Flotta Usa verso la Siria Obama valuta l’opzione intervento I precedenti di Kossovo e di Libia

Flotta Usa verso la Siria  Obama valuta l’opzione intervento  I precedenti di Kossovo e di Libia

Il Mediterraneo si riempie di navi da guerra dirette verso le coste siriane. Apparentemente diminuito il livello di massima tensione in Egitto, l’attenzione internazionale si sposta nuovamente verso Oriente, in direzione della crisi siriana che tracima anche nelle aree vicine, in particolare in Libano. Il “Paese dei cedri”, infatti, deve essere considerato un vero e proprio territorio di retrovia per il conflitto che da due anni sta martoriando la Siria.

Il feroce attacco a due moschee sunnite avvenuto a Tripoli, nel governatorato del Nord, che ha causato la morte di 50 persone ed il ferimento di almeno 500, non può essere disgiunto dai tanti fatti, di ogni genere e di ogni dimensione che hanno interessato e stanno interessando la regione.

Così come in questo contesto deve essere inquadrato il bombardamento effettuato da jet israeliani, poche ore prima della esplosione delle autobombe dinanzi alle due moschee di Tripoli. Gli aviogetti con la stella di Davide hanno preso di mira una zona a sud di Beirut dove il Fronte per la liberazione della Palestina ha una propria base militare che utilizza anche una serie di tunnel sotterranei in parte finiti distrutti dopo l’attacco di Israele.
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La crisi siriana tracima al di fuori dei confini ufficiali del Paese medio orientale anche a causa delle centinaia di migliaia di profughi che hanno lasciato le zone di combattimento per dirigersi verso la Turchia ed il Libano dove i campi profughi, oramai, presentano condizioni disumane e al di là di ogni limite di sopportazione.

Soprattutto, però, rischia di diventare, ancora di più di quanto non lo sia oggi, questione internazionale dopo il sospetto che i militari di Damasco abbiano davvero utilizzato gas nervini per attaccare zone sotto il controllo dei rivoltosi che stanno subendo una serie di pesanti sconfitte militari, oltre che dimostrare una grande divisione al proprio interno.

La situazione rischia di precipitare con la decisione degli Stati Uniti di muovere le proprie forze navali più vicino alle coste della Siria all’indomani della scelta di Barak Obama di cominciare a prendere in considerazione, l’opzione militare.
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Il Segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, ha rifiutato di entrare nel merito delle singole opzioni, ma ha confermato che il Presidente Obama ha chiesto la presentazioni di diverse ipotesi di intervento armato.

Barak Obama ha sempre dichiarato di non prevedere un intervento terrestre. Si deve quindi pensare che il riferimento vada alla guerra del Kossovo quando il conflitto contro la Serbia venne giocato tutto con i bombardamenti aerei. Si punta cioè alla disarticolazione di tutte le strutture militari e logistiche per favorire, poi, l’insorgere della popolazione, che si presume sia contro al Assad, o almeno si punterebbe, così, a favorire l’avanzata degli insorti.

Come del resto è accaduto nel 2011 in Libia con i bombardamenti e lanci di missili Tomahawk che sostennero la vittoria dei ribelli contro Gheddafi provenienti dalla Cirenaica.

Il ministro della Difesa americano, Hagel, ha detto che gli Stati Uniti stanno valutando, con il resto della comunità internazionale, quanto accaduto vicino a Damasco, dove in un sobborgo della capitale, sarebbe stato portato un attacco chimico che ha ucciso almeno 100 persone.
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Obama è ancora prudente sull’ipotesi di farsi coinvolgere ufficialmente in un intervento in Siria che potrebbe presentare situazioni del tutto diverse ai casi sperimentati in precedenza. Intanto, perché la Siria può vantare un fortissimo sostegno da parte della Russia. Poi, perché l’esercito siriano è ben addestrato e conta sull’appoggio di quelle milizie Hezbollah che sono state capaci di infliggere una dura lezione in Libano anche ad Israele.

Inoltre, è risaputo che le milizie dei ribelli sono infiltrate da estremisti islamisti se non, addirittura, da terroristi di al- Qaeda. Cosa che provoca non poco imbarazzo agli Usa e divisione tra gli altri paesi occidentali schierati contro l’attuale regime di Damasco.
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Comunque, nessuno può rimanere indifferente di fronte all’uso di armi chimiche che, in ogni caso, Damasco continua a dichiarare di non aver mai impiegato.

Giancarlo Infante