Con il referendum greco s’alza il vento del cambiamento sull’Europa

Con il referendum greco s’alza il vento del cambiamento sull’Europa

Adesso il gioco si fa duro. Esce dal governo Varoufakis, il principale interprete della linea intransigente, ed entra al suo posto l’oxfordiano – di studi e di stile – Tsakalatos. La mossa dovrebbe comportare un mutamento di linea, ma nel gioco della politica ellenica potrebbe persino significare una riproposizione della stessa intransigenza sotto forme diverse, più sofisticate e meno plateali. È difficile che Tsipras rinunci a maneggiare l’arma di una doppiezza di linguaggio e di comportamento. che lo rende in verità più tardo bizantino che greco classico.

Con il referendum è successo qualcosa che sarà ricordato come il vero passaggio dall’Europa degli Stati all’Europa dei popoli. Finora ogni decisione politica rientrava nella sfera delle competenze degli organi dell’Unione, con il Parlamento ancora in posizione di relativa debolezza. Anche la consultazione popolare che portò la Francia a ripudiare nel 2005 la proposta di costituzione europea conservava il carattere di una verifica tutta interna alla realtà nazionale transalpina. Gli altri, chiusi nei rispettivi ambiti statuali, erano sostanzialmente spettatori.

Stavolta invece i cittadini europei, oltre i confini delle proprie appartenenze statuali, hanno preso parte a questo referendum. Non si sono limitati a formulare auspici: in qualche misura, sostanzialmente, si è formata e manifestata una pubblica opinione europea. Chi più chi meno, in un modo o nell’altro, ognuno ha preso parte al dibattito: il referendum, per molti aspetti, non è stato nelle mani dei soli elettori greci. Dietro la vittoria del “No”, espressione della volontà popolare ellenica, si può scorgere la forza di un movimento sovranazionale. Non è allora immaginabile che si possa tornare indietro.

Dopo questa dimostrazione di “europeismo spontaneo”, fuori pertanto dal reticolo delle procedure dei Palazzi di Bruxelles, accadrà per certo che analoghe consultazioni non rimarranno circoscritte in ambiti strettamente nazionali. Ad esempio, quel che sarà del confronto tra Madrid e Barcellona, con il rischio di frantumazione dell’unità politico costituzionale della penisola iberica, solleciterà l’interesse degli europei in quanto tali. L’anno prossimo, con ogni probabilità, ci sentiremo in diritto  (almeno moralmente) di votare assieme ai cittadini del Regno Unito per il referendum pro o contro la permanenza inglese nell’Europa. È una dinamica inarrestabile.

Ecco, dunque, che la nuova pubblica opinione europea consideri il caso greco alla stregua di una battaglia a tutto campo – vissuta attraverso la diretta partecipazione di ciascuno – volta a fare del risultato referendario lo spartiacque tra due visioni di Europa. Sebbene nell’ambiguo movimentismo di Tsipras si nasconda una spigliata vocazione alla irresponsabilità, in effetti si palesa con trasporto di emozioni collettive una richiesta di “governo politico” dell’esperienza comunitaria europea. S’alza più forte che mai il vento del cambiamento. Alla Germania si attribuisce la colpa di una gestione eccessivamente rigida e protocollare, tesa unicamente a ribadire l’univocità del modello economico finanziario che ha dominato, a partire dal 2008, l’approccio alla più grave crisi mondiale dal grande crollo di Wall Street ad oggi.

Senza dubbio il vertice prontamente convocato ieri pomeriggio, a Parigi, tra Hollande e la Merkel ha voluto rimarcare la consapevolezza franco-tedesca dei rischi che gravano sul Vecchio Continente. Tuttavia, la sensazione che prevale non sembra certificare il pieno controllo degli eventi. Manca, in altri termini, il piglio di una leadership capace di padroneggiare gli sviluppi della crisi. È vero, si continua sulla strada del confronto, fondamentalmente con l’auspicio però che le nuove proposte di Atene siano compatibili con i vincoli dell’Unione Europea e le preoccupazioni dei grandi creditori. In questo quadro l’Italia potrebbe giocare un  ruolo effettivo, ma in queste settimane e specialmente negli ultimi giorni l’iniziativa di Renzi è apparsa dettata dalla improvvisazione, forse anche da un certo grado di opportunismo tattico. È un peccato di leggerezza, questo, che ricade anzitutto su noi italiani.

Non è questo che serve all’Europa.

Lucio D’Ubaldo