con un altrettanto vera e propria guerra fino alla distruzione di quanti hanno osato insanguinare Parigi.

Hollande riverbera persino la possibilità di mutamenti costituzionali per condurre questa guerra ad oltranza contro i nemici della civiltà moderna, che non è né solo cristiana, né solo islamica, né solo ebraica.

Altrettanto emblematica, ma di segno diverso, è la reazione dei governi conservatori dell’Europa centrale impegnati solamente a cavalcare la paura irrazionale. La stessa che, dopo l’impressionante flusso di migranti degli ultimi mesi, ha spostato a destra l’equilibrio politico di molti paesi, come ha appena dimostrato il voto della Polonia.

Di colpo, i migranti ed il terrorismo del Daesh, due questioni non legate tra di loro, o almeno non nei modi in cui cerca di presentarle la destra neo fascista europea, sono diventati elementi capaci di far dimenticare la crisi economica e la responsabilità dell’impoverimento dell’intera Europa. Un impoverimento direttamente legato a politiche verticiste e improntate ad un’austerità che colpisce solo i ceti medi e quelli poveri. Un impoverimento che sta ponendo in discussione gli stessi pilastri su cui si basa la costruzione dell’Europa, un Europa democratica, aperta e solidale. L’unica che interessa a decine di milioni di europei.

Di colpo, l’assalto dell’Isis a Parigi rischia, invece, di riportare indietro la lancetta della storia.

O meglio, rischia di farlo se i gruppi più intelligenti ed aperti della società europea, e gli esponenti politici realmente riformatori, che a questi gruppi dovrebbero pur essere legati, si abbandonano al panico e lasciano che la questione dei migranti e quella dei rapporti con il vicino Oriente, perché di questo si tratta, siano abbandonate ad una gestione demagogia e ad una pura politica di strumentalizzazione.

I gruppi culturalmente e politicamente più arretrati, il cui vero obiettivo è il mantenimento di situazioni di squilibrio economico e sociale, sono chiaramente impegnati ad utilizzare questioni e difficoltà oggettive solamente per continuare con una gestione degli stati europei capace solamente di salvaguardare gli interessi dei grandi gruppi finanziari e bancari. Nonostante che alcuni di questi non sono senza macchia per aver favorito nel passato quelle radicalizzazioni a livello internazionale che a pochi passi da casa nostra hanno pure contribuito alla nascita e allo sviluppo del Daesh.

Siamo, dunque, di fronte ad un punto epocale di svolta attorno cui i democratici del mondo occidentale si giocano un pezzo di storia futura.

E’ stato parzialmente così dopo il 1991 con la prima guerra dell’Iraq e alla quale gli Stati Uniti risposero in positivo con la presidenza Clinton.

Dieci anni dopo, però fu del tutto così con il sostegno dato a Bush all’indomani dell’attacco delle Torri gemelle e alla sua riconferma per il secondo quadriennio. Periodo che, con l’aggravarsi della situazione nel Medio Oriente e l’avvio di numerose guerre locali, più o meno conosciute e riconosciute dalle nostre parti, ha segnato il contemporaneo riflusso economico e sociale del mondo occidentale. Gli studiosi del futuro potranno valutare e confermare l’eventuale esistenza di un nesso di causalità

Per rispondere adeguatamente alle esigenze dell’oggi per come esso realmente è, ed in ciò sembra che Hollande anticipi tutta la sinistra europea, il mondo progressista e democratico deve accettare la sfida del Daesh e mettere in campo ogni sforzo per contrastarlo e distruggerlo, senza tentennamenti e senza reticenze e senza per questo ridurre di un niente i fondamenti democratici su cui quotidianamente si basa il nostro vivere moderno e libero. In questo senso Hollande chiede un adeguamento costituzionale che non significa uno stravolgimento.

Non è facile individuare la linea da seguire quotidianamente nell’evitare gli Scilla e i Cariddi posti dalla nostra attuale condizione storica, ma non è impossibile. Soprattutto se a livello di Nazioni Unite si trova, finalmente, l’occasione per risolvere quelle vicende storiche, più o meno secolari, i quali stanno alla base dei drammatici fatti che animano la nostra cronaca.

L’Europa, a partire da Francia e Regno Unito, troppo use a condurre le proprie politiche estere indifferenti alle conseguenze che esse creano al resto del Vecchio continente, può trovare in queste drammatiche ore l’occasione per ricostruire le basi di un’intesa troppo spesso crollate nel recente passato sotto il peso dei tanti, troppo egoismi in cui abbiamo trasformato la costruzione del processo unitario sognato da Adenauer, De Gasperi e Schumann.

Giancarlo Infante