Furlan: la Cisl per una democrazia sostanziale e per sconfiggere l’incertezza del futuro

Furlan: la Cisl per una democrazia sostanziale e per sconfiggere l’incertezza del futuro

Il sito www.convergenzacristiana.it ( CLICCA QUA ) pubblica una lunga intervista alla Segretaria Generale della Cisl che volentieri mettiamo a disposizione dei nostri lettori.

Il richiamo dell’azione sindacale alla Dottrina sociale della Chiesa, ” l’ ancoraggio ai valori etici di giustizia, eguaglianza, solidarietà, pace che esprimono la centralità del valore della persona” e l’obiettivo di raggiungere una ” democrazia sostanziale” sono tra i principali punti di riferimento della Cisl fin dalla propria nascita. Sono i temi di un’intervista rilasciata dalla Segretaria Generale del Sindacato Confederali Lavoratori Italiani rilasciata a Convergenza Cristiana.

D ) Il nostro riferimento va alla Dottrina sociale della Chiesa che, dal 1891 ad oggi, si è andata arricchendo di nuove indicazioni di fronte al mutare dei problemi sociali ed economici. Quale a suo avviso resta ancora la forza di questo messaggio nella società contemporanea sempre più secolarizzata?

La domanda, per chi milita nella CISL, è ricca di risonanze identitarie. La risposta, dunque, pur nell’epoca di Twitter, non può essere di 140 caratteri.Siamo nati, infatti, in quel lontano 30 aprile 1950, al Teatro Adriano di Roma, con una visione della società e della democrazia che riassume in una sintesi ben strutturata, quattro coordinate concettuali: sussidiarietà, corpi intermedi, partecipazione, bene comune.

La visione della CISL si è formata e sviluppata in un rapporto costante, laico, autonomo, creativo e produttivo con la Dottrina sociale della Chiesa cattolica, che su queste linee teoriche ha aperto un orizzonte di pensiero fecondo e innovativo dall’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891), alla Laudato Si’ di Papa Francesco (2015).

Siamo debitori alla Dottrina sociale della Chiesa cattolica del concetto di sussidiarietà, ovvero del principio di regolazione dell’ordine sociale e politico secondo il quale se un ente, istituzione, organizzazione, associazione inferiore è in grado di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire ma, al contrario, sostenerne l’azione, esercitare nei suoi confronti il “subsidium”, operare in forme ausiliarie secondo il principio di sussidiarietà.

Fu la Rerum novarum a inaugurare questa linea di pensiero: “non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siamo assorbiti dallo stato: è giusto, invece, che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti” (R.N., 28).

Quarant’anni dopo nell’Enciclica Quadragesimo anno (1931) Pio XI approfondì, in forme sistematiche, il principio di sussidiarietà. Dopo aver analizzato la crisi dei sistemi associativi sosteneva che “l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle.”(…) (Q.A. 79/81).

La sussidiarietà ordinamentale e gerarchica della Quadragesimo anno viene declinata in forme assai più orizzontali e aperte nella Mater et Magistra (1961) di Giovanni XXIII: i pubblici poteri “devono essere attivamente presenti allo scopo di promuovere, nei debiti modi, lo sviluppo produttivo in funzione del progresso sociale a beneficio di tutti i cittadini.  La loro azione che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione deve ispirarsi al principio di sussidiarietà.” (M.et M. Par. 40).

Nel centenario della Rerum novarum, la Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II riannoda i fili teorici della secolare riflessione intorno ai compiti dello Stato: “Disfunzioni e difetti dello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti dello Stato. Anche in quest’ambito dev’essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola della sua competenza, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali in vista del bene comune”.

Nella riflessione sociale della Chiesa i corpi intermedi sono il referente sociale organizzato del principio di sussidiarietà, i destinatari di un ruolo istituzionale di partecipazione alla costruzione del bene comune e, in quanto tali, meritevoli di riconoscimento, di sostegno, di ” subsidium “.

La CISL ha, certamente, elaborato la sua visione del rapporto tra società e Stato all’interno di questa lunga e produttiva linea di pensiero.

In prima istanza una concezione policentrica dell’architettura istituzionale che riconoscendo alla società civile i livelli di autonomia che le competono ne favorisca il protagonismo e la partecipazione alla costruzione e alla gestione del bene comune.

Si pensi, a questo proposito, alla profonda innovazione introdotta dalla CISL nella teoria del rapporto tra legge e contratto con la rivendicazione del primato del contratto e della funzione ausiliaria della legge, che esprime, in coerenza con il principio di sussidiarietà, l’autonomia delle Parti sociali e ne esalta il ruolo di attori responsabili nella regolazione e gestione delle relazioni contrattuali, del mercato del lavoro, dei sistemi di welfare.

Si tratta, a ben vedere, di una lettura molto rigorosa ed esigente del principio di sussidiarietà e del ruolo, conseguente, dei corpi intermedi costitutiva, per la CISL, della sua idea di società giusta e di democrazia sostanziale.

Giulio Pastore e Mario Romani, nel momento in cui nasceva il “sindacato nuovo”, analizzarono in profondità i rischi di un esito formale della democrazia rappresentativa, della definizione nelle leggi fondamentali di valori e di diritti che non avrebbero fatto breccia nella vita reale dei lavoratori, che non avrebbero rafforzato le maglie della coesione sociale, scavando una distanza tra società e istituzioni alla lunga letale per la democrazia.

A questo deficit della democrazia rappresentativa la CISL offrì la soluzione della “democrazia sostanziale” nella definizione di Pastore, ovvero dell’innesto sull’architettura della democrazia rappresentativa del protagonismo sociale e della partecipazione dei corpi intermedi così da conferirle natura sostanziale in grado di trasformarla in democrazia compiuta.

Si tratta di un pensiero rigoroso e pragmatico che, da allora, ha delineato i tratti identificativi della cultura che da allora accompagna la CISL.

Sono, infatti, i corpi intermedi, che traducendo con rigore il principio di sussidiarietà consentono, con pragmatismo, di costruire un ordine sociale e istituzionale policentrico. Ed è precisamente la partecipazione della società civile, attraverso le sue rappresentanze organizzate, i suoi corpi intermedi, a garantire  che  il percorso istituzionale di costruzione del bene comune incorpori nella concretezza della coesione sociale i valori della centralità della persona, della solidarietà, della giustizia. I diritti civili e politici sono destinati a rimanere dichiarazioni  formali se non vengono fondati nella realtà dei diritti sociali, a partire dal diritto al lavoro.

In questa visione il sindacato confederale è attore rilevante e responsabile, poiché offre il contributo del mondo del lavoro alla costruzione e alla gestione delle politiche macro e micro economiche, dagli investimenti, alla domanda, all’occupazione, alla produttività, ai salari, al mercato del lavoro , al welfare.

Sussidiarietà, corpi intermedi, partecipazione policentrica, democrazia sostanziale, bene comune che incorpora giustizia sociale e sintesi solidale degli interessi a partire dalle attese del lavoro: ecco il sistema di relazioni concettuali sulle quali la CISL, a partire dal dialogo libero e fecondo con la Dottrina sociale della Chiesa, ha impostato i propri canoni identitari.

La Caritas in Veritate di Benedetto XVI e l’Evangelii  gaudium di Papa Francesco hanno offerto alla riflessione sociale un’evoluzione di grande interesse.

La Caritas in Veritate ha declinato su scala globale il principio di sussidiarietà, sostenendo la necessità di riformare il capitalismo finanziario deregolato e predatorio e l’ONU quali condizioni per realizzare la “famiglia delle nazionigovernata da una “vera Autorità politica mondiale”. “Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. (…) Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di   e che si dia finalmente attuazione ad un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già  prospettato nella Statuto delle Nazioni Unite” (CIV, n. 67).

Mi limito ad osservare, a questo proposito, che l’articolo 2 dello Statuto della CIsl, il sunto strategico ancor oggi vigente per la nostra Organizzazione, in riferimento agli indirizzi di strategia internazionale, definisce l’obiettivo dell’Unione economica dei mercati come condizione per l’unità politica degli Stati, senza apporre limiti geografici al processo e pensando, certamente, all’Unità politica dell’Europa come premessa per l’Unità politica globale.

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco (2013) rappresenta un’irruzione innovativa nella Dottrina sociale.

A partire dalla riflessione sulla povertà, una costante del Suo Magistero, Francesco stabilisce una relazione inscindibile tra bene comune e “democrazia ad alta intensità” ( J.M. Bergoglio, “Noi come cittadini, noi come popolo”) ovvero democrazia sostanziale (proprio come Pastore) capace di essere, contestualmente, politica, economica, sociale, inclusiva, aperta alla partecipazione diffusa. Soltanto questa democrazia compiuta e sostanziale ad alta intensità garantendo i diritti sociali, a partire dal diritto al lavoro e dallo sradicamento della povertà, rende fruibili, reali e non solo formali i diritti civili e politici.

Su questo punto la nostra convergenza con il pensiero di Papa Francesco e con la Sua visione della sussidiarietà pensata sotto l’egida di “Un’ecologia integrale” nella Laudato Si’ (2015), per le ragioni storiche e identitarie che ho tentato di tratteggiare, è totale.

Per queste semplici e buone ragioni, la Dottrina sociale della Chiesa, pur nel nostro tempo di secolarizzazione spinta, mantiene intatta la forza del suo messaggio, la fecondità del suo insegnamento,  la sua capacità di discernimento e di orientamento.

D )A suo avviso quali elementi caratterizzano un sindacato come la Cisl rispetto ad altre organizzazioni di natura laicista? Mezzi di informazione e pubblica opinione sono a suo avviso in grado di cogliere la specificità del vostro particolare impegno che rappresenta un qualcosa “in più”?

I tratti identitari che ho in estrema sintesi richiamato possono essere ricondotti a due categorie fondamentali: il rigore e il pragmatismo.

Rigore per noi significa un saldo ancoraggio ai valori etici di giustizia, eguaglianza, solidarietà, pace che esprimono la centralità del valore della persona. Il tema ispiratore dei nostri “Temi di dibattito congressuale” e del nostro XVIII Congresso, che si svolgerà alla fine di giugno, non a caso è “Per la persona, per il lavoro.” Le strategie che la CISL ha elaborato e messo in campo, nella sua ormai  lunga storia, sono  sempre state tributarie di questa ispirazione etica. La relazione costitutiva tra etica e strategia ha un corollario conseguente: una grande apertura d’orizzonte nella visione del ruolo del sindacato confederale. Se la mia ispirazione etica è la ricchezza integrale della persona nelle sue dimensioni personale, familiare, professionale, culturale, sociale, il mio dovere etico e politico risiede nel dispiegare tutte le potenzialità di promozione e di tutela della persona di cui il sindacato può disporre nel contesto storico nel quale opera.

Per queste ragioni la CISL si è storicamente qualificata, con le sue rappresentanze nei diversi settori produttivi, come il sindacato della contrattazione a tutti i livelli (nazionale, aziendale, territoriale); ma è andata oltre affidando alla Centrale confederale:

  1. il compito di negoziare con le controparti imprenditoriali e con i Governi i grandi denominatori solidaristici universali comuni a tutto il mondo del lavoro (previdenza, tutela del potere d’acquisto e trattamenti fiscali del salario, diritto alla formazione, alla salute, alla sicurezza, ammortizzatori sociali, regole di rappresentanza, per citarne alcuni);
  2. il ruolo macroeconomico di contribuire alla definizione delle politiche economiche e sociali dei Governi.

Ognuno può leggere, agevolmente, nella nostra visione del ruolo sindacale la concreta traduzione del principio di sussidiarietà, dell’autonomia dei corpi intermedi, del loro contributo al bene comune e alla pienezza della democrazia, a partire dallo specifico  segmento di rappresentanza, di società e di storia.

Com’è possibile essere pragmatici all’interno di questa visione? Ovvero: un rigore etico e politico, così inteso, può compendiarsi con il pragmatismo in una sintesi non fittizia, autentica, vincente?

Non solo è possibile, è necessario. L’istanza di rigore definisce, infatti, obiettivi strategici di lungo periodo irraggiungibili attraverso il conflitto fine a se stesso (qui ed ora, tutto e subito!) che invece richiedono il lavoro paziente, costante e responsabile degli obiettivi intermedi, delle piattaforme, del cosciente protagonismo dei lavoratori, delle assemblee, delle vertenze, delle mobilitazioni sociali, delle trattative, degli Accordi. Tra lo sguardo strategico lungo e ambizioso del rigore e il contesto storico di riferimento, il pragmatismo costruisce il percorso  di avanzamento possibile, le tappe, i presidi, le priorità. E, soprattutto, le coerenze perché un risultato, ancorché parziale, vale in virtù della sua coerenza con il Progetto e con gli obiettivi per i quali si lotta. Ecco, in breve, la natura del riformismo della CISL: un rigore esigente, un pragmatismo realistico, la coerenza strutturale di entrambi.

Il valore aggiunto della nostra idea di sindacato venga percepito e apprezzato dai media e dalla pubblica opinione? Rispondo: sì, ma non subito. La natura differenziale della CISL, infatti, emerge con forza nelle fasi di transizione e di crisi, quando senza la bussola della strategia di lungo periodo non si sa dove indirizzare la barca della rappresentanza del lavoro. In quelle fasi turbolente e ad alto rischio per la tenuta della coesione sociale e degli stessi assetti  democratici spesso bisogna avere il coraggio di scambiare interessi minori di breve periodo per diritti, tutele, stabilità fondamentali di lungo periodo. Gli esempi potrebbero essere molti. In quei momenti la capacità di visione strategica della CISL dà il meglio di sé, ma anche il massimalismo che rifiuta ogni scambio. Lo scontro tra diverse analisi e strategie divide le Organizzazioni sindacali. Con il tempo la visione della CISL viene metabolizzata e diventa patrimonio unitario convinto e condiviso. Provi a leggere in questa chiave le vicende dell’Accordo di San Valentino del 1984, il Referendum 1985, gli Accordi di concertazione del luglio 1992 e 1993! Per questo rispondo: paghiamo il prezzo dell’asimmetria temporale, siamo compresi e apprezzati, ma a scoppio ritardato; quando appare chiaro a chiunque, per restare nel nostro esempio, che senza la Concertazione del 1992-1993, che riprende i principi di Tarantelli del 1984, l’inflazione a due cifre non sarebbe stata stroncata, il potere d’acquisto dei salari recuperato e, soprattutto, non sarebbe stato avviato quel risanamento dei conti pubblici e quel riequilibrio competitivo che consentì all’Italia di entrare nell’Euro. Come vede, bisogna aver pazienza, determinazione e fiducia, le doti dei riformisti; il tempo è galantuomo e i 4.300.000 iscritti alla CISL stanno lì a dimostrarlo.

D )I sindacati sono ultimamente considerati soprattutto espressione della realtà pensionabile dei Paesi occidentali. Se ciò è vero, quanto è difficile conciliare la tutela di chi ha raggiunto il soddisfacimento, almeno in parte, dei propri diritti e di quanti, invece, questi diritti non sapranno neppure se e quando riusciranno e vederseli riconoscere?

È una vulgata molto diffusa. Soprattutto nei nostri detrattori accomunati da una visione populista e plebiscitaria della democrazia, insofferente di ogni corpo sociale intermedio che si frapponga nel rapporto diretto tra il leader e il “suo” popolo. Non è così. La globalizzazione dell’ultimo trentennio il cui Governo è stato confiscato dalla finanza mondiale e dalle multinazionali, poiché la politica ha abdicato, ha compromesso la coesione sociale, l’atteggiamento verso la cooperazione internazionale, verso l’ordine multipolare, verso l’immigrazione, verso la solidarietà sui quali si sono rette le democrazie occidentali nel secondo dopoguerra. La vittoria della Brexit e di Trump ne sono i segni dirompenti.

Il sindacato deve intervenire su uno sconvolgimento determinato da fattori globali che, non diversamente dagli Stati nazionali,  non controlla. Per queste ragioni la CISL è convinta che gli Stati Uniti d’Europa rappresentino una tappa fondamentale nella costruzione di quell’architettura di governance globale che la Caritas in Veritate ha delineato. È un impegno aggiuntivo e contestuale  alla costruzione di una nuova unità solidale dei distinti nel mondo del lavoro che resta obiettivo imprescindibile.

In realtà lo sconvolgimento in atto non lascia zone franche. È vero che una globalizzazione socialmente e ambientalmente irresponsabile ha estremizzato le diseguaglianze. Anche il mondo del lavoro è più diseguale: tra lavori stabili e lavori a termine, giovani e anziani, donne e uomini, nord e sud, occupati, disoccupati, inattivi, giovani che non studiano e non lavorano, imprese competitive e internazionali e imprese locali a basso valore aggiunto, pubblico e privato, lavoratori italiani e lavoratori immigrati, immigrati regolari di lunga data, immigrati recenti e richiedenti asilo. Ma il comune denominatore, pur all’interno di un mondo già drammaticamente  differenziato, è l’incertezza verso il futuro. La CISL e il sindacato confederale, lungi dall’invocare l’alibi di una globalizzazione socialmente anarchica, sono all’opera, con grande impegno, per ritessere la trama di una coesione sociale profondamente lacerata.

Non può che essere una trama nuova. Vale per i lavoratori delle imprese manifatturiere, comparativamente più garantiti di altri, che non possono, tuttavia, sottrarsi alla sfida dell’Industria 4.0, con i suoi rischi e le sue opportunità di partecipazione strutturata e creativa del lavoro sulla frontiera avanzata di una manifattura ipertecnologica con componenti di ibridazione terziaria che ha bisogno dell’inventiva e dell’intelligenza artigiana. Vale per lo “Smart working” dei servizi che, grazie a tecnologie onnipervasive, annulla i vincoli spaziali e temporali della prestazione lavorativa e dei suoi risultati. Vale, a maggior ragione, per la “on demand economy” che sulle piattaforme web collega direttamente  domanda e offerta, senza mediazioni, sia per consegnare le pizze a domicilio, sia per gli architetti che fanno le visure catastali per i mutui delle banche, sia per gli ingegneri che fanno i progetti e, ciò che più conta, che scarica gran parte dei costi della prestazione sul lavoratore autonomo al quale si richiede un contributo di gratuità per aumentare i profitti.  Ecco tre esempi molto diversi di lavori e di  condizioni lavorative che stanno ridisegnando il mercato del lavoro e che richiedono tutele efficaci, adeguate alle loro specificità, nelle quali possa prender forma lo stesso valore della dignità della persona e del lavoro. Ecco, in breve, il senso dell’idea di unità solidale dei distinti che ispira la nostra azione negoziale.

D )Non mancano nella Dottrina sociale della Chiesa precisi riferimenti alla necessità di avviare forme di co-responsabilizzazione dei lavoratori nella gestione delle aziende. In Germania, per esempio, il modello è ampiamente diffuso con i risultati che sappiamo. Lei è favorevole ad estendere detto sistema anche in Italia, oggi, alla luce di una situazione nelle imprese dove gli equilibri sembrano irreparabilmente andare sempre più a svantaggio dei lavoratori? Questa, invece, non potrebbe diventare una possibile alternativa nel caso di aziende in crisi, invece di continuare a ricorrere alla Cassa integrazione e alla mobilità? Lavoratori e dirigenze potrebbero anche riuscire a fare dove imprenditori, soprattutto quelli più avventurosi, falliscono…

La CISL nasce, nel 1950, in un contesto sociale letto, interpretato e vissuto dal PCI e dalla CGIL secondo i canoni della lotta di classe. A quella visione la CISL oppone un’alternativa strutturata di partecipazione democratica e di  riformismo.

In prima  istanza l’autonomia della rappresentanza del lavoro non piegata strumentalmente al primato del partito e della sua conquista del potere politico. Alla quale consegue la centralità della contrattazione nelle imprese come sistema di regolazione e di armonizzazione del conflitto degli interessi. Scelta vincente che diventerà una costante nel secondo dopoguerra e che sarà denominata “democrazia industriale”. Con la democrazia industriale, nella visione della CISL, si integra la “democrazia economica” intesa come partecipazione dei lavoratori alla proprietà delle imprese attraverso l’azionariato diffuso. La democrazia economica è la condizione giuridica, il titolo giuridico che legittima l’aspirazione dei lavoratori, attraverso i loro rappresentanti nei Consigli di amministrazione o di sorveglianza, a partecipare al governo delle imprese. Bastano questi schematici accenni per comprendere che il riformismo partecipativo della CISL va alla radice dei rapporti di proprietà e di potere e ha rappresentato l’alternativa (ancor oggi incompiuta) all’antagonismo di classe. La “stakeholder theory” ha ripreso quella radice feconda di pensiero, riconducendo il diritto alla partecipazione al governo dell’impresa alla prerogativa dei legittimi  portatori di interessi (anche i lavoratori lo sono) e alla natura sociale “in re ipsa” dell’impresa. Per la CISL, oggi, questa visione ha un fondamento strutturale in più. Rispetto all’organizzazione del lavoro parcellizzata, anonima e subalterna del taylorismo-fordismo, oggi al lavoratore si richiede partecipazione creativa e senso di appartenenza responsabile all’impresa, ovvero un ruolo di attore decisivo che lo dispone, naturalmente, alla partecipazione al governo dell’impresa. Certamente, in un modello di governo impostato sulla sintesi equilibrata degli interessi strategici degli stakeholders, molte crisi potrebbero essere evitate e molte gestite con successo! Mi limito ad aggiungere che il criterio fondamentale per valutare la responsabilità sociale e ambientale di un’impresa è il suo modello di governance, autarchico o multi stakeholders.

D )Dopo la grave perdita di peso da parte del mondo operaio, anche grazie alle gravi crisi economiche degli ultimi 20 anni, è entrato in profonda crisi anche il cosiddetto ceto medio. Perché il sindacato stenta allora a creare dei collegamenti con questa realtà che pure rappresenta ancora l’ossatura principale delle nuove società occidentali?

Così come saltano i confini tra manifattura e terziario (il manufatto incorpora servizi crescenti), saltano egualmente i confini tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. La questione è complessa e delicata. La nostra iniziativa di rapporto e di tutela di aree del ceto medio è all’inizio, ma può già vantare importanti risultati. Certamente la battaglia contro le false partite IVA, che in realtà erano lavoratori dipendenti con vincolo di committenza, di sede, di orario; l’abolizione dei contratti a progetto, la forma di mascheramento prevalente del lavoro dipendente da lavoro autonomo; l’introduzione nel 2015, con il Jobs Act, dell’indennità di disoccupazione per i collaboratori continuativi (Discoll), ovvero di una tutela fondamentale per il vero lavoro autonomo. Non mancano figure ibride di lavoro dipendente-autonomo, contrattualmente regolate, con una retribuzione fissa garantita ed una variabile in base ai risultati. L’emergenza più rilevante resta tuttavia, come dicevo, quella delle piattaforme di reclutamento in rete di lavoratori autonomi e la galassia di Gig economy (economia dei lavoretti) e di On demand economy che si sta creando. Su quest’area del tutto sregolata del mercato del lavoro credo che una regolazione per Legge e piattaforme di reclutamento gestite dal sindacato con le opportune tutele siano risposte necessarie.

D ) Da oltre trent’anni il sindacato in prima fila chiede una diversa politica fiscale e una diversa spesa pubblica, anche al fine di reperire quelle risorse in grado di consentire un superamento delle sperequazioni ed il rafforzamento dell’economia reale attraverso una politica di investimenti pubblici che soli possono realizzare il rilancio della produzione e dell’occupazione soprattutto giovanile. Dove sta il motivo del ritardo in questa direzione. Responsabilità della politica, delle imprese, dei cittadini contribuenti? Il suo Sindacato non fa sufficiente pressione in tal senso?

Siamo andati oltre la pressione. Nel settembre 2015 abbiamo presentato al Parlamento un Disegno di Legge di riforma fiscale di iniziativa popolare sostenuto da oltre 500.000 firme. Si trattava di un primo intervento, di semplice e immediata attuazione, in attesa di una riforma organica, sempre annunciata e mai realizzata. Mille euro netti annui di riduzione dell’Irpef per i redditi sino a 40.000 euro annui (decrescenti sino a 50.000) che avrebbe coinvolto il 91% dei lavoratori dipendenti, il 95% dei pensionati, l’80% dei lavoratori autonomi e la totalità degli incapienti. Il costo dell’operazione, intorno ai 30 Mld, sarebbe stato coperto da una patrimoniale ordinaria sulle ricchezze mobiliari e immobiliari superiori ai 500.000 euro (al netto dei Titoli di stato italiani e della prima casa non di lusso), dalla revisione delle tax expenditures e dalla destinazione pluriennale dei recuperi di evasione fiscale.

Il postulato sul quale abbiamo impostato la nostra iniziativa è molto chiaro: dal baratro di una crisi ormai quasi decennale si esce concentrando selettivamente le risorse su due variabili:

  1. il rilancio della domanda interna con un’operazione di giustizia redistributiva a favore dei redditi medi e bassi e
  2. il potenziamento, nell’ambito di un Piano europeo, degli investimenti pubblici nazionali stornati dal calcolo del deficit. Il loro gioco combinato traina l’investimento privato e avvia, cumulativamente, la svolta ciclica con effetti positivi sull’occupazione, sul reddito, sulla coesione sociale, sulla fiducia nel futuro, soprattutto per una generazione di giovani che rischia di perderla. Abbiamo, altresì, sostenuto, in tutte le sedi istituzionali e nel dibattito pubblico, la necessità di stabilizzare la svolta ciclica nel medio e lungo termine con un’adeguata politica industriale coerente con un Progetto Paese lungimirante, condiviso con le Parti sociali e gestito, nella chiara distinzione dei ruoli, attraverso un grande Patto sociale.

Restiamo convinti che questi siano gli strumenti di una strategia vincente e urgente poiché l’economia del nostro Paese e le prospettive di ripresa arrancano agli ultimi posti nell’Eurozona. In merito alla responsabilità dei Governi, della loro visione corta e di un riformismo, a dispetto dei proclami, assai più cosmetico che strutturale, non contesto i benefici degli 80 euro o della decontribuzione, ma gli uni non sono bastati a rilanciare la domanda interna e l’altra ha favorito le assunzioni e le trasformazioni a tempo indeterminato, seguendo la parabola prima ascendente, poi rapidamente calante degli incentivi. Ad entrambi è mancata la stabilizzazione strutturale che può derivare dalla strategia in breve enunciata.

Non mancano le responsabilità delle Parti sociali che non hanno saputo elaborare, durante la crisi, un Progetto strategico unitario da condividere con il Governo. Il superamento di questi limiti è alla nostra portata, in virtù della ripresa di un percorso di convergenza tra CGIL, CISL, UIL, Confindustria e Associazioni imprenditoriali, di importanti Accordi firmati con il Governo (dalla previdenza, al Pubblico impiego, al Reddito di inclusione), della necessaria riflessione autocritica del Governo dopo il Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

La CISL, come sempre nei momenti critici della nostra storia recente, non farà mancare il suo contributo nel nome della rappresentanza del lavoro che ne esprime gli interessi, le attese, le speranze di giustizia nella sintesi del bene comune del Paese.