Corretto, in via sperimentale, il gene della sindrome Down

Corretto, in via sperimentale,  il gene della sindrome Down

Gli scienziati dell’Università del Massachusetts, guidati da Jeanne Lawrence, hanno corretto il difetto genetico che causa la sindrome di Down – sia pure in cellule isolate – aprendo la prospettiva di una terapia radicale per il disturbo.

L’applicazione concreta del trattamento resta ancora una lontana speranza, ma gli scienziati sostengono che l’impresa costituisce il primo importante passo verso una terapia per la sindrome di Down.

“Si tratta di una vera svolta tecnica.”, ha detto Elizabeth Fisher, professoressa di neurogenetica : “Questa è davvero la prima occasione per operare geneticamente per la sindrome di Down”.
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Circa 750 bambini nascono afflitti da questa sindrome in Gran Bretagna ogni anno, mentre a livello mondiale sono uno su 1000. Nella maggior parte dei casi si trascinano dietro grandi difficoltà di apprendimento.

Nonostante i progressi nelle cure mediche che permettono, oggi, anche ai casi più gravi, di vivere bene fino alla mezza età, coloro che ereditano il disturbo sono a rischio di difetti cardiaci, problemi intestinali, ematici ed alla tiroide.

Anche se un trattamento completo richiederà ancora molti anni di studi il risultato raggiunto nei giorni scorsi raggiunto consentirà di migliorare la ricerca di terapie per i sintomi molto comuni nella sindrome di Down quali i problemi del sistema immunitario e gastrointestinale, la leucemia e la demenza precoce.
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In una persona sana, quasi ogni cellula del corpo trasporta 23 coppie di cromosomi, che contengono quasi tutti i geni necessari per la vita umana. Ma imperfezioni nel embrione precoce a volte può lasciare i bambini con troppi cromosomi. La sindrome di Down si verifica quando le cellule hanno una copia in più del cromosoma 21.

La squadra di Lawrence ha usato il metodo “genome editing”, una procedura che permettendo di tagliare ed incollare il DNA, può far eliminare un gene chiamato XIST nel cromosoma in più presente nelle cellule di persone con la sindrome di Down.

John De Giorgi