E’ morto Nelson Mandela. Esempio della lotta per la libertà e della riconciliazione

E’ morto Nelson Mandela. Esempio della lotta per la libertà e della riconciliazione

E’ morto Nelson Mandela.  Il simbolo più eminente della lotta contro l’apartheid. Un uomo illuminato. Uno dei più grandi statisti al mondo  che ha dedicato l’intera sua vita per il bene degli altri. Impegnato in una lotta politica volta ad anteporre i valori umani al di sopra di qualsiasi potere. Nonostante le prove terribili che ha dovuto affrontare, ne è uscito più che vincitore.

Rolihlahla Mandela è morto per le complicazioni di  una polmonite, proprio come suo padre. Aveva compiuto 95 anni il 18 luglio scorso. Il suo” lungo cammino verso la libertà”( titolo della sua bellissima autobiografia) ora si è, purtroppo, concluso davvero.

Durante il secolo del ‘900 hanno vissuto persone come Ghandi o Martin Luther King che non potranno essere mai dimenticate. Meritano l’ammirazione nel mondo per la fede nei loro ideali e la determinazione nel portarli a compimento per il beneficio dei loro connazionali o seguaci.

Nelson Mandela

 

Il primo, portò all’indipendenza il suo Paese, l’India, dalla dominazione da parte degli inglesi. Il secondo, si batté per i diritti civili dei neri in un’America razzista, fino a quando non venne ucciso.

Fra questi esempi di grandi uomini che hanno lottato per il bene degli altri, sicuramente Nelson Mandela è quello che ha dato un indelebile contributo all’umanità tutta, perseguendo, sì, diritti umani, giustizia sociale, libertà, democrazia e pace, ma promuovendo e battendosi, assieme, per la riconciliazione nazionale fra oppressori e oppressi.

Lui ha portato l’intera popolazione, nera e bianca, del Sud Africa dall’abisso della segregazione e della disumanità alla luce della dignità sociale e all’uguaglianza fra gli uomini.

Ha voluto e istituito la “Truth and Reconciliation Commission” per far rispettare i diritti di tutti. Verso la fine degli anni novanta si impegnò anche per far terminare la terribile guerra nel Congo.

Poi la sua ultima, ma forse ancora più rivoluzionaria battaglia quella contro l’AIDS, malattia che in Africa, visti i costi delle cure, assumeva ancora una volta la caratteristica di una lotta per i diritti umani.

Mandela era nato in un piccolissimo villaggio del Transkei in Sud Africa nel 1918. Quando a soli 9 anni rimase orfano di padre, venne affidato per la sua formazione al viceré dei Thembu, la tribù del popolo Xhosa alla quale apparteneva.

Fu educato secondo i valori del cristianesimo e nel rispetto della tradizione e delle sue regole.

Il nome Nelson gli fu dato, come usava, da un insegnante, per evitare di dover pronunciare nomi africani.

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Mandela riteneva che l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possono usare per cambiare il mondo. Così, proprio  durante il suo percorso di studi, Nelson Mandela aprì enormemente i suoi orizzonti.

Passò dall’aspirare al modello dell’inglese colto, che gli veniva “imposto”, poiché le poche scuole destinate ai neri che se lo potevano permettere, erano gestite da inglesi, all’avvertire il senso di identità come africano, non più legato solo ad una tribù o ad un popolo.

Fu soprattutto mentre frequentava l’università che cominciò, per il suo carattere, con un innato senso di giustizia e rispetto della libertà dell’individuo, a mettersi in mostra. Prima,  partecipò a  boicottaggi studenteschi per il rispetto dei loro diritti, e per la libertà di poterli far valere.

Poi, eletto con altri cinque ragazzi, nel più alto organismo rappresentativo studentesco, rifiutò l’incarico perché la votazione non aveva avuto il sostegno di tutti gli studenti.

Infatti, compreso Mandela, la maggioranza degli studenti aveva boicottato la votazione non partecipandovi. Quando il preside lo mise di fronte all’alternativa di accettare l’elezione o non frequentare più quell’università, Nelson Mandela, poco incline al compromesso, mise a rischio la sua carriera accademica.

Per lui era un fatto di principio di giustizia e di libertà. Libertà per la quale, quando gli fu imposto dal suo tutore  un matrimonio combinato, scappò, pronto a perdere tutto quello che aveva.

Egli non riusciva ad accettare di non essere artefice del proprio destino. In lui, giovanissimo, c’era già in germe la fondatezza del valore della libertà di poter vivere con dignità e rispetto di sé.

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In conseguenza delle sue scelte, si ritrovò a 22 anni a lavorare, per poco tempo, come controllore in una miniera. Qui, comprese realmente le condizioni di sfruttamento dei lavoratori, rimanendone fortemente colpito.

Insieme al suo amico Oliver Tambo, fonda la lega giovanile dell’ANC, l’African National Congress e fra le molte persone incontrate, un posto speciale lo ha  Walter Sisulu. Persona saggia e forte che credeva fermamente nell’ANC quale organizzazione in grado di cambiare la condizione dei neri.

Mandela con la sua tenacia, fra tante difficoltà, riuscendo a stento a mantenersi, si laurea  in legge. Avvia, insieme a Tambo, il primo studio legale per neri fornendo assistenza anche gratuita.

Si ritrova sempre più coinvolto nell’impegno per la libertà dei neri e a combattere contro il sistema che stava alla base “di una delle società più crudeli e disumane mai conosciute al mondo”. L’apartheid appunto.

Nonostante il suo attivismo fosse fatto di scioperi, boicottaggi, manifestazioni sempre non violente, venne arrestato varie volte, subì vessazioni, ritorsioni fino al processo di Treason per il quale fu incarcerato quattro anni, prima di essere assolto e rilasciato.

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L’ANC, però, venne messa al bando e così, davanti a continue repressioni, dopo le uccisioni ripetute di sostenitori ed il massacro di Shaperville, l’organizzazione passò alla lotta armata.

Comincia, così, un periodo ancora più difficile per Nelson Mandela che, considerato il “nemico pubblico numero uno” dalle autorità di polizia, fu costretto ad una vita di “latitanza”.

Per questo  viene soprannominato “la primula nera”, fino a quando é arrestato ed accusato di  alto tradimento, Mandela finisce in carcere per altri cinque anni. Punito non per crimini commessi, ma per i propri ideali.

Mentre era in carcere fu accusato di sabotaggio e tradimento e, quindi, condannato all’ergastolo da scontare nel carcere di Robben Island, una piccola isola adibita a prigione.

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Da qui, sopportando una detenzione veramente disumana, continuò ad impegnarsi e a combattere per la giustizia anche nel tentativo di migliorare le condizioni dei detenuti.

Rimase in carcere 27 anni finché, verso la fine degli anni ottanta, il peso della sua persona, la pressione dell’opinione pubblica nel resto del mondo e la situazione del Paese non spinse il presidente Botha ed il suo vice De Klerk ad avviare delle trattative con Mandela.

Queste trattative dapprima non andarono a buon fine, perché il presidente Botha poneva come condizione al rilascio la rinuncia da parte di Mandela  alla lotta contro l’apartheid. Mandela scelse di restare in carcere.

Tornò alla libertà l’11 febbraio del 1990, quest’incredibile uomo, ormai, era diventato un simbolo in tutto il mondo.

Nel 1993 gli fu conferito, insieme al presidente De Klerk il premio Nobel per la pace.Nel 1994 poté votare alle prime elezioni libere multirazziali.

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Il 10 maggio 1994 divenne presidente del nuovo Sud Africa. Accettò la carica per un solo mandato poiché si riteneva già troppo vecchio. Nel 2004 si ritirò dalla vita politica. Si è sposato tre volte, l’ultima a 80 anni. Ha avuto sei figli, tre dei quali sono purtroppo morti. Trenta nipoti e sei pronipoti.

La scelta di lottare contro l’oppressione lo ha portato a sacrificare la vita privata familiare e Mandela ha sempre detto di aver vissuto come  uno dei suoi maggiori dolori l’impossibilità di essere stato un buon figlio, marito e padre. Ma non si è mai pentito del suo impegno nella lotta.

Nelson Mandela ha combattuto contro un sistema crudele, oppressivo e iniquo, e non contro uomini di un’altra razza come ha sempre tenuto a sottolineare.

Madiba, così chiamato familiarmente , dal nome del suo clan, ha continuato tutta la vita a sostenere l’importanza della ricerca della comprensione fra gli uomini, trasferendo la sua battaglia oltre il suo Sud Africa al resto del mondo.

”La libertà”, ha detto, “è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti”. Dovremmo, tutti, riflettere e provare a fare nostre queste convinzioni.

Purtroppo, se guardiamo cosa succede in troppi paesi al mondo, il cammino difficile verso la libertà dall’attaccamento al potere oppressivo, dalla corruzione, dal sopruso e da tutto il peggio che, con l’egoismo, riusciamo a tirare fuori da noi esseri umani, é ancora impegnativo e lungo.

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Adesso, non solo il Sud Africa,  ma tutto il mondo dovrà continuare a farlo senza di lui.

Lucilla Verticchio